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Swallow, un'opera il cui incipit tiene incollati alla sedia

Lo svelamento delle radici del male di una donna passano per un thriller coinvolgente. Al Milano Film Festival 2019. 
di Emanuele Sacchi

lunedì 7 ottobre 2019 - Festival

Hunter è sposata con Richie, facoltoso manager che lavora nell'azienda del padre, e vive con lui in una villa lontana dalla metropoli. Apparentemente ha tutto, ma nessuno la considera come una persona, con dei bisogni e dei desideri propri. Intanto il picacismo da cui è affetta la induce a inghiottire oggetti sempre più pericolosi per il suo organismo.

Un film a due volti, quasi ingannevole nel suo svolgimento. Un primo atto destinato a sconvolgere e avvincere, contornando di punti interrogativi il personaggio di Hunter e il mondo che ruota intorno a lei; quindi un secondo atto in cui il ritmo cresce e il mistero viene svelato; e infine un terzo, che risolve la questione esplicitando sul piano etico e simbolico l'assunto di base dell'operazione.

Inutile dire che è il primo e ingannevole segmento a tenere lo spettatore incollato alla sedia, con un espediente antico ma efficace, che dimostra la qualità della regia di Carlo Mirabella-Davis e della fotografia di Katelin Arizmendi.

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