Osmosis

Dramma familiare travestito da fantascienza, Osmosis disinnesca la carica satirica della distopia spiaggiandosi fuori tempo massimo sui clichè del genere

Recensione di Ilaria Ravarino
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Esther e Paul, sorella e fratello, sono i fondatori di Osmosis, una rivoluzionaria startup che promette a chiunque la provi, attraverso un innesto sottocutaneo, di trovare la propria anima gemella senza margine d'errore. La competenza tecnologica di Esther e l'abilità di Paul nel marketing hanno alzato le aspettative pubbliche nei confronti del prodotto. Ma Osmosis sarà lanciato ufficialmente solo una volta conclusa la fase di beta test, condotta su dodici candidati-cavie.

In un'epoca in cui si perde più tempo a parlare con Siri, Alexa e Cortana che con il proprio vicino di casa, non basta un computer senziente a trasformare un qualunque soggetto di serie in un'originale saga di fantascienza.

Paragonato fin da subito al concept di Black Mirror, in particolare all'episodio Hang the DJ di cui condivide le premesse, Osmosis colora con le tinte sintetiche del futuribile la storia di una famiglia disfunzionale segnata da un trauma irrisolto, prendendosi terribilmente sul serio: c'è una competizione tra fratelli, una madre misteriosamente in coma, un ricordo rimosso che riaffiora colpendo come un iceberg la vita della più giovane dei due. Ma la premessa narrativa del trauma, che avrebbe avuto bisogno di tempo e cura per crescere episodio dopo episodio, viene soffocata da filoni narrativi paralleli aggiunti per far spessore o colore: un rapimento, un figlio in arrivo, la dipendenza da cybersesso, e tutte le storie - prive di inventiva, di mordente, di visione: Maniac avrebbe dovuto fare scuola - dei partecipanti al test. Risultato: la bomba dell'irrisolto familiare esplode tardi, nell'episodio sei, e la deflagrazione è silenziata dal rumore d'ambiente e dalla fretta di concludere.

Priva del feroce sarcasmo di Black Mirror, la serie di Audrey Fouché si avvita su una trama sci-fi capace di toccare ogni topos di categoria (il computer senziente; il visore per leggere nella mente; i ricordi impiantati; le company che speculano sui sentimenti; l'alienazione dell'individuo) disinnescando, senza preoccuparsi delle conseguenze, la caratteristica distintiva del genere dal Cinquecento in poi: sferzare il presente raccontando il futuro. Presentare un realtà distopica depurandola da ogni intento satirico è un po'come mettere una pistola in un film e non farla sparare: dopo pochi episodi ci si chiede perché si sia dovuta scomodare la Parigi del futuro per raccontare una favoletta morale il cui insegnamento finale - novità! - è che la tecnologia è buona, ma sono gli esseri umani ad esser difettosi.

E se pure, come spesso accade nei prodotti Netflix, la scelta del cast è giusta, i volti azzeccati e i talenti in parte, la scrittura di Fouché (che già aveva perso per strada lo spunto accattivante di Les Revenants) taglia i caratteri con l'accetta, complicando la partecipazione emotiva alle loro vicende: respingenti i due fratelli, macchiette i candidati al test, nessuno dei personaggi di Osmosis vale l'attenzione richiesta dagli eccessivi 40 minuti a episodio.

Un prodotto sotto le aspettative che ha il merito, se non altro, di confermare una certezza: in un'epoca come la nostra, in cui ci si affida all'algortimo anche per mangiare, non basta (ancora) una manciata di big data per fare di una serie sbagliata un prodotto vincente.