greyhound
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sabato 28 marzo 2020
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quel luogo dentro la propria anima
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1917. Un numero, un anno, molteplici significati. La nuova pellicola di Sam Mendes, ispirata al regista inglese da racconti familiari, mette in luce le vicende di due uomini all’interno di quell’immensa carneficina che prende il nome di Prima Guerra Mondiale.
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1917. Un numero, un anno, molteplici significati. La nuova pellicola di Sam Mendes, ispirata al regista inglese da racconti familiari, mette in luce le vicende di due uomini all’interno di quell’immensa carneficina che prende il nome di Prima Guerra Mondiale. Normalmente il cinema ci ha abituati a seguire scontri bellici ambientati durante il conflitto che vide protagonisti gli Alleati e il regime nazista (con l’impero giapponese spesso nel ruolo di comprimario) nel lasso temporale 1939-1945. Invero, il film in questione illustra la durissima vita delle trincee sui campi di battaglia della Francia settentrionale nel corso della seconda decade del ‘900, in quello che può essere considerato come l’ultimo vero conflitto combattuto senza l’ausilio delle macchine.
La trama si dispiega in maniera piuttosto elementare, in quanto il compito dei due giovani caporali è basilare nella sua essenza: comunicare a un’altra unità inglese il mutamento di ordini attinenti un attacco contro fortificazioni tedesche. L’obiettivo non è nient’altro che quello d’assicurarsi la sopravvivenza del maggior numero di soldati ed evitare un’inutile perdita di vite; se poi ciò sia veramente voluto dai comandi militari per un fine diverso da quello della prosecuzione dei combattimenti non è dato sapere allo spettatore. I due protagonisti scelti per una missione al limite del suicidio non potrebbero essere più diversi tra loro: uno è un giovane ciarliero, ottimista e desideroso di compiere la missione senza mai essere attraversato dal dubbio concernente la sua fattibilità (anche in ragione della presenza del fratello nell’unità da salvare); l’altro, al contrario, si dimostra subito perplesso e angosciato dall’ignoto (forse nemmeno troppo) che avrebbe potuto attenderli.
A questo punto ci si potrebbe chiedere quale sia l’elemento che renda il suddetto film di un livello superiore ad altre pellicole d’azione o di guerra in particolare. La risposta giace, semplicemente, non tanto negli eventi che investono i due nel corso del viaggio, bensì come le loro menti (soprattutto quella del taciturno Schofield) ne siano influenzate. E a rendere visibile allo spettatore il cambiamento è fondamentale il sapiente uso della fotografia e del paesaggio, capace di mutare continuamente, passando dall’essere lunare durante l’attraversamento della no man’s land a somigliare all’inferno nella cittadina distrutta dai combattimenti (si veda l’allegoria rappresentata dalla chiesa in fiamme e gli sbandati tedeschi, corpi vaganti senza oramai più direzione), senza dimenticare la quiete del giardino fiorito e l’apparente normalità di una piccola fattoria di campagna.
Ed è proprio successivamente alla “pausa” in quest’oasi di pace e a causa dell’evento che qui si verifica che il cambiamento maggiore nella volontà di Schofield avverrà. Da quel momento in poi esisterà per il caporale precedentemente riottoso un unico scopo: la missione da portare a termine. Forse non tanto in quanto realmente convinto della sua utilità, ma piuttosto in ragione della promessa fatta al compagno e della comprensione di una verità terribile, sconsolante ma al contempo paradossalmente rassicurante in un contesto come quello da lui vissuto; ossia che per uscire, o perlomeno, tentare di liberarsi dal giogo di una situazione non voluta o cercata esista esclusivamente una sola via. Indipendentemente dai costi e dalle difficoltà che essa farà emergere.
Questo punto è sottolineato da tre scene: la prima nell’incontro con la ragazza nascosta nei sotterranei di un caseggiato distrutto, la cui offerta di un nascondiglio per la notte e di un luogo per riposare viene rifiutata senza nemmeno veramente considerare l’offerta; la seconda, invece, ha luogo durante l’incontro con i soldati del reggimento oggetto della missione. Qui il protagonista, sfinito dalla fuga, si abbandona all’ascolto insieme ad altri commilitoni di una preghiera cantata, una sorta di congedo dal mondo in vista dell’imminente assalto e della quasi morte certa che attenderà un gran numero di loro. L’ultima delle tre è quella che colui che scrive considera la più potente ed evocativa: la corsa di Schofield fuori dalla trincea, incurante di essere un bersaglio facile per il nemico, avulso da qualsiasi altra realtà che lo circonda (scena resa con quella corsa perpendicolare rispetto al movimento degli assaltatori), come fosse racchiuso in una bolla spazio-temporale.
Solo nelle ultime immagini del film si capirà ciò che garantiva al protagonista l’audacia e la forza della sua corsa liberatoria. Una verità che permette di comprendere come nel corso di un conflitto (che sia passato o attuale), sul terreno e lontano dalle questione politiche e strategiche delle cancellerie governative, l’unico fattore vero che spinge gli uomini e le donne a combattere è il senso di unione che si crea con chi sta alla propria sinistra e destra, e a cui viene affidata la propria vita. Ma soprattutto la ragione risiede in quel sentimento chiamato amore, che in questo frangente prende la forma di quelle due bambine e di quella donna ritratte nelle fotografie, e in quelle tre semplici parole: “Torna da noi”.
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efrem
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venerdì 13 marzo 2020
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1917
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Film notevole, che colpisce per la regia, la fotografia. Da non perdere. Composto da tanti piani sequenza che sembrano uno, e va lodata la cosa. Ha vinto i premi più importanti ai Golden Globe, tra cui miglior film e miglior regia.
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greyhound
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sabato 7 marzo 2020
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quel luogo dentro la propria anima
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1917. Un numero, un anno, molteplici significati. La nuova pellicola di Sam Mendes, ispirata al regista inglese da racconti familiari, mette in luce le vicende di due uomini all’interno di quell’immensa carneficina che prende il nome di Prima Guerra Mondiale. Normalmente il cinema ci ha abituati a seguire scontri bellici ambientati durante il conflitto che vide protagonisti gli Alleati e il regime nazista (con l’impero giapponese spesso nel ruolo di comprimario) nel lasso temporale 1939-1945. Invero, il film in questione illustra la durissima vita delle trincee sui campi di battaglia della Francia settentrionale nel corso della seconda decade del ‘900, in quello che può essere considerato come l’ultimo vero conflitto combattuto senza l’ausilio delle macchine.
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1917. Un numero, un anno, molteplici significati. La nuova pellicola di Sam Mendes, ispirata al regista inglese da racconti familiari, mette in luce le vicende di due uomini all’interno di quell’immensa carneficina che prende il nome di Prima Guerra Mondiale. Normalmente il cinema ci ha abituati a seguire scontri bellici ambientati durante il conflitto che vide protagonisti gli Alleati e il regime nazista (con l’impero giapponese spesso nel ruolo di comprimario) nel lasso temporale 1939-1945. Invero, il film in questione illustra la durissima vita delle trincee sui campi di battaglia della Francia settentrionale nel corso della seconda decade del ‘900, in quello che può essere considerato come l’ultimo vero conflitto combattuto senza l’ausilio delle macchine.
La trama si dispiega in maniera piuttosto elementare, in quanto il compito dei due giovani caporali è basilare nella sua essenza: comunicare a un’altra unità inglese il mutamento di ordini attinenti un attacco contro fortificazioni tedesche. L’obiettivo non è nient’altro che quello d’assicurarsi la sopravvivenza del maggior numero di soldati ed evitare un’inutile perdita di vite; se poi ciò sia veramente voluto dai comandi militari per un fine diverso da quello della prosecuzione dei combattimenti non è dato sapere allo spettatore. I due protagonisti scelti per una missione al limite del suicidio non potrebbero essere più diversi tra loro: uno è un giovane ciarliero, ottimista e desideroso di compiere la missione senza mai essere attraversato dal dubbio concernente la sua fattibilità (anche in ragione della presenza del fratello nell’unità da salvare); l’altro, al contrario, si dimostra subito perplesso e angosciato dall’ignoto (forse nemmeno troppo) che avrebbe potuto attenderli.
A questo punto ci si potrebbe chiedere quale sia l’elemento che renda il suddetto film di un livello superiore ad altre pellicole d’azione o di guerra in particolare. La risposta giace, semplicemente, non tanto negli eventi che investono i due nel corso del viaggio, bensì come le loro menti (soprattutto quella del taciturno Schofield) ne siano influenzate. E a rendere visibile allo spettatore il cambiamento è fondamentale il sapiente uso della fotografia e del paesaggio, capace di mutare continuamente, passando dall’essere lunare durante l’attraversamento della no man’s land a somigliare all’inferno nella cittadina distrutta dai combattimenti (si veda l’allegoria rappresentata dalla chiesa in fiamme e gli sbandati tedeschi, corpi vaganti senza oramai più direzione), senza dimenticare la quiete del giardino fiorito e l’apparente normalità di una piccola fattoria di campagna.
Ed è proprio successivamente alla “pausa” in quest’oasi di pace e a causa dell’evento che qui si verifica che il cambiamento maggiore nella volontà di Schofield avverrà. Da quel momento in poi esisterà per il caporale precedentemente riottoso un unico scopo: la missione da portare a termine. Forse non tanto in quanto realmente convinto della sua utilità, ma piuttosto in ragione della promessa fatta al compagno e della comprensione di una verità terribile, sconsolante ma al contempo paradossalmente rassicurante in un contesto come quello da lui vissuto; ossia che per uscire, o perlomeno, tentare di liberarsi dal giogo di una situazione non voluta o cercata esista esclusivamente una sola via. Indipendentemente dai costi e dalle difficoltà che essa farà emergere.
Questo punto è sottolineato da tre scene: la prima nell’incontro con la ragazza nascosta nei sotterranei di un caseggiato distrutto, la cui offerta di un nascondiglio per la notte e di un luogo per riposare viene rifiutata senza nemmeno veramente considerare l’offerta; la seconda, invece, ha luogo durante l’incontro con i soldati del reggimento oggetto della missione. Qui il protagonista, sfinito dalla fuga, si abbandona all’ascolto insieme ad altri commilitoni di una preghiera cantata, una sorta di congedo dal mondo in vista dell’imminente assalto e della quasi morte certa che attenderà un gran numero di loro. L’ultima delle tre è quella che colui che scrive considera la più potente ed evocativa: la corsa di Schofield fuori dalla trincea, incurante di essere un bersaglio facile per il nemico, avulso da qualsiasi altra realtà che lo circonda (scena resa con quella corsa perpendicolare rispetto al movimento degli assaltatori), come fosse racchiuso in una bolla spazio-temporale.
Solo nelle ultime immagini del film si capirà ciò che garantiva al protagonista l’audacia e la forza della sua corsa liberatoria. Una verità che permette di comprendere come nel corso di un conflitto (che sia passato o attuale), sul terreno e lontano dalle questione politiche e strategiche delle cancellerie governative, l’unico fattore vero che spinge gli uomini e le donne a combattere è il senso di unione che si crea con chi sta alla propria sinistra e destra, e a cui viene affidata la propria vita. Ma soprattutto la ragione risiede in quel sentimento chiamato amore, che in questo frangente prende la forma di quelle due bambine e di quella donna ritratte nelle fotografie, e in quelle tre semplici parole: “Torna da noi”.
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giuseppe nucera
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sabato 29 febbraio 2020
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la normalità della guerra
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Un lungo piano sequenza offerto al singolo spettatore per sviluppare una percezione personale delle atmosfere crude e fredde della guerra. Il regista non ha volutamente riempire la pellicola di effetti speciali né tanto meno di dialoghi che non fossero asciutti e nei quali ognuno di noi avrebbe voluto che si aggiungesse qualche parola in più, quasi a voler rendere più umana una atmosfera surreale intrisa di morte e desolazione. Non ci sono eroi nel film 1917, ci sono due giovani soldati interpretati da due attori semi sconosciuti che tuttavia riescono a rappresentare con efficacia l'orrore e la stupida inutilità della guerra, lo fanno attraverso il rispetto di quell'ordine razionalmente folle e suicida che dovrebbe servire a salvare un plotone di soldati da un agguato organizzato dai tedeschi in ritirata stragegica.
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Un lungo piano sequenza offerto al singolo spettatore per sviluppare una percezione personale delle atmosfere crude e fredde della guerra. Il regista non ha volutamente riempire la pellicola di effetti speciali né tanto meno di dialoghi che non fossero asciutti e nei quali ognuno di noi avrebbe voluto che si aggiungesse qualche parola in più, quasi a voler rendere più umana una atmosfera surreale intrisa di morte e desolazione. Non ci sono eroi nel film 1917, ci sono due giovani soldati interpretati da due attori semi sconosciuti che tuttavia riescono a rappresentare con efficacia l'orrore e la stupida inutilità della guerra, lo fanno attraverso il rispetto di quell'ordine razionalmente folle e suicida che dovrebbe servire a salvare un plotone di soldati da un agguato organizzato dai tedeschi in ritirata stragegica. La trama esile non cancella comunque la curiosità dello spettatore, quasi accompagnato per mano dal soldato nel frattempo rimasto solo ad affrontare l'assurda impresa, tra bombe e colpi di fucile. C'è comunque spazio per pochi istanti di vita e tenerezza quando il ragazzo, per sfuggire a morte sicura, lungo una strada bersagliata dal fuoco nemico, trova riparo in una casa interrata dove sono rifugiate una ragazza francese e una piccola bimba. Un attimo di calore e di umanità nel cuore di un inferno fatto di fuoco che illumina la notte e di bombe che squarciano il terreno. Riusciamo a sentire l'odore del fango e il freddo dell'acqua, niente combattimenti eroici, niente duelli all'ultimo sangue, niente che rischi di far apparire la guerra come spettacolare espressione della stupidità umana, solo la percezione di una presenza costante di vuoto, di precarietà degli uomini di fronte alla morte e al pericolo così poco visibile e comunque sempre percepibile nell'aria. La scena finale drammatica è paradossale, non consente nemmeno di soddisfare il nostro bisogno di lieto fine, perché come freddamente spiegato dal colonnello mackenzie, finalmente raggiunto prima della seconda ondata di attacco, tra una settimana arriverà un nuovo ordine di attaccare, e alla fine in questa maledetta guerra l'unico vincitore sarà chi riuscirà a sopravvivere. Tutto il film racconta dunque del sacrificio di due poveri ragazzi, volto a ritardare di pochi giorni un massacro che comunque avverrà di lì a poco. La follia della guerra, il senso del dovere e del rispetto che si presta con onore ad ordini di basso respiro, che non hanno un senso condiviso, ma che tuttavia vengono rispettati, malgrado salvini alcuni uomini soltanto per qualche ora in più. Non ci sono vincitori o vinti.. Nel film, malgrado una descrizione dei tedeschi volutamente stereotipata. Nel buio della guerra e nei suoi abissi ci salva il senso di amicizia e di rispetto tra i due soldati, il ricordo di un uomo uomo che raccontava cose divertenti..
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greyhound
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sabato 29 febbraio 2020
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qualcosa per cui combattere
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1917. Un numero, un anno, molteplici significati. La nuova pellicola di Sam Mendes, ispirata al regista inglese da racconti familiari, mette in luce le vicende di due uomini all’interno di quell’immensa carneficina che prende il nome di Prima Guerra Mondiale. Normalmente il cinema ci ha abituati a seguire scontri bellici ambientati durante il conflitto che vide protagonisti gli Alleati e il regime nazista (con l’impero giapponese spesso nel ruolo di comprimario) nel lasso temporale 1939-1945. Invero, il film in questione illustra la durissima vita delle trincee sui campi di battaglia della Francia settentrionale nel corso della seconda decade del ‘900, in quello che può essere considerato come l’ultimo vero conflitto combattuto senza l’ausilio delle macchine.
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1917. Un numero, un anno, molteplici significati. La nuova pellicola di Sam Mendes, ispirata al regista inglese da racconti familiari, mette in luce le vicende di due uomini all’interno di quell’immensa carneficina che prende il nome di Prima Guerra Mondiale. Normalmente il cinema ci ha abituati a seguire scontri bellici ambientati durante il conflitto che vide protagonisti gli Alleati e il regime nazista (con l’impero giapponese spesso nel ruolo di comprimario) nel lasso temporale 1939-1945. Invero, il film in questione illustra la durissima vita delle trincee sui campi di battaglia della Francia settentrionale nel corso della seconda decade del ‘900, in quello che può essere considerato come l’ultimo vero conflitto combattuto senza l’ausilio delle macchine.
La trama si dispiega in maniera piuttosto elementare, in quanto il compito dei due giovani caporali è basilare nella sua essenza: comunicare a un’altra unità inglese il mutamento di ordini attinenti un attacco contro fortificazioni tedesche. L’obiettivo non è nient’altro che quello d’assicurarsi la sopravvivenza del maggior numero di soldati ed evitare un’inutile perdita di vite; se poi ciò sia veramente voluto dai comandi militari per un fine diverso da quello della prosecuzione dei combattimenti non è dato sapere allo spettatore. I due protagonisti scelti per una missione al limite del suicidio non potrebbero essere più diversi tra loro: uno è un giovane ciarliero, ottimista e desideroso di compiere la missione senza mai essere attraversato dal dubbio concernente la sua fattibilità (anche in ragione della presenza del fratello nell’unità da salvare); l’altro, al contrario, si dimostra subito perplesso e angosciato dall’ignoto (forse nemmeno troppo) che avrebbe potuto attenderli.
A questo punto ci si potrebbe chiedere quale sia l’elemento che renda il suddetto film di un livello superiore ad altre pellicole d’azione o di guerra in particolare. La risposta giace, semplicemente, non tanto negli eventi che investono i due nel corso del viaggio, bensì come le loro menti (soprattutto quella del taciturno Schofield) ne siano influenzate. E a rendere visibile allo spettatore il cambiamento è fondamentale il sapiente uso della fotografia e del paesaggio, capace di mutare continuamente, passando dall’essere lunare durante l’attraversamento della no man’s land a somigliare all’inferno nella cittadina distrutta dai combattimenti (si veda l’allegoria rappresentata dalla chiesa in fiamme e gli sbandati tedeschi, corpi vaganti senza oramai più direzione), senza dimenticare la quiete del giardino fiorito e l’apparente normalità di una piccola fattoria di campagna.
Ed è proprio successivamente alla “pausa” in quest’oasi di pace e a causa dell’evento che qui si verifica che il cambiamento maggiore nella volontà di Schofield avverrà. Da quel momento in poi esisterà per il caporale precedentemente riottoso un unico scopo: la missione da portare a termine. Forse non tanto in quanto realmente convinto della sua utilità, ma piuttosto in ragione della promessa fatta al compagno e della comprensione di una verità terribile, sconsolante ma al contempo paradossalmente rassicurante in un contesto come quello da lui vissuto; ossia che per uscire, o perlomeno, tentare di liberarsi dal giogo di una situazione non voluta o cercata esista esclusivamente una sola via. Indipendentemente dai costi e dalle difficoltà che essa farà emergere.
Questo punto è sottolineato da tre scene: la prima nell’incontro con la ragazza nascosta nei sotterranei di un caseggiato distrutto, la cui offerta di un nascondiglio per la notte e di un luogo per riposare viene rifiutata senza nemmeno veramente considerare l’offerta; la seconda, invece, ha luogo durante l’incontro con i soldati del reggimento oggetto della missione. Qui il protagonista, sfinito dalla fuga, si abbandona all’ascolto insieme ad altri commilitoni di una preghiera cantata, una sorta di congedo dal mondo in vista dell’imminente assalto e della quasi morte certa che attenderà un gran numero di loro. L’ultima delle tre è quella che colui che scrive considera la più potente ed evocativa: la corsa di Schofield fuori dalla trincea, incurante di essere un bersaglio facile per il nemico, avulso da qualsiasi altra realtà che lo circonda (scena resa con quella corsa perpendicolare rispetto al movimento degli assaltatori), come fosse racchiuso in una bolla spazio-temporale.
Solo nelle ultime immagini del film si capirà ciò che garantiva al protagonista l’audacia e la forza della sua corsa liberatoria. Una verità che permette di comprendere come nel corso di un conflitto (che sia passato o attuale), sul terreno e lontano dalle questione politiche e strategiche delle cancellerie governative, l’unico fattore vero che spinge gli uomini e le donne a combattere è il senso di unione che si crea con chi sta alla propria sinistra e destra, e a cui viene affidata la propria vita. Ma soprattutto la ragione risiede in quel sentimento chiamato amore, che in questo frangente prende la forma di quelle due bambine e di quella donna ritratte nelle fotografie, e in quelle tre semplici parole: “Torna da noi”.
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trinkone
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lunedì 24 febbraio 2020
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regia eccezionale
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Film da vedere solo per la regia che è a dir poco spettacolare, girato in un unica sequenza senza tagli sempre al centro dell'azione rendo il film claustrofobico ed appassionante. Storia non troppo brillante ma nel complesso vale la pena vederlo per la regia. Premio Oscar alla regia negato, resterà una delle macchie più nere degli oscar.
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lunedì 24 febbraio 2020
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1917
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Lo avrei visto con piacere, se oggi il cinema Tiffany di Palermo non avesse cambiato l'orario senza comunicarlo. Poi dice che uno non va al cinema.
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fabio
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venerdì 21 febbraio 2020
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un videogames
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Sarà che viviamo questo tempo fatto di "contaminazioni" ma l'impressione netta è quella di stare dentro ad un videogioco.
Film freddo, superficiale, nessuna introspezione psicologica, a tratti si tocca l'inverosimile.
Nonostante il premio Oscar trovo la fotografia brutta, fastidiosamente sfocata; e poi, non bastano i piani sequenza dentro le trincee per fare un film sulla Grande Guerra.
Bah
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astotti98
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giovedì 20 febbraio 2020
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uno dei migliori film di guerra di sempre
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Film girato con la tecnica del piano sequenza artefatto (più piani sequenza uniti in modo da sembrare uno solo) con grande maestria da parte di Mendes. Questa tecnica permette allo spettatore di sentirsi immerso pienamente nel film dall'inizio alla fine. Un film che parla dell'orrore della prima guerra mondiale, tema affrontato poche volte nella storia del cinema, contrapposta alla grande amicizia tra i due protagonisti. Capolavoro sotto tutti i punti di vista
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umberto
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martedì 18 febbraio 2020
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dal vivo sul campo di battaglia
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Tardi, ma sono riuscito a vederlo questo capolavoro di Sam Mendes che in poco più di 2 ore porta lo spettatore nel vivo della Prima Guerra Mondiale. Nel vivo nel vero senso della parola grazie ad una regia impeccabile che richiama molto quella che Alejandro González Iñárritu ci ha mostrato nelle sue 2 opere d'arte (Birdman e Revenant). La camera non stacca mai dal primo all'ultimo fotogramma seguendo il protagonista in ogni suo respiro e rendendo lo spettatore la sua ombra. Sembra come vivere in un videogioco e, proprio per questo, chi guarda non può e non riesce a distrarsi neanche un secondo. Avvincente ed entusiasmante anche grazie ad una bellissima fotografia che esalta l'infinità di dettagli scenografici presenti in questo quadro in movimento.
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Tardi, ma sono riuscito a vederlo questo capolavoro di Sam Mendes che in poco più di 2 ore porta lo spettatore nel vivo della Prima Guerra Mondiale. Nel vivo nel vero senso della parola grazie ad una regia impeccabile che richiama molto quella che Alejandro González Iñárritu ci ha mostrato nelle sue 2 opere d'arte (Birdman e Revenant). La camera non stacca mai dal primo all'ultimo fotogramma seguendo il protagonista in ogni suo respiro e rendendo lo spettatore la sua ombra. Sembra come vivere in un videogioco e, proprio per questo, chi guarda non può e non riesce a distrarsi neanche un secondo. Avvincente ed entusiasmante anche grazie ad una bellissima fotografia che esalta l'infinità di dettagli scenografici presenti in questo quadro in movimento.
Voto: 9,5
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