Anno | 2018 |
Genere | Documentario |
Produzione | USA |
Durata | 223 minuti |
Regia di | Frederick Wiseman |
MYmonetro | 3,06 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 4 settembre 2018
La vita agricola nell'Indiana. Al Box Office Usa Monrovia, Indiana ha incassato nelle prime 2 settimane di programmazione 36,3 mila dollari e 6,1 mila dollari nel primo weekend.
CONSIGLIATO SÌ
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Oggigiorno sono circa quarantasei milioni gli abitanti dell’America rurale, quella dei piccoli centri, in via di spopolamento da decenni, che rappresenta però il cuore del sistema di valori americani più conservatori e può rivelarsi decisiva all’appuntamento con le elezioni per la guida dell’unione.
Wiseman sceglie Monrovia, un paese di poco più di mille abitanti, per esplorare col consueto rigore la vita quotidiana del luogo, ergendolo a campione di una faccia dell’America contemporanea.
Un’America dal volto bianco (in tutto il documentario si vedono soltanto tre ragazzi di colore, a dimostrazione della bassissima percentuale di neri e asiatici presenti sul territorio dell’Indiana) e dal corpo spesso appesantito, i cui problemi principali riguardano l’acquisto di una panchina davanti alla biblioteca comunale o, al massimo, un investimento più massiccio per ripensare la rete idrica e la sicurezza in caso di incendio. Un sacrosanto impegno per il miglioramento di uno stile di vita che è però di gran lunga più agiato e invidiabile di quello di molti centri urbani metropolitani.
Wiseman non giudica, s’immerge, documenta, impara com’è fatto il mondo perché noi possiamo a nostra volta impararlo anche attraverso il suo lavoro. Durante le nove settimane di riprese in questa comunità agricola del Midwest, si fa accogliere in tutti gli ambienti, ci porta dal barbiere e dalla parrucchiera, nella storia gloriosa del basket scolastico locale e all’asta delle trebbiatrici; ad una cerimonia della cinquantennale loggia massonica di Monrovia, a fare i tatuaggi, a mangiare elaborate e caloriche variazioni sul tema della pizza, a seguire da una distanza mai così ravvicinata l’operazione del taglio della coda di un cane, nella clinica veterinaria del paese.
Due ambiti s’impongono facilmente come centrali e pulsanti: la religione cristiana e il culto delle armi. Ma ci sono assenze che parlano altrettanto chiaramente: l’interesse per il resto del mondo o anche solo per la grande città di zona, o per la politica, fatta eccezione quella dell’orto di casa. Scarseggiano i giovani, naturalmente: sul palco della fiera stagionale la star della band si aggira sulla settantina.
Il maestro documentarista va alla ricerca di un altro tassello della sua meravigliosa indagine sulla vita americana contemporanea, ma questa volta avvertiamo la mancanza di qualcosa. La stessa che deve aver avvertito lui, stando al film. È la mancanza di quelle sfumature che hanno sempre contraddistinto i suoi lavori, perché congenite ai mondi che andava esplorando. Questo mondo è fatto di meno contraddizioni, meno dubbi, e di un’armonia sociale che anziché suscitare ammirazione lascia addosso un sentimento di tristezza. Di certo non è un caso che l’ultima, lunga sequenza sia dedicata ad un discorso funebre.