Il film di Lukas Dhont mette in scena la danza come metafora della disciplina necessaria a conquistare il traguardo della realizzazione personale. Camera d'Or a Cannes e ora al cinema.
di Roy Menarini
Il rapporto tra corpo umano e cinema rappresenta un universo seducente e ricchissimo. L'intera storia dei film potrebbe essere classificata a seconda di come i lungometraggi (di finzione e non) hanno raccontato caratteristiche anatomiche, culturali, sessuali ed etniche dei loro personaggi. E non è un caso che la cosiddetta scala dei piani e dei campi riguardi la vicinanza della macchina da presa dal corpo: solamente grazie al cinema abbiamo cominciato a pensare al volto umano come a un paesaggio, a un dettaglio anatomico come a un particolare esistenziale, alle spalle e al collo come a un modo di osservare l'essere umano. Nel caso di corpi in transizione, il cinema si trova ad affrontare temi delicati, che sfiorano sensibilità e suscettibilità particolari.
È notizia recente che Scarlett Johansson ha preferito abbandonare il progetto di Rub & Tug (storia di Dante 'Tex' Gill, nato donna e divenuto uomo), dopo le proteste della comunità LGBT che chiedeva di far interpretare il ruolo a un interprete transessuale.
Non sappiamo se Girl possa suscitare altrettanti dubbi, visto che un attore maschio interpreta la protagonista, che si trova imprigionata in caratteri sessuali mascolini mentre attende la transizione al femminile. Nel frattempo, si veste, si trucca e si acconcia come una ragazza, vivendo una vita quasi normale insieme alle compagne di scuola e di danza (solamente in una sequenza i genitali di Lara scatenano una situazione di imbarazzo e tensione).
La società rappresentata da Girl si presenta estremamente progressista, laica e istruita sui problemi clinici e culturali dell'intersessualità. Il padre sostiene le scelte della figlia, la scuola contiene e appoggia l'allieva, i dottori consigliano e sferzano la ragazza per convincerla a curare e proteggere il suo corpo in vista dell'operazione chirurgica di riconversione sessuale.Tutto Girl, dunque, scarta seccamente l'opzione del conflitto tra identità inconsueta e comunità, e di conseguenza il tema del corpo socialmente accettabile. Si concentra invece sul conflitto interiore, affiancando l'accidentato percorso di transizione alla cocciuta sfida per diventare danzatrice. Da questo punto di vista, Girl è stato interpretato principalmente come un film che mette in scena la danza come metafora della disciplina necessaria a conquistare il traguardo della realizzazione personale.
A ben vedere, invece, la danza nel film assume una dimensione ammonitiva: se per raggiungere la perfezione (sfidando tra l'altro anche i limiti armonici del genere di nascita) si deve avere una infinita pazienza, per la trasformazione del corpo è difficile chiedere la stessa, lenta applicazione e costanza.
Ecco perché Lara non può né riesce a sopportare entrambi i percorsi, che si intrecciano, sì, ma mettono in crisi la protagonista proprio perché scorrono paralleli, e quando si incrociano (nei camerini, sotto le docce, sotto il costume), producono solo problemi, ostacoli, blocchi, ritardi, frustrazioni.
L'attore Victor Polster offre dunque un doppio contratto di veridicità allo spettatore: è un uomo, come è ancora Lara per la gran parte del film, ma finge di essere una donna, senza ovviamente l'ausilio farmaceutico del personaggio (bensì solo del make-up e della recitazione); e offre il massimo grado di autenticità nelle scene di danza - il secondo binario della lunga strada intrapresa - in quanto ballerino professionista. Un dettaglio? No, perché mentire sulla danza, in un film come Girl, sarebbe stato altrettanto grave che rappresentare insensibilmente il corpo. Il cinema è corpo, sempre.