marco.vittorio.defilippis@gmail.com
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venerdì 8 dicembre 2017
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ottimo film italiano, tutto da godere.
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Io vado al cinema per vedere uno spettacolo e per ricevere ciò che il regista vuole comunicare. In un film poco soddisfacente manca uno dei due aspetti o è insufficiente o addirittura mancano entrambi. Questo film è eccellente. Il regista sollecita l'immaginazione dello spettatore in un modo bellissimo ed efficacissimo. Ciò che io ho colto dal messaggio del regista credo possa anche andare molto al di là di quello che Genovese voleva dire e rappresentare. "The place" è un film sul campo quantistico delle persone e sull'osservatore (l'uomo con l'agenda seduto fisso al tavolino) che rende possibile la creazione della realtà dei "clienti".
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Io vado al cinema per vedere uno spettacolo e per ricevere ciò che il regista vuole comunicare. In un film poco soddisfacente manca uno dei due aspetti o è insufficiente o addirittura mancano entrambi. Questo film è eccellente. Il regista sollecita l'immaginazione dello spettatore in un modo bellissimo ed efficacissimo. Ciò che io ho colto dal messaggio del regista credo possa anche andare molto al di là di quello che Genovese voleva dire e rappresentare. "The place" è un film sul campo quantistico delle persone e sull'osservatore (l'uomo con l'agenda seduto fisso al tavolino) che rende possibile la creazione della realtà dei "clienti". Non è possibile qui descrivere tutto ciò che viene implicato a livello scientifico e matematico da questo film, ma credo sia importante cogliere la nuova "morale" che viene presentata, una morale quantistica, che esce completamente dagli schemi aristotelici e per questo ci fa enormemente paura: non importa ciò che agiamo, ma quanto siamo determinati nel raggiungere il nostro obiettivo. L'equazione che regola il pricipio di indeterminazione di Schrödinger trova il suo autovettore (una delle possibili sue soluzioni, nota anche come collasso della funzione d'onda) nella determinazione del nostro obiettivo. Mirabile il finale, che non dico per non guastare la visione a chi legge senza aver visto ancora lo stupendo film. Un ultimo commento rivolto a chi vuole forzatamente trovare in un nuovo lavoro delle conferme e dei rimandi a lavori precedenti che avrebbero in qualche modo "ispirato" questo film. Per quale motivo risentirsi se tali conferme non ci sono o sono "travisate"? Io vado al cinema per godere di uno spettacolo e The place mi ha fatto godere immensamente. Questo è buon cinema italiano!
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graziac
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giovedì 23 novembre 2017
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il coraggio di cambiare
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Tutto è già stato detto e fatto, in ogni arte. Detto ciò, non ritengo peccato originale rimarcare un tema già ampiamente trattato in molte salse, al cinema: il trovarsi di fronte ad un bivio, il bene ed il male che si confrontano ed a volte si somigliano paurosamente.
Apprezzo l'impostazione teatrale data alle scene, la mancanza di distrazione dal tema principale, che a volte risulta soffocante, ma trovo giusto che, dato il peso del tema, l'attenzione resti ferma su questo. Una ineluttabilità aleggia proprio lì dove, invece, si pone l'argomento della scelta possibile: ad ognuno di noi spetta il compito di riflettere, anche se il dilemma è appena accennato.
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Tutto è già stato detto e fatto, in ogni arte. Detto ciò, non ritengo peccato originale rimarcare un tema già ampiamente trattato in molte salse, al cinema: il trovarsi di fronte ad un bivio, il bene ed il male che si confrontano ed a volte si somigliano paurosamente.
Apprezzo l'impostazione teatrale data alle scene, la mancanza di distrazione dal tema principale, che a volte risulta soffocante, ma trovo giusto che, dato il peso del tema, l'attenzione resti ferma su questo. Una ineluttabilità aleggia proprio lì dove, invece, si pone l'argomento della scelta possibile: ad ognuno di noi spetta il compito di riflettere, anche se il dilemma è appena accennato.
Attori straordinari, si, ma avrei una richiesta per un regista che fa del cast uno dei suoi punti di forza: la prossima volta, possiamo far fare il poliziotto a Borghi, il cieco a Giallini, la suora a Silvia D'Amico, la ragazzetta ad Alba Rohwacher, solo per fare degli esempi? Scombinare un po' le carte, mettendo gli attori in posti dove non sono mai stati, potrebbe arricchire il film e le loro interpretazioni, che altrimenti risultano ripetizioni di ruoli già visti.
Per quanto riguarda Mastandrea, esprime una malinconia stanca e gelida, umana allo stesso tempo; il suo volto incarna perfettamente il dolore profondo di chi conosce l'animo umano. Davvero, non so chi altro avrei potuto vedere al suo posto.
Anche la Ferilli è molto se stessa, è vero: ma in modo in cui risulta spontanea, quasi limpida nella sua semplicità.
Un buon film, senz'altro perfezionabile, ma per nulla disprezzabile.
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enricodanelli
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lunedì 20 novembre 2017
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distillato di ùbris
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Non è la fotografia della realtà, ma la concentrazione della realtà. Il distillato di mille storie, vere e/o romanzate, che si accavallano nella nostra memoria. Il succo più sincero, onesto e immediato di migliaia di anni di letterarura sul tema dell'uomo di fronte al fato, alla sorte o al destino che dir si voglia. Lasciamo stare la realizzazione di tutto ciò (peraltro più che soddisfacente a cominciare dalle intense recitazioni): se il tema trattato qui è altissimo e le ambizioni del regista altrettanto, la sensibilità dello spettatore non può essere quella di Perfetti sconosciuti (film pur impegnato e intelligente, ma non impegnativo).
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Non è la fotografia della realtà, ma la concentrazione della realtà. Il distillato di mille storie, vere e/o romanzate, che si accavallano nella nostra memoria. Il succo più sincero, onesto e immediato di migliaia di anni di letterarura sul tema dell'uomo di fronte al fato, alla sorte o al destino che dir si voglia. Lasciamo stare la realizzazione di tutto ciò (peraltro più che soddisfacente a cominciare dalle intense recitazioni): se il tema trattato qui è altissimo e le ambizioni del regista altrettanto, la sensibilità dello spettatore non può essere quella di Perfetti sconosciuti (film pur impegnato e intelligente, ma non impegnativo). Qui viene richiesta una capacità di astrazione e di sintesi, senza le quali il film non viene compreso, rischiando di risultare noioso. La sintesi è che il destino gioca a dadi con gli uomini, ma non è mai malevolo pur nella apparente crudeltà : il destino (o Provvidenza con la P maiuscola per chi ci crede) ci prepara un intreccio di storie più o meno drammatiche, richiede prove più o meno difficili, ma alla fine il lieto fine è facilmente raggiungibile se l'uomo, per il solito delirio di onnipotenza, si astiene dall'andare oltre quello che gli viene chiesto. Non è un caso che tutte le storie vedono un happy end, ad eccezione di quelle dove i protagonisti (il meccanico, Rocco Papaleo, e la moglie insoddisfatta, Vittoria Puccini), pur raggiunto l'obiettivo, chiedono al destino qualcosa di più e prendono iniziative personali sentendosi invincibili (sfidano gli dei), con ciò decretando la loro tragica rovina. Come detto ottime recitazioni, anche quella della qui ruspante Sabrina Ferilli, perfettamente calata in un personaggio semplice che si rivela poi essere la figura più enigmatica di tutto il film. Questo film è cibo per la mente e per lo spiritio.
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simoalex
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domenica 12 novembre 2017
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un tentativo coraggioso.
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Ieri ero andato al cinema per vedere Borg Vs McEnroe ma per stravaganti motivi che eludono ogni analisi lo davano solo in lingua originale allora ho dirottato su The Place, film italiano, registra italiano, attori italiani, ma titolo inglese e anche qui evitiamo farraginose analisi. Come tutti sanno il regista, Paolo Genovese, è lo stesso di Perfetti sconosciuti e soprattutto di Una famiglia perfetta, rare eccezioni nel modesto panorama del cinema italiano di oggi. Il film è una recitazione teatrale trasposta sul grande schermo con la prima mezz’ora alquanto noiosa, poi riesce comunque a trascinare lo spettatore nel meccanismo che intreccia i protagonisti e diventa anche scorrevole. Purtroppo il risultato è in ogni caso deludente e basta un giorno per essere sicuri di avere visto una storia sostanzialmente poco credibile con tematiche trite e ritrite sebbene il tentativo rimane coraggioso.
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Ieri ero andato al cinema per vedere Borg Vs McEnroe ma per stravaganti motivi che eludono ogni analisi lo davano solo in lingua originale allora ho dirottato su The Place, film italiano, registra italiano, attori italiani, ma titolo inglese e anche qui evitiamo farraginose analisi. Come tutti sanno il regista, Paolo Genovese, è lo stesso di Perfetti sconosciuti e soprattutto di Una famiglia perfetta, rare eccezioni nel modesto panorama del cinema italiano di oggi. Il film è una recitazione teatrale trasposta sul grande schermo con la prima mezz’ora alquanto noiosa, poi riesce comunque a trascinare lo spettatore nel meccanismo che intreccia i protagonisti e diventa anche scorrevole. Purtroppo il risultato è in ogni caso deludente e basta un giorno per essere sicuri di avere visto una storia sostanzialmente poco credibile con tematiche trite e ritrite sebbene il tentativo rimane coraggioso. Calabrese volevo fare un film con un taglio netto dai precedenti privilegiando egoisticamente però questo suo obiettivo ai danni delle aspettative del suo pubblico. Iconico comunque il dialogo tra Giallini e Mastrandrea: “Lei è un mostro! No sono solo quello che da mangiare ai mostri!”
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roberteroica
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domenica 19 novembre 2017
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il diavolo si vede dai dettagli
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The Place” è il nome di una tavola calda situata all’angolo di una trafficata strada di una grande città. Al suo interno siede un misterioso individuo senza nome che riceve numerose persone che vorrebbero realizzare il loro desiderio: veder regredire la malattia del marito, ritrovare Dio, guarire il figlio dal cancro, riconquistare il compagno. Ma le prove che l’uomo assegna, per arrivare alo scopo, sono quasi sempre terribili: uccidere un bambino, violentare una donna, lasciare un ordigno in un ristorante. Ma chi è veramente l’abile tessitore, che scrive continuamente in una gigantesca agenda e chiede di conoscere i particolari delle azioni e dei pensieri dei suoi interlocutori ? Diciamolo subito: “The Place” accolto con molti dubbi all’ultima Festa del Cinema di Roma non è quel film artificioso e studiato a tavolino che molti critici hanno creduto di individuare.
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The Place” è il nome di una tavola calda situata all’angolo di una trafficata strada di una grande città. Al suo interno siede un misterioso individuo senza nome che riceve numerose persone che vorrebbero realizzare il loro desiderio: veder regredire la malattia del marito, ritrovare Dio, guarire il figlio dal cancro, riconquistare il compagno. Ma le prove che l’uomo assegna, per arrivare alo scopo, sono quasi sempre terribili: uccidere un bambino, violentare una donna, lasciare un ordigno in un ristorante. Ma chi è veramente l’abile tessitore, che scrive continuamente in una gigantesca agenda e chiede di conoscere i particolari delle azioni e dei pensieri dei suoi interlocutori ? Diciamolo subito: “The Place” accolto con molti dubbi all’ultima Festa del Cinema di Roma non è quel film artificioso e studiato a tavolino che molti critici hanno creduto di individuare. O meglio, il meccanismo, architettato da Paolo Genovese, lascia da subito le sponde di un potenziale cinismo e mette in campo uno strano gioco di possibilità combinatorie, come una sorta di “sliding doors” del libero arbitrio, in cui lo spettatore è da subito irretito. Si svolge tutto dentro il locale “The Place”, è un film di cui si vedono i margini, dove il fuori campo è importante come la faccia impassibile e al tempo stesso dimessa di Valerio Mastandrea, sempre in scena, per ricordare che alla fine, ogni scelta, è sempre e solo di chi decide di accettare. Il Male come il Bene, perché il primo potrebbe trasformarsi nel secondo e viceversa (come dimostra il personaggio di Rocco Papaleo, forse il più ambiguo, “malato” e inquietante dei clienti di Mastandrea). La formula è più vicina al format televisivo, va a braccetto con la serialità, si compiace di un percorso a tappe, senza soste (nonostante tantissime dissolvenze in nero), ma anche senza noia. Certo “Perfetti sconosciuti” era diverso e probabilmente più riuscito, ma “The Place” evita anche il baracconesco e la trivialità ed è un film che merita rispetto. Cast straordinario, con una menzione particolare per Giulia Lazzarini (già “madre” di Nanni Moretti).
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michelevoss
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domenica 12 novembre 2017
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the place
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Il giudizio sul film a parer mio può essere fortemente influenzato dall'approccio allo stesso o dai gusti personali se non ci si distacca un attimo per riflettere su ciò che si è visto. <br>
Genovese ha fatto una scelta non semplice, coraggiosa nell'elaborare il plot. Il film è fatto di parole, le immagini diventano quasi secondarie. <br>
Si narra e non si vede. <br>
L'intreccio delle storie è interessante, purtroppo alcuni passaggi sono meno credibili o un po' forzati, ma alla fine tutto torna. Manca un finale che possa dare una vera scossa a tutto ciò che è stato narrato.
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Il giudizio sul film a parer mio può essere fortemente influenzato dall'approccio allo stesso o dai gusti personali se non ci si distacca un attimo per riflettere su ciò che si è visto. <br>
Genovese ha fatto una scelta non semplice, coraggiosa nell'elaborare il plot. Il film è fatto di parole, le immagini diventano quasi secondarie. <br>
Si narra e non si vede. <br>
L'intreccio delle storie è interessante, purtroppo alcuni passaggi sono meno credibili o un po' forzati, ma alla fine tutto torna. Manca un finale che possa dare una vera scossa a tutto ciò che è stato narrato. <br>
Non so quanto sia utile impelagarsi sui significati, la morale: ognuno di noi troverà qualcosa sulla base dei propri valori e sensibilità. <br>
Bravi gli attori, Mastrandrea notevole. <br>
Do tre stelle, a momenti potrebbe essere anche da quattro, merita la visione (sconsigliata a chi si annoia ad ascoltare).
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udiego
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mercoledì 15 novembre 2017
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the place
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Paolo Genovese porta sul grande schermo il riadattamento cinematografico della serie televisiva americana "The Booth at The End", dove un uomo, di cui non conosceremo mai l'identità rimarrà sempre seduto allo stesso tavolo di una tavola calda e riceverà, uno dopo l'altro, una serie di personaggi che esprimeranno a quest'uomo i loro desideri. Lui sarà pronto ad esaudirli, ma loro dovranno pagarne un prezzo.
Il regista romano dopo l'ottimo "Perfetti sconosciuti", si muove anche in questo caso in un' opera dal sapore quasi più teatrale che cinematografico, tutto ruota attorno ai diversi personaggi, alle loro forze (poche), ed alle loro debolezze (molte), i personaggi dettano il ritmo, con le loro entrate e le loro uscite dalla scena e sempre i personaggi appesantiscono ed alleggeriscono l'evolversi della vicenda.
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Paolo Genovese porta sul grande schermo il riadattamento cinematografico della serie televisiva americana "The Booth at The End", dove un uomo, di cui non conosceremo mai l'identità rimarrà sempre seduto allo stesso tavolo di una tavola calda e riceverà, uno dopo l'altro, una serie di personaggi che esprimeranno a quest'uomo i loro desideri. Lui sarà pronto ad esaudirli, ma loro dovranno pagarne un prezzo.
Il regista romano dopo l'ottimo "Perfetti sconosciuti", si muove anche in questo caso in un' opera dal sapore quasi più teatrale che cinematografico, tutto ruota attorno ai diversi personaggi, alle loro forze (poche), ed alle loro debolezze (molte), i personaggi dettano il ritmo, con le loro entrate e le loro uscite dalla scena e sempre i personaggi appesantiscono ed alleggeriscono l'evolversi della vicenda. Tenendo in considerazione il fatto che chi vi scrive non può usare la serie televisiva come metro di paragone, non avendola vista, "The Place" è un film che funziona e funziona anche bene. La sceneggiatura, è ben strutturata, ed è costruita in modo che i diversi protagonisti siano allo stesso tempo molto diversi tra loro ma anche uniti da un unico filo conduttore. Il regista si muove con una certa dimestichezza nel portarci le diverse vicende dei diversi protagonisti, che hanno anche la fortuna di essere sorretti da un cast ben costruito, e lo fa cercando di mettere a nudo l'animo umano. Siamo tutti diversi, ma tutti accomunati da un'unica cosa, la volontà di esaudire i nostri desideri, piccoli o importanti che siano. Ognuno di loro sembra mettersi nelle mani di questo misterioso individuo senza in realtà mai accorgersi di essere loro stessi gli artefici dei loro successi e dei loro insuccessi. L'opera scivola via per tutta la durata regalando allo spettatore un senso di angoscia nel vedere fino a dove i protagonisti sono in grado di arrivare per esaudire i loro desideri, lasciando all'interno delle nostre pance un'unica e inequivocabile domanda, e noi fino dove saremmo capace di arrivare per esaudire i nostri. voto 3.5/5
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giampituo
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lunedì 13 novembre 2017
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ci sediamo a un tavolo con noi stessi
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Ma perché fare un secondo film dopo un successo deve trovare tanti ostacoli da parte dei critici di mestiere o occasionali. Il film è godibile. Offre allo spettatore la possibilità di pensare. Di porsi delle domande. Di abbozzare una risposta. Chi è questo che se ne sta seduto tutta la giornata fino s notte a ricevere la gente è a fare patti con loro. E che patti poi. Chi sarà uno psicologo? Un demone? Un imbroglione di mago? Un mistificatore qualsiasi? Ma no! siamo solo noi a sederci davanti a un tavolo soli con noi stessi e a dover scegliere un comportamento da attuare.
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Ma perché fare un secondo film dopo un successo deve trovare tanti ostacoli da parte dei critici di mestiere o occasionali. Il film è godibile. Offre allo spettatore la possibilità di pensare. Di porsi delle domande. Di abbozzare una risposta. Chi è questo che se ne sta seduto tutta la giornata fino s notte a ricevere la gente è a fare patti con loro. E che patti poi. Chi sarà uno psicologo? Un demone? Un imbroglione di mago? Un mistificatore qualsiasi? Ma no! siamo solo noi a sederci davanti a un tavolo soli con noi stessi e a dover scegliere un comportamento da attuare. Insomma siamo noi con la nostra volontà di esseri umani o con il libero arbitrio della Fede (per chi ce l’ha) a decidere la nostra vita. Ancora un bravo al regista e a tutti gli attori che hanno lavorato degnamente.
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salvelli
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giovedì 16 novembre 2017
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un po' lenta - la prima parte - ma stimolante
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L'ho visto ieri sera: la prima parte mi ha un po' deluso, molto lenta ed anche un po' ripetitiva.
Andando avanti, però, la storia è diventata intrigante: pone delle domande - morali - su quanto ognuno di noi farebbe per ottenere ciò che desidera maggiormente.
Quando poi, sostanzialmente, i nostri desideri si avverano nel momento in cui ci comportiamo secondo quanto ci indica il nostro senso di giustizia, la nostra empatia umana verso gli altri.
Il personaggio di Mastandrea (grandiosa la sua interpretazione) in fondo non é altro che uno specchio dove ognuno di noi vede riflessa la propria immagine vera ed in fondo anche lui è schiavo del suo stesso "meccanismo" ed alla fine cade, infatti, tra le grinfie di Angela, che prende il suo posto.
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L'ho visto ieri sera: la prima parte mi ha un po' deluso, molto lenta ed anche un po' ripetitiva.
Andando avanti, però, la storia è diventata intrigante: pone delle domande - morali - su quanto ognuno di noi farebbe per ottenere ciò che desidera maggiormente.
Quando poi, sostanzialmente, i nostri desideri si avverano nel momento in cui ci comportiamo secondo quanto ci indica il nostro senso di giustizia, la nostra empatia umana verso gli altri.
Il personaggio di Mastandrea (grandiosa la sua interpretazione) in fondo non é altro che uno specchio dove ognuno di noi vede riflessa la propria immagine vera ed in fondo anche lui è schiavo del suo stesso "meccanismo" ed alla fine cade, infatti, tra le grinfie di Angela, che prende il suo posto.
Un film più che discreto, che fa pensare.
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valterchiappa
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sabato 18 novembre 2017
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un cinema che si riduce a scrittura
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Era lecito attendersi che, dopo il clamoroso successo di “Perfetti sconosciuti”, Paolo Genovese percorresse strade già tracciate. Quello che non era prevedibile è che lo facesse in maniera estrema, non riproponendo sic et simpliciter una ricetta già collaudata, ma spingendo alle estreme conseguenze il modo di fare cinema sperimentato con la precedente opera. Ancor meno che avesse il coraggio di abbandonare il registro comico e i temi pruriginosi, che senz’altro avevano contribuito in maniera determinante al risultato ai botteghini della passata stagione, rischiando così di disattendere le attese di un pubblico come sempre famelico di nuove risate.
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Era lecito attendersi che, dopo il clamoroso successo di “Perfetti sconosciuti”, Paolo Genovese percorresse strade già tracciate. Quello che non era prevedibile è che lo facesse in maniera estrema, non riproponendo sic et simpliciter una ricetta già collaudata, ma spingendo alle estreme conseguenze il modo di fare cinema sperimentato con la precedente opera. Ancor meno che avesse il coraggio di abbandonare il registro comico e i temi pruriginosi, che senz’altro avevano contribuito in maniera determinante al risultato ai botteghini della passata stagione, rischiando così di disattendere le attese di un pubblico come sempre famelico di nuove risate.
Con “The Place” Genovese spiazza tutti e propone uno storia drammatica, dagli accenti metafisici e dallo sviluppo originale, riadattando per il grande schermo, in maniera invero pedissequa, la serie televisiva americana “The booth at the end”.
Un uomo misterioso (Valerio Mastandrea) riceve i suoi clienti seduto al tavolo di un locale. Ognuno di loro ha un desiderio, talora futile, talora drammaticamente pressante: chi spera nella guarigione di un caro, chi vuole una donna con cui andare a letto; chi vuole salvare un matrimonio, chi vuole diventare più bella; chi vuole trovare Dio, chi una somma di denaro. L’uomo ha una risposta per tutti. Ma cambiare il destino ha un prezzo: per esaudire i propri sogni, si deve portare a termine un compito, che l’uomo sembra distribuire con beffardo sadismo. Le vicende dei protagonisti impegnati nelle rispettive missioni si intersecheranno a loro insaputa, con conseguenze paradossali ed estreme. Ci siamo capiti: è il mito di Faust riveduto e (nemmeno tanto) corretto.
È evidente che la tecnica costruttiva nelle due ultime opere di Genovese sia rimasta la stessa. Il punto di partenza è una (ed una sola) idea forte, riassumibile in una domanda provocatoria. “Cosa succederebbe se si mettesse completamente a nudo la propria vita privata?” si chiedevano gli spettatori di “Perfetti sconosciuti”; “Cosa si è disposti a fare per realizzare i propri desideri?” è la domanda che implicitamente l’uomo interpretato da Valerio Mastandrea pone ai suoi interlocutori e che Genovese gira al suo pubblico.
Ma anche uno (ed uno solo) è lo strumento utilizzato: una indubbia facilità di scrittura, che si esprime nella capacità di creare intrecci abilmente tessuti, che si ramificano dal germe iniziale fino a formare una rete comunque sempre fluida di complesse connessioni.
Il resto per Genovese è superfluo e nel percorso da “Perfetti sconosciuti” a “The Place” viene ridotto all’osso: lo spazio scenico, prima un appartamento, è minimizzato nel tavolino di un locale; i movimenti della macchina, prima circoscritti all’ambiente chiuso, si fermano, sostituiti da campo e controcampo. Anche la recitazione, ultimo baluardo, viene castrata. Nulla delle vicende dei protagonisti viene mostrato allo spettatore, lo svolgersi dei fatti viene raccontato e all’attore viene lasciato spazio di azione nell’ambito angusto di uno statico close-up.
Il regista mette su, ne ha bisogno, una squadra di campioni, stelle per bravura o notorietà. Ma il rendimento del suo cast, di fronte ad una prova così impegnativa, non è uniforme. Valerio Mastandrea primeggia: con il tipico disincanto dell’espressione, conferisce l’adeguato cinismo all’enigmatico protagonista. Marco Giallini usa invece una mimica esasperata per tratteggiare il suo rude poliziotto, finendo abbondantemente sopra le righe. Alba Rohrwacher è una suora perfetta, soave nell’espressività e flautata nella voce. Rocco Papaleo è inaspettatamente convincente nel suo ruolo surreale. Intenso Vinicio Marchioni, da rivedere l’ormai onnipresente Alessandro Borghi, per una volta chiamato ad agire in punta di pennello. Efficace la luminosa ingenuità dipinta da Silvia D’Amico, evanescente come sempre Vittoria Puccini. Promossa ad honorem una signora dello spettacolo come Giulia Lazzarini, nonostante il manierismo; rimandata a settembre Sabrina Ferilli, che pur sa essere intrigante, per la dizione inevitabilmente trascinata.
Genovese scrivendo, sia pur con una riconoscibile letterarietà, frantuma la struttura filmica ed il suo far cinema giunge paradossalmente ad una negazione dello stesso, ridotto a semplice narrazione. La quale però non vuol nemmeno raccontare, bensì colpire, sorprendere, eventualmente disturbare: il suo fine esclusivo pare essere la ricerca dello stupore. Con la qualità della sua penna ci riesce: se “Perfetti sconosciuti” sapeva solleticare, “The Place” intriga con una malia che perdura anche dopo l’uscita dalla sala.
Ma, come il suo diabolico protagonista, Paolo Genovese esige un prezzo: in cambio del suo successo ci chiede di uccidere il cinema.
Voto: 6.5
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