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Ultimo aggiornamento giovedì 23 ottobre 2014
Un viaggio nella storia degli Spandau Ballet e in un'epoca in cui una piccola band è riuscita a conquistare il mondo della musica, del cinema e della moda.
CONSIGLIATO SÌ
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Origini, ascesa, successo e declino - reunion compresa - di una delle pop band leader degli anni '80. I londoners Spandau Ballet, amici e sodali, si formano mentre il punk esauriva la sua vena contestatrice e nichilista e si affermava il nuovo, sofferto corso thatcheriano. Tony Hadley, John Keeble, Gary e Martin Kemp e Steve Norman, erano convinti di star costruendo «il manifesto creativo degli anni '80», al centro com'erano di un ciclone innovatore tra moda, musica, arti grafiche, advertising. Figli della classe lavoratrice, che su di loro investe le aspirazioni di riscatto, si terranno lontani dall'impegno politico, anche perché non ne avranno tempo: nella scalata alle classifiche, ad ogni album seguirà un tour, in un'euforia ininterrotta. Fino al 1990 circa, quando la stanchezza soverchierà energie ed entusiasmi. Alla loro scissione mai ufficializzata segue nel '99 una causa a Gary Kemp, unico autore dei testi, per royalties rivendicate da Hadley, Keeble e Norman. Nonostante ciò, la voglia di suonare insieme fa in qualche modo che tutti passino sopra ai rancori, come dimostra l'ultima sequenza live, con Hadley che fa venire in mente la generosità decaduta dell'ultimo Elvis.
Con un'operazione analoga a quella dei Rolling Stones in Crossfire Hurricane, anche se con minor enfasi autopromozionale, il documentario di George Hencken sovrappone in voice over alla miriade d'interviste d'epoca i commenti alternati di oggi di tutta la band. Se a 35 anni esatti dalla loro nascita gli Spandau Ballet possono vantare una solida cinebiografia come questa è innanzitutto perché quel decennio, in cui il video esplose in ogni forma, ha catturato un archivio sterminato di loro immagini, sul palco e fuori, per lo più televisive. Con un netto sbilanciamento sulla prima parte, la regista le integra con materiali che rendono il contesto storico in cui il gruppo, già sedotto dal "pianeta Bowie", ricercava un «sound del futuro», tra new wave e romanticismi vari, sfondando con un pop di matrice elettronica ma aperto a contaminazioni soul e funk. Una maggiore profondità sui loro cambiamenti di attitude e sound da un disco all'altro avrebbe giovato e la rivalità accennata tra Hadley e Kemp rimane sottotraccia; nonostante ciò il film non risulta mai un endorsement plateale della band, ma ricerca, con la pura forza di quell'archivio, le dinamiche psicologiche di 5 ventenni scagliati con poca consapevolezza nel successo (mezzo milione di copie vendute con il primo singolo) e che da lì in avanti si godono il party fino all'ultima goccia. Smentita ogni belligeranza coi Duran Duran - coi quali avevano gozzovigliato anche la sera prima della sala prova per il Live Aid, e che sfidarono in un esilarante quiz televisivo - e acclarata la loro pura gioia di esibirsi, l'attenzione si concentra non sui clichés triti da vita in tour ma sul sogno avverato di cinque ragazzi di strada. Un sogno spesso additato come puramente escapista perché consumato nella decade più consumistica del secolo scorso («ma non è la stessa cosa che vuoi fare quando vai a vedere un film?» dice Gary Kemp a proposito di evasione). Anche se la cosa più rischiosa, per ogni band, è riunirsi. Perché come dice sempre Gary, «è solo musica pop, ma ti porta in posti dove non avrei voluto andare».
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