teardrop
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domenica 14 giugno 2015
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nè celebrativo nè parziale, ma...
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La sanguinosa guerra civile americana, segnò la fine di un'epoca opponendo tra il 1861 e il 1865 l’Unione del nord agli stati secessionisti del Sud. Nel settembre del 1862 Lincoln annunciò che dal gennaio 1863 gli schiavi sarebbero stati liberi per sempre. Ma solo il tredicesimo emendamento della Costituzione (punto centrale del film), ratificato nel dicembre 1865, avrebbe permesso l'abolizione della schiavitù in tutto il territorio degli Stati Uniti. Oltre quattro milioni di schiavi conquistarono la libertà, ma, molto meno di quanto erano le loro attese, la vera liberazione arrivò cent'anni dopo.
Dopo "Schindler's list" e "Salvate il soldato Ryan", "Lincoln" è un nuovo racconto storico di Spielberg.
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La sanguinosa guerra civile americana, segnò la fine di un'epoca opponendo tra il 1861 e il 1865 l’Unione del nord agli stati secessionisti del Sud. Nel settembre del 1862 Lincoln annunciò che dal gennaio 1863 gli schiavi sarebbero stati liberi per sempre. Ma solo il tredicesimo emendamento della Costituzione (punto centrale del film), ratificato nel dicembre 1865, avrebbe permesso l'abolizione della schiavitù in tutto il territorio degli Stati Uniti. Oltre quattro milioni di schiavi conquistarono la libertà, ma, molto meno di quanto erano le loro attese, la vera liberazione arrivò cent'anni dopo.
Dopo "Schindler's list" e "Salvate il soldato Ryan", "Lincoln" è un nuovo racconto storico di Spielberg. Il film descrive gli ultimi quattro mesi della sua presidenza. Il regista è riuscito a centrare il suo obiettivo. Il ritratto di Lincoln, della sua personalità, è attendibile, la sua abilità di negoziatore e centrata, così pure il disegno del politico che combatte (dietro le quinte) in un momento chiave nella storia degli Stati Uniti. E' una lezione di storia. Spielberg ci spiega come la politica sia pervasa da intrighi, corruzione, accordi sottobanco, insomma, ci fa capire che era una cosa sporca anche allora. Come da copione, il regista ha pure scelto un cast d'eccezione, sia Daniel Day-Lewis, Sally Field e Tommy Lee Jones, sono impeccabili. Tecnicamente il film è confezionato perfettamente, didattico, irreprensibile dal punto di vista figurativo, stilisticamente integralista, tanto che l'assassinio del presidente, è ridotto al minimo, una scelta voluta. "Lincoln" non è celebrativo e neanche parziale, è realistico... ma lascia perplessità.
Anche se per alcuni è certamente interessante seguire i brogli, le pressioni per trovare i voti al fine di imporre la riforma, per altri, (per me ad es.) è difficile farsi coinvolgere dagli avvenimenti. Gran parte del film, che dura due ore e mezzo, si perde in interminabili disquisizioni politiche e scontri verbali. A parte rare scene di battaglia e brevi scorci di vita familiare, "Lincoln" si svolge nelle camere della Casa Bianca e del Congresso. Chi non è interessato ad un trattato di storia americana, deve sorbirsi fiumi di parole sul diritto e lunghe dispute parlamentari. Il tutto serve a creare il climax ideale per la scena madre, la votazione per la ratifica dell’emendamento.
Al confronto con "Schindler's list", è molto meno agile e appassionante, con una sovrabbondanza di dialoghi che lo rendono difficile da digerire. Di là dai meriti che ho citato, il film non suscita emozione.
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tiamaster
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venerdì 1 febbraio 2013
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cinema perfetto e alto, ma non sempre emozionante
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Lincoln è un film molto più difficile da recensire di quanto non sembri. La pellicola è oggettivamente perfetta: la fotografia, la maestosa regia di Spielberg e la sceneggiatura raggiungono picchi altissimi (per non parlare di costumi e scenografie, che rendono il film spettacolare anche a livello visivo), con momenti di sublime poesia e con un cast veramente pauroso: Daniel Day-Lewis ci regala la sua più grande interpretazione dai tempi de "il nome del padre" (purtroppo non ho visto "il petroliere", dove tutti sembrerebbero concordi nel dire che ha sfoggiato una delle più grandi prove recitative della storia del cinema) ma anche Tommy Lee Jones è stato capace di rendere alcuni momenti estremamente potenti.
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Lincoln è un film molto più difficile da recensire di quanto non sembri. La pellicola è oggettivamente perfetta: la fotografia, la maestosa regia di Spielberg e la sceneggiatura raggiungono picchi altissimi (per non parlare di costumi e scenografie, che rendono il film spettacolare anche a livello visivo), con momenti di sublime poesia e con un cast veramente pauroso: Daniel Day-Lewis ci regala la sua più grande interpretazione dai tempi de "il nome del padre" (purtroppo non ho visto "il petroliere", dove tutti sembrerebbero concordi nel dire che ha sfoggiato una delle più grandi prove recitative della storia del cinema) ma anche Tommy Lee Jones è stato capace di rendere alcuni momenti estremamente potenti. Ma la pellicola non lo è. Il film ha una durata sproposita in confronto a quello che mostra,è quasi interamente ambientata in interni, e la quasi totalità del film è basata solo su dialoghi. Non proprio una passeggiata, per un film di 153 minuti.Ma il problema, oltre al ritmo lento, e che Spielberg non riesce a creare una vera e propria presa emotiva sullo spettatore, e per un film di tale durata non è un bene.Decisamente no. A ogni modo, gli affreschi storici di Schindler's list, salvate il soldato Ryan e L'impero del sole sono lontani....
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immanuel
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sabato 9 febbraio 2013
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l'uso politico della storia genera film mediocri
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C'è stato chi ha scritto che questo film rappresenta "un vero e proprio incontro ravvicinato di terzo tipo (sic!) con la storia"... Al di là delle frasi fatte roboanti e a effetto, mi sento di dire che Lincoln, semmai, ha aggirato la storia, l'ha perimetrata confinandola a un rilievo minoritario e evitando il più possibile di raccontare (omettendoli) fatti di ben più grande rilevanza. In altri termini una agiografia, o poco più, senza realmente indagare le cause e gli effetti dello schiavismo e della guerra civile (le cui immagini lo spettatore scorge in qualche fredda e iconografica lastra fotografica o in una appena accenata scena di combattimento iniziale), come la crisi di una giovane repubblica, con i suoi valori di democrazia, messa in pericolo da una guerra distruttiva.
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C'è stato chi ha scritto che questo film rappresenta "un vero e proprio incontro ravvicinato di terzo tipo (sic!) con la storia"... Al di là delle frasi fatte roboanti e a effetto, mi sento di dire che Lincoln, semmai, ha aggirato la storia, l'ha perimetrata confinandola a un rilievo minoritario e evitando il più possibile di raccontare (omettendoli) fatti di ben più grande rilevanza. In altri termini una agiografia, o poco più, senza realmente indagare le cause e gli effetti dello schiavismo e della guerra civile (le cui immagini lo spettatore scorge in qualche fredda e iconografica lastra fotografica o in una appena accenata scena di combattimento iniziale), come la crisi di una giovane repubblica, con i suoi valori di democrazia, messa in pericolo da una guerra distruttiva. Una retorica autocelebrazione di un'America in crisi, che si consola accontentandosi, nel primo XXI secolo, delle sue conquiste in temi di "diritti umani" (di essere arrivata a "conquistarsi" il primo presidente nero della storia, come se non contassero poi le reali discriminazioni che ancora allignano nelprofondo della società statunitense), raffrontando se stessa con quei tristi, bui e brutali anni dominati dalla guerra fratricida e dal gioco schiavile legalizzato. Dunque una autocelebrazione consolatoria, finta e inevitabilmente fragile, un palcoscenico di finzione, di votaggine e di ideologia. Quella di chi ha voluto, più che indagare le cause di un fenomeno, indulgere all'encomiastica e fredda celebrazione della "patria lincolniana", quella antischiavile, contro quella nemica rappresentata dagli strenui difensori delle gerachie razziali, che guardavano dall'alto in basso, col faccino corrucciato, un nero in divisa militare... Una tale sciatteria non era richiesta in un film che volevasi storico, eppure Spielberg è riuscito a fare di peggio, pur conferendo alla pellicola una patina di "vecchiume", piuttosto che di storia, ancorché solo scabra e superficiale. Qui non si vogliono contestare le abilità del regista, non si vuole neanche lontanamente mettere in forse le capacità registiche di Spielberg, indiscusse, tuttaltro: sono i meccanismi narrativi e l'intento ideologico a venire contestati, con il loro portato di retorica, di pompa, di enfasi, di teatralità ai limiti del caricaturale (come nella rappresentazione di alcuni personaggi, come la povera moglie di Lincoln o il deputato abolizionista Thaddeus Stevens). Detto fuori dai denti: si è voluto far commuovere lo spettarore, ma senza praticare la benché minima pedagogia. Non si pretendeva certo una lezione di storia, ma non era necessario, d'altro canto, neppure un tal grado di falsificazione, come se, realmente, le sorti del conflitto venissero a dipendere dall'approvazione del 13° emendamento (che non si applicava alla Confederazione) o il popolo unionista apparisse più interessato alle sorti della battaglia parlamentare sull'abolizionismo, che alla volontà del gabinetto di porre termine a un conflitto sanguinosissimo, da cui l'America uscì distrutta. Non stupisce che il film si sia svolto tra dialoghi spesso surreali, nella penombra delle lampade ad olio degli ambulacri della Casa Bianca, e molto poco o quasi per nulla per le strade di un paese in guerra, trai campi di battaglia (dove il protagonista in una fugace scena finale sembra passare freddamente quasi per caso), nelle baracche dei neri sfruttati o nei campi del sistema schiavistico. Non sorprende, infine, che questa America non abbia voluto vedere neppure ucciso il proprio eroe. Che ha preferito osservare morente ma sereno al proprio capezzale, come è quello di un'America, e di un film soprattutto, di un grigiore e di una disillusione svilenti.
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raffaelemarino
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domenica 24 febbraio 2013
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non vederlo sarebbe un peccato
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Un elogio al bravo daniel day lewis per aver trovato un ritratto ad un personaggio dove le fonti storiche sono poche reperibili visto il periodo storico,si parla del 1856,una voce sottile ma autoritaria una camminata altalenante che risalta la figura e l'originalità di quell'uomo.Particolarmente bravo tommy lee jones che ha trovato delle sfaccettature ad un personaggio che giocava tanto di ambiguità.Mi è piaciuta la collaborazione tra costumi fotografia,quei colori pastello hanno dato davvero quel senso di assistere ad una pellicola antica.Anche le scenografie molto a soggetto senza troppi ninnoli tutto era giustificato messo in quel punto perchè doveva raccontare qualcosa.
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Un elogio al bravo daniel day lewis per aver trovato un ritratto ad un personaggio dove le fonti storiche sono poche reperibili visto il periodo storico,si parla del 1856,una voce sottile ma autoritaria una camminata altalenante che risalta la figura e l'originalità di quell'uomo.Particolarmente bravo tommy lee jones che ha trovato delle sfaccettature ad un personaggio che giocava tanto di ambiguità.Mi è piaciuta la collaborazione tra costumi fotografia,quei colori pastello hanno dato davvero quel senso di assistere ad una pellicola antica.Anche le scenografie molto a soggetto senza troppi ninnoli tutto era giustificato messo in quel punto perchè doveva raccontare qualcosa.La sceneggiatura molto forbita molto curata grammaticalmente per i dettagli dell'epoca;forse troppo dialogata,infatti tutto giocava sull'opera di persuasione di far accettare quella legge da parte di chi si sentiva minacciato.Troppe poche le location, tutto girato per il 90% negli interni.Anche la storia parallella,ossia le vicende familiari private di Lincoln,sono state trattate in punta di piedi senza mai dare fastidio alla storia principale. Il film sicuramente si accaparrerà qualche statuetta visto il tema del 13°emendamento che aboliva la schiavitù e visto anche l'attuale presidente americano.La cosa che di più mi ha sbalordito sono stati i lunghi piani sequenza con relative carrellate,dove l'attore recitava senza mai fermarsi,interi monologhi senza uno stop;questo modo di fare si faceva negli anni 70 quando gli attori erano "ATTORI" naturalmente con un caratterista come D.D.Lewis, per regista è un invito a nozze, una caratterizzazione registica del genere.Per gli addetti ai lavori basterebbe solo questo per andare a vedere questo lugometraggio.Il mio consiglio è: se siete amanti del genere storico e volete assistere ad una tecnica cinematografica eccellente andate anche a vederlo!!!che il ciak sia con voi raffaele marino
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pensierocivile
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giovedì 28 febbraio 2013
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fatica, sangue e redenzione
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Dopo la prima ora del film è facile pensare all'impossibilità di giungere alla fine; la scalata della montagna è davvero ardua e nessuno fa nulla per aiutare il povero spettatore a sopravvivere all'immane verbosità dei dialoghi, al loro tecnicismo riformatore, all'immobilismo di una messa in scena che teatralizza tutta l'ideologia, il senso dell'atto a cui apprestarsi. Fortunatamente quando dalla teoria, dal concetto, il tredicesimo emendamento si approccia alla realtà politica e il livello accompagna il ritmo della Storia, nasce un nuovo film, meravigliosamente lucido. I tasselli tornano alla perfezione al loro posto: Spielberg, nonostante si proni totalmente al racconto, ci mostra un Lincoln iconografico, a volte ombra, vittima delle proprie scelte e succube di mani, comunque, sporche di sangue, a volte lo staglia a fondamento della Storia, a origine del senso stesso di Nazione e farlo cavalcare lentamente fra i cadaveri di una guerra fratricida riconsegna valore all'arte della politica.
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Dopo la prima ora del film è facile pensare all'impossibilità di giungere alla fine; la scalata della montagna è davvero ardua e nessuno fa nulla per aiutare il povero spettatore a sopravvivere all'immane verbosità dei dialoghi, al loro tecnicismo riformatore, all'immobilismo di una messa in scena che teatralizza tutta l'ideologia, il senso dell'atto a cui apprestarsi. Fortunatamente quando dalla teoria, dal concetto, il tredicesimo emendamento si approccia alla realtà politica e il livello accompagna il ritmo della Storia, nasce un nuovo film, meravigliosamente lucido. I tasselli tornano alla perfezione al loro posto: Spielberg, nonostante si proni totalmente al racconto, ci mostra un Lincoln iconografico, a volte ombra, vittima delle proprie scelte e succube di mani, comunque, sporche di sangue, a volte lo staglia a fondamento della Storia, a origine del senso stesso di Nazione e farlo cavalcare lentamente fra i cadaveri di una guerra fratricida riconsegna valore all'arte della politica. Fondamentale per l'impianto del film l'interpretazione totale di Daniel Day-Lewis, accompagnato dalla dura genialità di Tommy Lee Jones a cui spetta la scena più divertente, quella della "persuasione" di un democratico, e dalla sorpresa James Spader, perfetto, "sudato". Non si può dimenticare neppure il dolore di Sally Field che sul finale si arrende al destino e alla grandezza di colui che le è a fianco. Insomma un eccellente cast, per un ottimo film che può permettersi il lusso di tralasciare la scena dell'omicidio per puntare tutto sulla solitudine di coloro che lo videro morire, consegnato alla Storia.
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(di marinabelinda)
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director's cult
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venerdì 26 aprile 2013
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un voto per la libertà
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Steven Spielberg torna a occuparsi della delicata e controversa tematica della schiavitù dopo Amistad, analizzando contemporaneamente come il sistema politico del XIX secolo non sia così differente da quello di oggi, con la sua ultima fatica, Lincoln. Quell'Abraham Lincoln che fu capace di offrire l'emancipazione agli schiavi, seppur utilizzando mezzi al limite del lecito.
L'affresco storico è sapientemente maneggiato da Steven Spielberg, in una cornice che rasenta ormai la perfezione del regista statunitense, ormai un veterano di Hollywood. Campi lunghi, visioni "ariose" di un ambiente ottocentesco pulito e immacolato, in netta contrapposizione con l'orrore e la violenza della guerra.
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Steven Spielberg torna a occuparsi della delicata e controversa tematica della schiavitù dopo Amistad, analizzando contemporaneamente come il sistema politico del XIX secolo non sia così differente da quello di oggi, con la sua ultima fatica, Lincoln. Quell'Abraham Lincoln che fu capace di offrire l'emancipazione agli schiavi, seppur utilizzando mezzi al limite del lecito.
L'affresco storico è sapientemente maneggiato da Steven Spielberg, in una cornice che rasenta ormai la perfezione del regista statunitense, ormai un veterano di Hollywood. Campi lunghi, visioni "ariose" di un ambiente ottocentesco pulito e immacolato, in netta contrapposizione con l'orrore e la violenza della guerra. E proprio come in Salvate il soldato Ryan, il film si apre con la scena del conflitto in tutta la sua crudezza e violenza, in perfetta contrapposizione con la poetica delle immagini offerte nell'immaginazione di un Lincoln narratore e sognatore di pace e libertà (la scena più bella); complice anche la fotografia di Janusz Kaminski, storico collaboratore di Spielberg.
Se dal punto di vista stilistico è ineccepibile, il cineasta pecca ancora di retorica facendo proprio lo stesso errore con Salvate il soldato Ryan, affogando la pellicola in un eccesso di patriottismo.
Sceneggiato dal premio Pulitzer Tony Kushner (Angels in America, e seconda collaborazione con Spielberg dopo Munich)la storia vira in un nazionalismo eccessivo, rallentando la fluidità del racconto.
L'inizio del film pecca di lentezza, per poi pian piano riprendersi nel ritmo, offrendo allo spettatore momenti di pathos sia nei momenti "intimi" del presidente in compagnia di una moglie forte, volitiva e testarda come Mary Todd, così come il difficile rapporto con il figlio Robert, mentre i momenti di tenerezza sono dedicati al più piccolo, Teddy (Spielbeg non si fa mancare nulla pur di compiacere il pubblico). La parte del leone è quella politica, dai tentativi di "convicere" i rappresentanti della Camera, al momento di maggiore suspence della votazione, dove Lincoln sembra quasi in disparte, in attesa di sapere se la società americana è pronta a cambiare radicalmente.
Spielberg genio della macchina da presa e ottimo direttore di attori, complici di una messa in scena avvincente, grazie a un cast stellare a partire da Daniel Day-Lewis, al terzo Oscar con questo ruolo, dove offre un'interpretazione maniacale dalla somiglianza ai (possibili) tic, dalla postura alle pacche di circostanza.
Al pari di un'interpretazione da Academy Awards è Tommy Lee Jones, che fa di Sullivan un uomo sanguigno e arguto, mentre la Mary Todd di Sally Field è dalla grande forza d'animo e caparbia, molto vicina alla donna contemporanea. Buona anche l'interpretazione di Joseph Gordon Levitt, diventato un attore di spessore, incarnando un Robert Lincoln pronto a combattere la "sua" guerra, incurante dell'appello pacifista (e protettivo) del padre.
Lincoln di Steven Spielberg è un film storico di ottima fattura, ma come la sua regia è di ampio respiro, così dovrebbe essere anche quello che racconta, pur riuscendo a creare un film più interessante di un libro di storia.
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archipic
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martedì 5 febbraio 2013
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un lincoln rigoroso e solido
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Un rigore quasi filologico spinge il grande story-teller Steven Spielberg a confezionare un film sul grande presidente Lincoln che può lasciare un senso di pesantezza a fine visione, ma che invece lascia la sensazione di aver assistito ad un'operazione di notevole valore. Concentrare la storia sull'approvazione del 13° emendamento (abolizione della schiavitù) poteva essere un'arma a doppio taglio, visto lo spessore del personaggio; invece la storia ne esce rafforzata in quanto intorno allo spunto base, l'ottima sceneggiatura di Kushner tesse una tela di interazioni politiche, familiari, sociali ed economiche che sono trattate davvero con maestria. Una sceneggiatura corposa, con dialoghi serrati e profondi che richiedono una grande attenzione per seguirli nel pieno del loro significato.
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Un rigore quasi filologico spinge il grande story-teller Steven Spielberg a confezionare un film sul grande presidente Lincoln che può lasciare un senso di pesantezza a fine visione, ma che invece lascia la sensazione di aver assistito ad un'operazione di notevole valore. Concentrare la storia sull'approvazione del 13° emendamento (abolizione della schiavitù) poteva essere un'arma a doppio taglio, visto lo spessore del personaggio; invece la storia ne esce rafforzata in quanto intorno allo spunto base, l'ottima sceneggiatura di Kushner tesse una tela di interazioni politiche, familiari, sociali ed economiche che sono trattate davvero con maestria. Una sceneggiatura corposa, con dialoghi serrati e profondi che richiedono una grande attenzione per seguirli nel pieno del loro significato. Notevoli le interpretazioni degli attori, specialmente dei 3 protagonisti; un eccellente D.D. Lewis (come sempre) si avvia a rivincere l'oscar (doppiato in modo favoloso da Pierfrancesco Favino, capace di captare e restituire i colori ed i timbri del recitato originale), un ficcante ed efficace T.L. Jones in equilibrio tra ironia e pathos e Sally Field molto brava a rendere il personaggio della moglie un pò in ombra che soffre ancora e sempre per la morte di un figlio. Motevole la fotografia, specialmente per la resa degli interni. Il grande John Williams compone un'ottima partitura che non emerge mai con prepotenza ma offre il giusto background all'azione. La solita regia di Spielberg, poi, fa da collante all'intera impalcatura, reggendola con solidità e mano ferma confermando la sua straordinaria capacità di raccontare storie; una cosa semplice a dirsi ma difficile a farsi, bene... ma lui ci riesce sempre.
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nino pell.
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domenica 10 febbraio 2013
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perfetto ma con momenti piuttosto prolissi
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L'esperienza di Spielberg fa si che "Lincoln" è un film sicuramente perfetto nell'interpretazione e maturo nello stile narrativo con cui si evidenzia un importantissimo momento storico dell'America. Quasi come se si trattasse di un vero e proprio documentario. Il film è però anche caratterizzato da situazioni e momenti decisamente piuttosto prolissi e ciò a discapito di quel certo pathos che ogni grande pellicola dovrebbe trasmettere nello spettatore. Fortunatamente non c'è alcuna traccia di qualsiasi enfasi hollywoodiana nel modo moderno di fare Cinema a base di effetti speciali e di scene vertiginose e del resto Spielberg è troppo grande come regista per scadere in tali bassezze di stile, però allo stesso tempo, e lo confesso, certi dialoghi li ho trovati decisamente inutili ed allungano pesantemente la trama.
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L'esperienza di Spielberg fa si che "Lincoln" è un film sicuramente perfetto nell'interpretazione e maturo nello stile narrativo con cui si evidenzia un importantissimo momento storico dell'America. Quasi come se si trattasse di un vero e proprio documentario. Il film è però anche caratterizzato da situazioni e momenti decisamente piuttosto prolissi e ciò a discapito di quel certo pathos che ogni grande pellicola dovrebbe trasmettere nello spettatore. Fortunatamente non c'è alcuna traccia di qualsiasi enfasi hollywoodiana nel modo moderno di fare Cinema a base di effetti speciali e di scene vertiginose e del resto Spielberg è troppo grande come regista per scadere in tali bassezze di stile, però allo stesso tempo, e lo confesso, certi dialoghi li ho trovati decisamente inutili ed allungano pesantemente la trama. Infine un elogio personale all'attore Tommy Lee Jones che qui interpreta il ruolo del Ministro Stevens, personaggio quest'ultimo che si contraddistingue per il suo carattere apparentemente pacato, ma che allo stesso tempo dimostra di avere una grande forza di carattere nel difendere fino alla fine i suoi ideali di lotta contro la schiavitù. Nelle sequenze finali scopriamo che le sue azioni sono dettate da un nobile movente romantico. "Lincoln" è quindi un film di tutto rispetto, ma si sarebbe dovuto comprimere di almeno una ventina di minuti.
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shiningeyes
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martedì 5 marzo 2013
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film di valore, ma un poco noioso.
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Il tocco di Spielberg si riconosce, come sempre: è quell'umanità che circonda i personaggi più importanti, e la bassezza e ridicolaggine con cui traveste gli antagonisti, ed è anche, la furberia e faccia tosta degli aiutanti esterni. L'unica differenza tra "Lincoln" e gli altri film di Spielberg, è, che questo qui è un ripieno di politica e filosofia con zero azione, scarnificato dai migliori esempi della poetica Spielberghiana. Intendiamoci, qui non ci sono momenti sognanti o scene da rimanere a bocca aperta; c'è curiosità, ma bocca, si apre più per gli sbadigli.
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Il tocco di Spielberg si riconosce, come sempre: è quell'umanità che circonda i personaggi più importanti, e la bassezza e ridicolaggine con cui traveste gli antagonisti, ed è anche, la furberia e faccia tosta degli aiutanti esterni. L'unica differenza tra "Lincoln" e gli altri film di Spielberg, è, che questo qui è un ripieno di politica e filosofia con zero azione, scarnificato dai migliori esempi della poetica Spielberghiana. Intendiamoci, qui non ci sono momenti sognanti o scene da rimanere a bocca aperta; c'è curiosità, ma bocca, si apre più per gli sbadigli.
Il film è certamente dotato di una gran dose di paraculaggine, non c'è che dire, mostrandoci la migliore raffigurazione possibile di Abhram Lincoln, strenuo difensore dell'emendamento 13, che abolisce la schiavitù. Ma c'è da dire che sulla tridimensionalità della storia, non gli si può dire niente: Spielberg sa bene come portare il nostro culo nel 1865, tra ambientazioni, linguaggio e personaggi a dir poco perfetti; e anche le scenografie e costumi fanno la loro ottima parte in questo(curatissime all'inverosimile).
La sceneggiatura poteva essere un poco meno soffocante, si potevano evitare inutili giri di Peppe per la conclusione, ed in più, voglio dire che questi montaggi flash mi hanno stufato, Steven!
Oltre la storia del personaggio, l'altra cosa di cui vale la pena di vedere nel film è Day-Lewis: Cristo! Dare vita ad un personaggio di cui non si hanno video ma solo foto, è un impresa titanica, ma Daniel, che è un gran professionista ed è intelligente, sceglie di dargli uno stile sobrio, mostrandocelo come un uomo saggio e deciso e fottutamente comune. Un ottimo lavoro, che comunque gli sarà riuscito molto più semplicemente in confronto ad altre parti precedenti più impegnative.
Sally Field è ottima, dimostra che è da due Oscar; la sua è un interpretazione di molto mestiere, non eccezionale e non all'altezza della pluripremiata Heathaway, ma un plauso lo va dato anche a lei; Tommy Lee-Jones anche è bravo, ma si mostra poco, troppo poco per una nomination all'Oscar; il resto del cast è funzionale, ma non impressiona.
Ci sarebbe anche l'arcano della nomination all'Oscar di John Williams, il quale stavolta, praticamente non si fa sentire; e dire che era una delle cose che attendevo di più dal film.
Fan dei film storici: il film fa per voi, vi piacerà! Per gli altri: portatevi un cuscino, ma riconoscetene l'alto valore (se ci riuscite).
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great steven
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domenica 22 marzo 2015
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ritratto di un politico emblema della sua epoca.
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LINCOLN (USA, 2013) diretto da STEVEN SPIELBERG. Interpretato da DANIEL DAY-LEWIS, SALLY FIELD, TOMMY LEE JONES, JOSEPH GORDON-LEVITT, JARED HARRIS, DAVID STRATHAIRN, HAL HOLBROOK, JAMES SPADER, JOHN HAWKES, JACKIE EARLE HALEY, LEE PACE, GLORIA REUBEN, MICHAEL STUHLBARG, STEPHEN SPINELLA, JEREMY STRONG, WALTON GOGGINS, BRUCE MCGILL, TIM BLAKE NELSON, GULLIVER MCGRATH
Abraham Lincoln è certamente una delle figure storiche più appassionanti e interessanti da trasporre sul grande schermo e convertire con l’artigianato di un coerente mestiere in immagini audiovisive. Spielberg, dopo essersi già una volta cimentato nel discorso umanitario sulla schiavitù con Amistad (1997), con questa eccellente pellicola riprende e amplia la lezione sulla storia degli USA cominciata sedici anni prima.
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LINCOLN (USA, 2013) diretto da STEVEN SPIELBERG. Interpretato da DANIEL DAY-LEWIS, SALLY FIELD, TOMMY LEE JONES, JOSEPH GORDON-LEVITT, JARED HARRIS, DAVID STRATHAIRN, HAL HOLBROOK, JAMES SPADER, JOHN HAWKES, JACKIE EARLE HALEY, LEE PACE, GLORIA REUBEN, MICHAEL STUHLBARG, STEPHEN SPINELLA, JEREMY STRONG, WALTON GOGGINS, BRUCE MCGILL, TIM BLAKE NELSON, GULLIVER MCGRATH
Abraham Lincoln è certamente una delle figure storiche più appassionanti e interessanti da trasporre sul grande schermo e convertire con l’artigianato di un coerente mestiere in immagini audiovisive. Spielberg, dopo essersi già una volta cimentato nel discorso umanitario sulla schiavitù con Amistad (1997), con questa eccellente pellicola riprende e amplia la lezione sulla storia degli USA cominciata sedici anni prima. Descrive, con la minuziosa suddivisione del tempo in giorni e luoghi, la preparazione dell’emendamento atto ad abolire la pratica della schiavitù negli stati confederati ancora impegnati nella Guerra di Secessione. Siamo tra gennaio e febbraio del 1865, e il più progredito paese d’oltreoceano si stava predisponendo ad accogliere, con favore o contrarietà, essenziali e radicali cambiamenti sociopolitici che avrebbero segnato la sua storia per tutti i secoli a venire. Il regista mostra il cammino intrapreso da uno dei presidenti statunitensi più amati e celebrati per approvare, non solo giuridicamente, un disegno legislativo necessario per restituire dignità ad una minoranza della nazione che non s’è mai comportata come tale, richiedendo a gran voce il recupero dei diritti ignobilmente negati. In questo senso, Lincoln si avvicina parecchio anche ad un altro capolavoro di un autore che ha il solo difetto di aggregarsi troppo al cinema separato per generi, ossia Schindler’s List: la dialettica imperniata sul desiderio di riscatto, la ricerca di un onore da difendere e un combattimento instancabile e perpetuo per vedersi riconoscere un posto meritevole all’interno di una società finalmente scevra dal razzismo, sono temi che emergono con preponderanza da entrambi i film, e vengono in ambedue i casi trattati senza sufficienza ma, al contrario, con una lucidità esegetica che s’innalza ad inno ed espressione di un liberalismo ostentato ma pur sempre ammissibile e oneroso. La carta vincente è Day-Lewis, che col suo capo di stato melanconico e flemmatico arricchisce la filmografia di Spielberg con un personaggio indimenticabile e recitato benissimo, riuscendo anche in un’impresa che nessun attore diretto da Spielberg era mai riuscito a portare a compimento: guadagnarsi un Oscar. Una statuetta è stata consegnata anche alla scenografia, che in effetti si distingue fervidamente per una ricostruzione ambientale e paesaggistica davvero suggestiva. Numerose battute memorabili, intrise di un’umanità spettacolare e piene fino all’orlo di dimostrazioni antimoraliste che riportano alla luce perfino eventi poco noti delle vicende americane ottocentesche e rendono giustizia a individui che i libri di storia troppo spesso ignorano, fra cui il senatore repubblicano Stevens (cui giova alquanto la faccia rassegnata e il corpo claudicante di T. Lee Jones, più in forma del solito e con una maggior enfasi recitativa), il quale afferma che, malgrado detesti il popolo, se ne è fatto rappresentante per proteggerlo dagli abusi di potere. Altro carattere che merita una citazione è Mary Lincoln (Field), la moglie del presidente, ancora in lacrime per la perdita del figlio William ma animata pur tuttavia da una forza d’animo esagerata che le permette in via tutt’altro che eccezionale di tenere testa al carismatico marito e di pronunciarsi attivamente per la promulgazione degli articoli occorrenti per l’eliminazione dei privilegi degli schiavisti. Gordon-Levitt si impegna a fondo nella parte del figlio che intende arruolarsi e che è spesso in contrasto con i dettami paterni, privi di autorità padronale eppure pieni di saggia severità, mentre J. Harris arricchisce la sua galleria di variegate maschere con un generale Ulysses Simpson Grant (futuro presidente USA egli stesso) che sa accordarsi con Lincoln e guidare un esercito con la caparbietà istruttoria e il polso di ferro di un comandante esperto e navigato che non chiude mai occhi né orecchie. I personaggi di secondo piano valgono tutti il costo del biglietto e permettono una proiezione che tiene incollati allo schermo malgrado le due ore e mezza di durata, ma è il minimo che si può pretendere da un film storico che faccia della Storia un veicolo espressivo in grado di impressionare positivamente. Dal canto suo, il regista ha ottenuto e riconfermato il suo titolo di autore controcorrente che non smette mai di sbalordire nonostante abbia già detto e fatto parecchie cose, talune fallimentari (poche) e altre soddisfacenti (molte), e che pone immancabilmente al centro delle pellicole che gira un perno di solidarietà umanitaria avente come lacci di unione un caritatevole ottimismo di fondo e un’attinenza alla verità dei fatti sorprendentemente attuale e sempreverde.
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