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Peter Chan, simbolo del cinema di Hong Kong

Ospite all'Asian Film Festival, il regista parla di Swordsmen e del suo futuro.
di Emanuele Sacchi

Il regista Peter Chan a Cannes con la moglie in occasione della presentazione di Wu Xia.
Peter Ho-Sun Chan - Sagittario.

giovedì 16 giugno 2011 - Incontri

Peter Chan: da simbolo del cinema indipendente di Hong Kong a originale interprete della tradizione del wu xia pian.
La nona edizione dell'Asian Film Festival, per la prima volta a Reggio Emilia dopo otto edizioni romane, è l'occasione per incontrare uno dei registi-simbolo della stagione aurea di Hong Kong, quel Peter Chan Ho-sun a cui il festival dedica una retrospettiva completa, con tanto di anteprima italiana di Swordsmen, presentato all'ultima edizione del Festival di Cannes. Il titolo originale di Swordsmen è Wu Xia, qualcosa che si potrebbe rendere con la semplificazione di “cappa e spada”, ossia la declinazione cinese di film storico, in cui le gesta epiche si mescolano spesso al fantasy, consentendo agli eroi imprese ben al di là di quanto razionalmente possibile. Intitolare un film Wu Xia è come girare un noir e chiamarlo Noir, una chiara dichiarazione di intenti su un genere che in Oriente – specie a Hong Kong – è una solida tradizione, basata su capolavori come quelli prodotti dagli Shaw Brothers negli anni '60.
Wu Xia (Swordsmen) – spiega Peter Chan – nasce dalla mia volontà di girare un film con Donnie Yen, uno dei maggiori interpreti viventi delle arti marziali al cinema, perché volevo lavorare con lui e omaggiare il cinema degli Shaw Brothers di cui sia io che Donnie siamo grandi fan. Quando stavo girando come produttore Bodyguards and Assassins vidi un documentario in cui si spiegava cosa succede agli organi interni del corpo umano quando un proiettile entra nel corpo. Così ho pensato cosa potesse succedere in risposta a un pugno wu xia o a un colpo di arti marziali. Da questo mix di medicina cinese tradizionale, medicina occidentale e effetti digitali è nata l'idea di girare il film; era la prima volta che anteponevo lo stile alla storia. Poi si è evoluto in molti sensi, fino a diventare un film più tipicamente di Peter Chan. Tra l'altro il maestro di Donnie Yen è interpretato da Jimmy Wang Yu, il primo e originale One Armed Swordsman (in italiano Mantieni l'odio per la tua vendetta, nda). Quello fu anche il primo film che vidi al cinema da ragazzo”.

Si può dire che ci siano due fasi principali nella carriera di Peter Chan: la prima, caratterizzata da commedie brillanti, e la seconda, dedita a progetti più ambiziosi e spesso ambientati nel passato, come The Warlords o il succitato Bodyguards and Assassins, da lei prodotto. Come avviene questa svolta?
"Comrades: Almost a Love Story è l'ultimo film del primo capitolo della mia carriera. Nel Natale del '96 ho lasciato Hong Kong, ma non per il ritorno di Hong Kong nella Cina come si potrebbe pensare, quanto per la situazione dell'industria del cinema, alle prese con una crisi profonda. Per paura di quello che sarebbe successo nel '97, infatti, furono prodotti troppi film e troppo rapidamente. Questo sovraffollamento di titoli produsse un esito disastroso e io ho pensato di fermarmi e lasciare per gli Stati Uniti, dove mi hanno avvicinato per un film per gli Studios (La lettera d'amore, nda). Dopo due anni in USA sono tornato a Hong Kong ma la situazione era mutata. L'impatto con la Cina e il suo peso nell'industria è stato "preparato" da quanto era successo negli Stati Uniti che per me, paradossalmente, erano meno "stranieri" di quanto potesse esserlo la Cina continentale. La Cina è diventata in un certo senso una nuova Hollywood: il mercato chiede storie epiche in costume o wu xia. D'altronde in Cina le persone non vanno spesso al cinema, andare al cinema costa troppo rispetto allo stipendio medio. Si recano in sala per il più grande titolo dell'anno, mentre per il resto scaricano tutto o lo vedono in DVD, quindi deve trattarsi di un film imponente".

Quindi, seppur amara, l'esperienza hollywoodiana è stata in qualche modo “formativa”?
“Certamente. Quella americana non è stata un'esperienza straordinaria ma neanche infernale. Non potevo fare film là perché io improvviso molto, cambio lo script sul set, mentre a Hollywood anche il regista più commerciale deve lasciare allo studio la scelta di cosa è commerciale e cosa no. Devi passare attraverso l'approvazione di un comitato ed è qualcosa che non posso conciliare con il mio lavoro; capendo quanto fosse difficile, sono riuscito a concentrarmi meglio su quel che volevo ed ho imparato ad avere a che fare con l'autorità e le sue irragionevoli richieste. Ho conosciuto dei lati così sgradevoli dell'industria del cinema che sono arrivato più maturo all'impatto con l'industria cinese, che assomiglia più a quella americana che a quella hongkonghese pre-1997. Mi chiedono spesso come faccio con la censura e con i suoi tabù e io replico spiegando che la censura c'è anche a Hollywood, solo che la esercitano gli studios anziché il Partito Comunista. Ci sono solo tabù differenti: ad esempio con The Warlords ho avuto problemi perché l'eroe non è un eroe senza macchia e senza paura, bensì un essere umano con dei lati sgradevoli, legati alla sua ambizione”.

Anche il prossimo film sarà un film storico, in linea con i suoi ultimi lavori. Può anticiparci qualcosa?
“A dir la verità no – replica Peter con un sorriso – se non che è ambientato 400 anni fa, con protagonista un generale patriottico il cui padre è un pirata. Uno dei migliori script che mi è capitato di leggere da diverso tempo: l'autore è Wang Hui-ling, che ha scritto Mangiare bere uomo donna ne Lussuria – seduzione e tradimentodi Ang Lee”. Apparentemente un rapporto contrastato tra padre e figlio come, in tutt'altro contesto, quello di commedia, per uno dei primi film di Chan, il delizioso He Ain't Heavy, He's My Father. Ma questa appartiene già alle congetture che si susseguiranno da qui in avanti sul prossimo progetto di uno dei pochi registi (e produttori) che ha sempre saputo accompagnare il successo all'integrità artistica, senza mai sbagliare un colpo. Un dono a dir poco raro, a Hong Kong e non.

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