Anno | 2010 |
Genere | Documentario |
Produzione | Russia, Gran Bretagna, Brasile |
Durata | 75 minuti |
Regia di | Valerie Blankenbyl, Heloisa Sartorato |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 18 luglio 2014
La pellicola si interroga sul bisogno di avere una guida spirituale, sulla necessità di appartenere ad una comunità e l'urgenza di avere risposte sul senso della condizione umana.
CONSIGLIATO SÌ
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In Russia, in Inghilterra e in Brasile vivono tre uomini che affermano di essere Gesù Cristo tornato sulla Terra. Intorno a loro si riuniscono persone di ogni età, attratte forse dal desiderio di credere in qualcosa di realmente tangibile e prossimo. Il documentario di Valerie Gudenus e Heloisa Sartorato mostra il rapporto tra queste singolarissime figure e, rispettivamente, una comune agricola sorgente nelle gelide lande siberiane, un gruppo di occupanti di Guildford, una comunità divenuta una celebrità di YouTube a Brasilia.
Tre diversi continenti, tre diverse modalità di intendere la vita, tre diverse maniere di sentire il bisogno di una salvezza a portata di mano. A dare spessore alle "recite" mostrate in I am Jesus, infatti, sono proprio quei fedeli che hanno trovato in una guida precisa, in un leader potremmo anche dire, una nuova ragione di esistenza. Non è dato Messia senza seguaci e ogni Paese qui mostrato ha la sua puntuale e coerente declinazione di sistema culturale: l'inglese David Shayler, resosi conto di essere Cristo durante un viaggio con un fungo allucinogeno, vive in una casa occupata, critica il sistema economico mondiale e non disdegna il travestirsi da donna; il brasiliano Inri Cristo gira su un camper e sprona le discepole a cantare la propria dottrina su basi di canzoni note; infine, il siberiano Vissarion, quello che meno si concede, arringa i fedeli durante una lunga processione nella taiga.
Alle due registe non interessa indagare le ragioni delle varie "performance" né dimostrare la labilità del confine tra psicosi e menzogna che muove i tre aspiranti Gesù quanto suggerire il bisogno di spiritualità insito nei diversi gruppi messi in scena. Tra la singolarità derivante da un soggetto del genere e l'obiettività di un punto di vista non giudicante si viene a creare, tuttavia, un attrito, una freddezza di racconto troppo pesante. Sebbene rischiosa, la scelta di passare da un area geografica ad un'altra, senza una reale soluzione di continuità, diventa la carta vincente di un film costruito non sulle motivazioni di una scelta di fede, ma sulle conseguenze della stessa: siano nelle lande siberiane, in Inghilterra o in Brasile, dopotutto, i discepoli sembrano vivere nella convinzione di essere davvero vicini al Figlio di Dio. È questo il nocciolo di un'operazione eccentrica, anche inquietante, che orbita intorno a religioni reinventate, rivedute e corrette per cercare, forse, il senso di un legame concreto con il divino. Prodotto da Fabrica.