Jay

Film 2008 | Drammatico 96 min.

Anno2008
GenereDrammatico
ProduzioneFilippine
Durata96 minuti
Regia diFrancis Xavier Pasion
AttoriBaron Geisler, Coco Martin, Flor Salanga, Angelica Rivera, Jericho Espiritu J.C. Santos.
TagDa vedere 2008
MYmonetro Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 1 recensione.

Regia di Francis Xavier Pasion. Un film Da vedere 2008 con Baron Geisler, Coco Martin, Flor Salanga, Angelica Rivera, Jericho Espiritu. Cast completo Genere Drammatico - Filippine, 2008, durata 96 minuti. Valutazione: 3,5 Stelle, sulla base di 1 recensione.

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Jay è il nome di entrambi i protagonisti del film: il primo, produttore televisivo, sta girando un documentario che ha come soggetto principale dal vita del secondo Jay, defunto.

Consigliato assolutamente no!
n.d.
MYMOVIES 3,50
CRITICA
PUBBLICO
CONSIGLIATO SÌ
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Un'ottima opera prima sullo spettacolo del dolore.
Recensione di Edoardo Becattini
domenica 31 agosto 2008
Recensione di Edoardo Becattini
domenica 31 agosto 2008

Il sanguinoso omicidio di uno stimato professore di letteratura e religione, Jay Mercado, diviene oggetto di una ricostruzione a effetto da parte del programma di Tv-Verità "I cari estinti". Il produttore e regista del progetto, Jay Santiago, si stabilisce a Bacolon, città natale dell'assassinato, per documentare da vicino il dramma dei familiari e ricostruire le loro testimonianze esclusive secondo le esigenze del sistema televisivo.
Nello stesso momento in cui assistiamo a una crescita esponenziale del numero di pellicole dedite alla frantumazione di ogni residuo confine fra finzione e realtà, ecco che un'opera prima di origine filippina testimonia come questa caratteristica omogeneizzazione abbia ormai valicato anche ogni barriera geografica o culturale. Con un procedimento che può ricordare l'intuizione del film belga Il cameraman & l'assassino (ma con un decennio di nuove tecnologie e di immaginari ricostruiti a marcare il passo) oppure il più recente Diary of the Dead, il film di Francis Xavier Pasion attacca frontalmente e con cognizione di causa (ha lavorato per anni nei network locali, prima di passare al cinema) la spettacolarizzazione e la falsa etica del "reale" televisivo, attraverso procedimenti retorici più complessi e raffinati della semplice caricatura ad effetto o del pamphlet satirico. E la differenza fondamentale la si misura nel linguaggio.
L'apporto fondamentale di un film come Jay alla discussione ancora in corso sul rapporto immagini-realtà, sta nella differenza fra linguaggio televisivo e documentario classico (montaggio frenetico vs. piani-sequenza; macchina a mano vs. camera fissa) che viene qui fatta progressivamente scivolare fino a diventare una prassi unica e indistinta, dove l'allestimento della messa in scena non è poi tanto diverso dalla messa in scena stessa. Garante di questa perpetua ambiguità (che si sviluppa in parallelo al sovrapporsi delle identità dei due omonimi protagonisti del film) è l'alta definizione delle camere digitali, le cui immagini sgranate e frammentate sono particolarmente efficaci a motivare questa continuità fra dentro e fuori la cornice del piccolo schermo, e a difendere l'effetto di realtà tipico del reportage televisivo, anche nei momenti più apertamente grotteschi. In questo modo, in quelle situazioni in cui predominano iperboli e paradossi, l'eccesso non fa sparire il disagio che proviamo nell'assistere "in diretta" al formarsi della complicità fra vittima e carnefice del sistema televisivo (la famiglia Mercado che si presta a recitare enfaticamente in un riallestimento delle esequie), e nell'avvertire un'infinitesima distanza fra i nostri media e quelli che il film racconta. E forse la domanda più interessante che il film ci pone è proprio questa: in che modo siamo e dobbiamo sentirci coinvolti, noi e le nostre sensazioni, quando ciò che fruiamo non è altro che uno spettacolo della spettacolarizzazione del dolore?

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