Titolo originale | Chariots of Fire |
Anno | 1981 |
Genere | Sportivo |
Produzione | Gran Bretagna |
Durata | 124 minuti |
Regia di | Hugh Hudson |
Attori | Nigel Havers, Ben Cross, Ian Holm, Ian Charleson, Dennis Christopher, John Gielgud Nigel Davenport, Patrick Magee, Brad Davis, Cheryl Campbell, Peter Egan, Nicholas Farrell, David Yelland, Struan Rodger, Robin Pappas, Daniel Gerroll, Alice Grige, Ruby Wax, Jeremy Sinden, Lindsay Anderson, Stephen Fry. |
Tag | Da vedere 1981 |
MYmonetro | 3,78 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 17 aprile 2019
Parigi, Olimpiadi del 1924. Due atleti vincono le più importanti gare di corsa. Sono ambedue inglesi ma profondamente diversi. Il film ha ottenuto 7 candidature e vinto 4 Premi Oscar, Il film è stato premiato al Festival di Cannes, ha vinto un premio ai Golden Globes,
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Parigi, Olimpiadi del 1924. Due atleti vincono le più importanti gare di corsa. Sono ambedue inglesi ma profondamente diversi. Eric Liddell appartiene alla Chiesa cristiana scozzese ed è convinto che correre sia uno dei modi a lui concessi per rendere onore a Dio (vent'anni più tardi morirà come missionario in Cina). Harold Abrahams è invece ebreo e trova nello sport (e nella vittoria) un modo per sconfiggere i pregiudizi sociali sul suo conto.
Il film percorre le tappe del progressivo avvicinamento di entrambi al successo, ne ricostruisce le motivazioni interiori e i profondi dubbi esistenziali. Hudson ci fornisce un quadro d'insieme della società dell'epoca riuscendo a evitare a ogni inquadratura il ritratto di maniera che fa tanto "cinema sull'Inghilterra del buon tempo andato". I tempi non erano poi così buoni, ci dice il regista, e prevenzioni e razzismi erano all'ordine del giorno. Anche se, forse, prevaleva una maggior dose di autoanalisi individuale in assenza di anabolizzanti e affini. Il regista (Oscar 1981 come miglior film, sceneggiatura originale, colonna sonora, costumi) riesce a sfuggire a tutti i cliché del cinema "sportivo" proponendoci una ricerca interiore che si muove sulle gambe degli atleti (da antologia, nella sua linearità, la sequenza dei titoli di testa), ma non si lascia prendere da ritmi inadeguati. Abrahams e Liddell sono due persone complete, la sceneggiatura non tende a farli diventare simboli di nulla.
La tesi, come sempre accade quando il cinema si rifiuta di diventare un pamphlet con note a piè di pagina, emerge dall'articolazione narrativa e dalla capacità di Ben Cross e Ian Charleson di rendere credibili anche le titubanze apparentemente più assurde per uno spettatore moderno. Vangelis viene in aiuto con una colonna musicale in cui mostra di aver perfettamente compreso qual è il senso della partitura dell'intero film. Non rinuncia all'epicità stemperandola contemporaneamente in una scrittura attenta a non perdere di vista l'aspetto intimo delle vicende narrate. Anche l'uso dei ralenti, spesso a doppio taglio nei film che si occupano di argomenti sportivi, si rivela attento a non scadere nel virtuosismo fine a se stesso ma è finalizzato alla restituzione di una dimensione emotiva che le frazioni di secondo della tecnologia moderna relegano in una collocazione secondaria rispetto all'esaltazione dell'uomo-macchina. Liddell e Abrahams sono, e restano nonostante tutto, uomini.
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Rowan Atkinson, alias Mr.Bean, ne ha offerta una spassosa parodia nel bel mezzo della Cerimonia d'apertura dei Giochi Olimpici di Londra sotto la guida di Danny Boyle, il regista premio Oscar per "The Millionaire". E' l'ennesima e definitiva prova di quanto "Momenti di gloria" sia diventato un qualcosa di estremamente sentito in Inghilterra indipendentemente dal proprio innegabile valore cinematografico. [...] Vai alla recensione »
Buon film sportivo che tocca anche altre corde quali quelle della fede religiosa e dell'intolleranza.
Difficile non farsi coinvolgere da questo film. Costumi, ambientazione, fotografia magnifici. Protagonisti perfetti, fino all'ultimo caratterista. Mai enfatico o troppo celebrativo, racconta com'era lo sport prima della tecnologia, del doping, degli allenamenti da mezzi cyber. La fatica, l'insicurezza, i dubbi senza gli psicologi di supporto, la tenacia, il volerci credere sempre.
chi non ricorda le storie dei grandi atleti come ce le raccontano... e come a differenza e in realtà... possano essere di tanto in tanto, smith, se i giochi ricordano la sua impresa di quando sul podio col guanto di colore manifestò ci fa così non ricordare di ben johnson che, saltando come un razzo dalle grilglie... fu poi squalificato per il doping, o la fifferenza di mike [...] Vai alla recensione »
Visto gli oscar che ha vinto sinceramente mi aspettavo di più