Titolo originale | Marnie |
Anno | 1964 |
Genere | Giallo |
Produzione | USA |
Durata | 129 minuti |
Regia di | Alfred Hitchcock |
Attori | Sean Connery, Diane Baker, Tippi Hedren, Alan Napier, Martin Gabel, Louise Latham Bob Sweeney, Mariette Hartley, Bruce Dern, Henry Beckman, Meg Wyllie, Edith Evanson, S. John Launer. |
Tag | Da vedere 1964 |
MYmonetro | 3,51 su 4 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 25 settembre 2020
Mark Rutland sposa Marnie, ma scopre che è cleptomane e frigida. Quando poi vede il color rosso viene presa da violenti attacchi di nervi. In Italia al Box Office Marnie ha incassato 2,3 mila euro .
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CONSIGLIATO SÌ
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Marnie si fa assumere come segretaria, riuscendo nell'impresa senza referenze grazie al suo bell'aspetto, lavora sodo, poi svaligia la cassaforte e fugge col bottino. Ci comprerà qualcosa per la madre, non potendo comprare il suo affetto. Lo ha già fatto e lo rifarà, quando Mark Rutland, giovane industriale vedovo, insiste per farla assumere nella sua azienda. Ha capito che Marnie è malata, che non tollera i temporali e la vista del rosso, che mente, che ruba e, dopo che l'avrà sposata, scoprirà suo malgrado che non sopporta nemmeno di farsi avvicinare da nessun uomo, nemmeno quello che ama. Rutland, nonostante tutto, è deciso a guarirla e la conduce al confronto diretto con la madre e con il ricordo del rimosso.
Hitchcock porta in scena la materia sessuale in maniera più esplicita che mai: la frigidità della protagonista, e la cleptomania come suo sintomo, sono l'oggetto del film e la terapia psicanalitica è evocata ampiamente e apertamente. Il technicolor assiste meravigliosamente il maestro, colorando di rosso il trauma, di bianco l'agognata assenza di passione, e di giallo, come d'abitudine, la sfera del desiderio. Giallo, fin dal primissimo fotogramma, è il colore del tesoro che Marnie stringe sotto braccio, biondo sarà poi quello dei suoi capelli sciacquati dalla tinta e ancora gialla la vestaglia di Sean Connery nella scena centrale dello stupro, che Hitchcock risolve con il noto crudissimo primo piano di Tippi Hedren e poi con la figura geometrica e retorica dell'oblò sul mare aperto, fedele ad un'idea di cinema che più mostra più nasconde.
Controverso, "malato" (secondo Truffaut), Marnie è stato ammirato e rifiutato, dalla critica, a seconda dei tempi, ma è certo che contenga un potere turbativo ancora perfettamente intatto e una summa di stilemi hitchcockiani piuttosto impressionante, per quantità e qualità. Vertiginoso, nel caso clinico che inscena, il film lo è anche nella vicinanza a quel capolavoro indiscusso che è La donna che visse due volte (Vertigo, in orinale), di qualche anno prima.
Tra le interpretazioni critiche più interessanti, quella di Jean Duchet che, a partire dai titoli di testa, ideati su cartoncini che scorrono da destra a sinistra, suggerisce una lettura a rovescio del film. La favola della ragazzina povera salvata dal ricco principe azzurro, si tramuterebbe in quella di una donna che viene dominata dal desiderio maschile e spogliata, oltre che del suo segreto, dell'odio per gli uomini che le forniva la ragione di vita.
Marnie , tratto dal romanzo omonimo di Winston Graham, segna anche un notevole punto di cesura nella filmografia del maestro del brivido, in quanto rappresenta l'ultima occasione di lavoro di tre dei suoi collaboratori storici più importanti: il direttore della fotografia Robert Burks, il montatore George Tomasini (morirono entrambi poco dopo) e il compositore Bernard Herrmann che tanto aveva contribuito all'immediata riconoscibilità della personalità artistica di Hitchock.
Dopo Gli uccelli (1963), Hitch decise di riprendere in mano un soggetto a cui aveva già pensato circa un anno prima, quando aveva acquistato i diritti di un romanzo di Winston Graham, affidandone l'adattamento a Joseph Stefano (lo sceneggiatore di Psyco). A quel tempo il regista aveva pensato a Grace Kelly per la parte della bella cleptomane, ma il ritorno dell'attrice sugli schermi - ancorché vagheggiato dalla stessa Grace -era ostacolato da ragioni di Stato: non era possibile che la principessa di Monaco apparisse in un ruolo così poco regale. Il progetto era quindi sfumato e l'interesse di Hitch si era spostato su Gli uccelli è Tippi Hedren. Nonostante i critici non si fossero mostrati teneri nel giudicare la nuova scoperta del regista, quest'ultimo continuava a nutrire fiducia nelle capacità della Hedren, che tra l'altro aveva sotto contratto per sette anni; Hitch non ebbe esitazioni: la giovane attrice sarebbe stata la protagonista del suo nuovo film.
Quando però Hitchcock si accinse a rimetter mano alla sceneggiatura di Marnie, Stefano, non era più disponibile; il regista cominciò dunque a lavorarci sopra con la moglie Alma e con Evans Hunter; più tardi si aggiunse un'altra collaboratrice, Jay Presson Allen.
Per il ruolo del protagonista maschile, inaspettatamente, Hitch chiamò Sean Connery, fresco dei suoi due primi successi come agente 007. Il regista aveva intuito che quell'uomo d'azione, ironico, avvenente e sexy, poteva anche dimostrarsi sensibile e protettivo: nel ruolo di Mark Rutland Connery funzionò dunque alla perfezione.
Le riprese non furono facili; il rapporto fra Hitchcock e Tippi Hedren, che aveva già mostrato qualche incrinatura nel corso delle riprese degli Uccelli, si fece man mano sempre più teso. Geloso e possessivo nei confronti della stella da lui creata, Hitch si mostrava con Tippi dispotico e autoritario; la Hedren avvertiva naturalmente l'esigenza di condurre una vita indipendente, mentre il regista la assillava di continuo, dicendole persino che cosa doveva indossare e chi doveva vedere. Sul set si respirava un'atmosfera di nervosismo generale; secondo lo studioso e biografo di Hitch Donald Spoto I problemi con la Hedren fecero cadere tutto l'interesse di Hitchcock per il film, al punto che il regista non si sarebbe più nemmeno occupato di curare i dettagli tecnici, come gli effetti speciali o i trasparenti. Il colpo di grazia per questo film realizzato evidentemente sotto una cattiva stella fu l'insuccesso di pubblico e di critica negli Stati Uniti. Sulla scia del consenso tributato all'opera complessiva di Hitch da molti studiosi europei, negli anni '70 la nuova generazione di critici americani avrebbe poi rivalutato anche Marnie; ma è pur vero che questo film segnava in certo senso la fine di tutta un'epoca del cinema di Hitch, un'epoca costellata di capolavori che alla straordinaria felicità creativa avevano coniugato un meritato successo. Ed è significativo il fatto che in Marnie Hitchcock si avvalse per l'ultima volta di collaboratori preziosi e fedeli, come il fotografo Robert Burks, il compositore Bernard Herrmann, lo scenogafo Robert Boyle e il montatore George Tomasini.
Quando Marnie uscì negli Stati Uniti, le critiche si concentrarono in particolare su tre aspetti: la trama poco serrata, la spiegazione di tipo psicoanalitico, semplicistica e datata, e gli effetti speciali, stranamente trasandati (il fondale dipinto del porto di Baltimora, decisamente non realistico; i trasparenti poco convincenti di Marnie a cavallo) o ingenui (l'uso del filtro rosso in relazione alla fobia di Marnie per questo colore; lo zoom avanti e indietro quando la donna cerca di rubare per l'ultima volta; i temporali sempre "al momento giusto").
Per quanto riguarda la sceneggiatura, sicuramente dispersiva rispetto a quella di film densi come Intrigo internazionale o Psyco, bisogna tuttavia riconoscere che non tutti i film di Hitch sono costruiti alla stessa maniera. Rinchiudere la grandezza del regista nei confini del thriller avvincente è limitativo: basti pensare a un film sognante e contemplativo come La donna che visse due volte, con cui Marnie ha non poche affinità (a partire dall'amore feticista di Mark per la ladra Marnie che Hitch sottolinea nella sua intervista a Truffaut). Evidentemente in Marnie il regista era intenzionato a soffermarsi maggiormente sul personaggio della protagonista e sul suo rapporto con il marito, anziché sugli sviluppi dell'azione. Che ci sia riuscito bene o no, è un altro discorso e non è questione di trama o di sceneggiatura.
A partire dallo studio su Hitchcock del critico inglese Robert Wood (Hitchcock's Films, 1965), i "fans" di Hitch hanno trovato mille modi per "giustificare" le presunte debolezze degli effetti speciali, riconducendoli a una precisa volontà del regista: il fondale del porto darebbe così un senso di prigionia e di minaccia incombente assai adatto a rendere l'atmosfera della casa di Marnie, i trasparenti non realistici avrebbero una qualità onirica perfettamente intonata alle scene in cui compaiono, e così via. I documenti relativi alla realizzazione del film indicano che molti degli effetti speciali furono effettivamente utilizzati dal regista con il preciso scopo di rendere lo stato soggettivo della protagonista; non tutti però: a proposito dello sfondo di Baltimora lo scenografo Boyle dichiarò in seguito che "non era nostra intenzione che sembrasse fasullo". Secondo la sua testimonianza sia lui che il direttore della fotografia fecero presente a Hitchcock i problemi dello sfondo e dei trasparenti, ma quest'ultimo non parve preoccuparsene affatto. Quanto poi alla spiegazione psicoanalitica della vicenda, se è vero che tutto sommato risulta semplicistica e ingenua (com'è poco convincente questa cura per amore di un marito improvvisato analista; e com'è addirittura irritante che Marnie, in finale, parli con voce di bambina!), è anche vero che - a una lettura più attenta - il film offre altri elementi che rendono il caso clinico di Marnie più complesso di quanto appaia in superficie: non tutto è riconducibile all'incidente, la nevrosi della donna ha le sue radici nel rapporto con una madre a sua volta assai fragile, assillata da sensi di colpa e ossessionata da un rapporto negativo con gli uomini. È il momento clou in cui Marnie rivive la scena del trauma non è che il momento cruciale del graduale, seppur esitante, processo di cambiamento sperimentato dal momento in cui ha incontrato Mark. Del resto poi la catarsi finale non offre nemmeno, a ben vedere, completa garanzia di guarigione o almeno di guarigione immediata; il ricordo è recuperato e -stando al modello di Io ti salverà - tutto dovrebbe ora esser risolto. Ma, questa volta, Hitchcock non lo mostra. E che Marnie voglia seguire Mark a casa piuttosto che andare in prigione - come dice nell'ultima scena - non è segno certo che il loro rapporto sarà d'ora in poi rose e fiori.
Circola un'aria strana in Marnie, difficilmente definibile. È come se il film fosse sfuggente quanto la sua protagonista femminile, inafferrabile al punto che lo 'spettatore non riesce mai a identificarsi con lei, nemmeno nei momenti più drammatici. Colpa dell'attrice? O forse è proprio quello che voleva il regista? Marnie è la storia di un rifiuto -della madre nei confronti di Marnie, di quest'ultima nei confronti di Mark - e di un avvicinamento: quello di Mark, incuriosito e poi innamorato della strana, misteriosa ladra, ma anche quello di Marnie che, per la prima volta nella sua vita, deve ammettere che ha provato attrazione per un uomo, che i suoi primi baci non l'hanno disgustata.
Marnie Edgar è una ladra professionista che si fa assumere con false referenze per poi derubare i suoi clienti e cambiare identità. Mark Rutland è il presidente di una società editrice di Philadelphia che assume la ragazza; la riconosce e nota la tendenza della giovane, ma invece di licenziarla decide di tenerla d'occhio. Basata sul romanzo di Winston Graham, la pellicola del maestro della suspense non ottiene grande successo commerciale, ma si contraddistingue dagli altri suoi lavori per l'approfondita analisi psicologica del personaggio principale. Marnie (Tippi Hedren) è infatti una cleptomane terrorizzata dal colore rosso; Mark (Sean Connery) si innamora di lei e cercherà di salvarla. I due attori consegnano al cinema un'interpretazione magnifica. Brividi sul finale, come da copione.
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Ho appena avuto la fortuna di veder la copia restaurata e proiettata in una sala perfetta per l'evento,il "Corallo" di Genova. Un film che strega,consegnando agli spettatori una coppia di protagonisti da brivido. La povera Marnie é seduzione pura,ed il rapporto col suo salvatore,giocato quasi solo su sguardi e parole,un amore caparbio,anche se univoco.
Hitchcock è stato uno dei più grandi registi della storia del cinema, ho visto molti suoi film, il giudizio (salvo un caso o due) non è mai stato inferiore a 4 stelle, molti dei suoi film sono da considerarsi capolavori assoluti. La protagonista del film è Tippi Hedren fino a 32 anni non aveva mai recitato ma faceva la modella e Hitch la pensò adatta per il film [...] Vai alla recensione »
Non pago del successo di critica e pubblico avuto da una lunga sequenza di capolavori, Alfred Hitchcock azzarda a voler fare un thriller psicologico con “Marnie”, che non fa altro che ampliare il tema introspettivo già accennato nei suoi film precedenti prendendo, stavolta, in pieno petto la materia psichiatrica. Vedendo il film possiamo accorgerci che i cambiamenti sono lievi: ci [...] Vai alla recensione »
Quello di"uncle Alfred"è cinema tout court, "assoluto", slegato cioè da pistoie modaiole, da condizionamenti di vario tipo.Anche se"Marnie"allo stesso autore non è parso il suo capolavoro, è tuttavia eccezionale: ogni sequenza, ogni inquadratura va studiata, va esaminata con attenzione, sempre in relazione a tutta l'opera, dove il climax(crescend [...] Vai alla recensione »
Forse troppo freudiano-psicanalitico,(anche se non risulta che sir Alfred Hitcjcock leggresse Freud giorno e notte), "Marnie"parla della fobia e precisamente della fobia del colore rosso legata (natturalmente, viene da aggiungere),al grave traumat infantile da lei subita, al rapporto parimenti traimatico con la madre, alla"paura di essere toccataa dagli uomni".
"Marnie"(ALfred Hitchock, sceneggiatura di Jay Presson Allen, dal romanzo di Winston Graham, 1964)non sarà, forse, il miglior film di Hitchcock, il chef-d'-oeuvre, ma è la riproposizione geniale(tra l'altro operando un vero e proprio"rasoio di Ockham"rispetto al romanzo di Grahan, a tratti prolisso)di alcuni temi cari a Hitch, il cui rapporto con la psicanalisi [...] Vai alla recensione »
Ci sono, nelle vite e nell’arte, dei momenti che rappresentano una rottura, un profondo cambiamento ed una rivoluzione copernicana dopo i quali nulla sara’ piu’ come prima; Marnie, il film di Hitchcock uscito nel 1964 dopo due capolavori assoluti come Psyco e Gli Uccelli, segna l’inizio della fine del percorso di crescita artistica di uno dei registi piu’ importanti ed amati del XX secolo.
Girato magistralmente e non potevano esserci dubbi. Hitchcock sembra raccontare la storia di una ladra apparentemente spensierata. Pian piano, però, cominciano ad apparire schermate rosse accompagnate da un irrigidimento della protagonista; successivamente assistiamo a suoi attacchi di panico provocati dai temporali; per ultimo l'intolleranza al tocco di qualsiasi uomo.
Tra i film di Hitchcock è uno di quelli a cui sono più affezionato: il fascino della psicanalisi, la bravura dei protagonisti e il finale rivelatore...che dire di più? Dimenticavo di citare la colonna sono di Bernard Herrmann: secondo me quella di Marnie è una delle più bella di tutta la storia del cinema!
Mark Rutland (Sean Connery) assume la giovane Marnie, come segretaria della sua grande azienda. Ma l'ha riconosciuta, nonostante abbia cambiato il colore dei capelli ed il nome, come ex segretaria di un amico, che lo aveva derubato di una bella somma. Lo scopo è di aspettare di coglierla con le mani nel sacco, dato che Mark è certo di essere in presenza di una [...] Vai alla recensione »
Alfred Hitchcock, il celebre maestro del brivido, firma questo dramma psicologico tratto da un romanzo di pochi anni prima, in cui la sceneggiatura si caratterizza per prevedere una serie di shock, incubi e nevrosi che colpiscono misteriosamente la protagonista durante tutto il film, facendo intendere un qualche grave problema mentale che dovrà essere disvelato.
Film minato da una sceneggiatura lacunosa e dalla recitazione di Tippi Hedren impegnata in un personaggio complesso e al di sopra delle sue capacità recitative. L'unica nota positiva è la messinscena di Hitchcock, molto ispirata ad eccezione del flashback finale che non lascia nulla all'immaginazione e nel quale si sfiora il ridicolo.
Alfred Hitchcock si porta nuovamente nel campo della psicologia, dei traumi infantili di cui si è perso il ricordo, ma che condizionano attraverso segni, colori ed altro la vita presente. Aveva già trattato l'argomento in "Io ti salverò" e qui lo tratta nuovamente valendosi della collaborazione di due ottimi interpreti. Tippi Hedren che interpreta benissimo la parte, specialmente nei momenti di follia! [...] Vai alla recensione »
Trasposizione cinematografica di un romanzo giallo, il film narra la storia di Marnie Edgar, una cleptomane che si fa assumere con false referenze come segretaria, per poi derubare le società per le quali lavora, e cambiare di volta in volta identità. Mark Rutland, presidente di una società editrice di Philadelphia, fa assumere la ragazza poichè intuisce che ella sia [...] Vai alla recensione »