Titolo originale | Tomogui |
Anno | 2013 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Giappone |
Durata | 102 minuti |
Regia di | Shinji Aoyama |
Attori | Yuko Tanaka, Ken Mitsuishi, Masaki Suda, Yukiko Shinohara, Misaki Kinoshita . |
MYmonetro | 3,09 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 9 giugno 2014
Il film è tratto dal romanzo di Haruhiko Arai "Dog-Eat-Dog", vincitore del premio Akutagawa.
CONSIGLIATO SÌ
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Nelle acque stagnanti di un villaggio isolato si consuma la tragedia della famiglia Shinogaki, guidata da un padre violento e prevaricatore.
Quando ha letto il romanzo di Haruhiko Arai "Dog-Eat-Dog", vincitore del premio Akutagawa, Aoyama Shinji ha deciso immediatamente che doveva girarne un adattamento. A metà tra tragedia greca ed elaborazione sui lati più oscuri della storia giapponese, il testo si sposava perfettamente con la visione dolente e pessimistica del regista di Eureka. Cogliendo il lato più sgradevolmente fisico del romanzo, Aoyama affida la sceneggiatura a Haruhiko Arai, specialista del Roman Porno di casa alla Nikkatsu nei primi '80, e la propria ispirazione a Imamura Shoei, uno dei maggiori interpreti delle contraddizioni intrinseche del popolo del Sol Levante. Di lui tornano molti topoi: l'acqua come veicolo sessuale e collante tra gli esseri viventi, l'anguilla come suo abitante e simbolo fallico per eccellenza. Ma, diversamente da Imamura, l'acqua ristagna e non scorre, claustrofobicamente, come la fotografia livida sottolinea, restituendo un'atmosfera quasi limacciosa, di natura immutabile ma non per questo meno inquietante.
Ci si sente sporchi osservando le violenze del pater familias Makoda, la passività di Kotoko e la conflittualità di Toma, che ha come unico modello paterno una sorta di incarnazione della peggiore ferinità; sesso violento, fluidi corporali e impossibilità di alterare il più aberrante degli status quo. Poi Aoyama compie un passo in più nella direzione di una (possibile) interpretazione, legando la microstoria della famiglia Shinogaki a quella del Giappone, tanto nei segni indelebili lasciati dal conflitto mondiale che nella morte simbolica dell'Imperatore. Il punto di svolta per un popolo dal DNA contaminato irreparabilmente dal seme della misoginia e del patriarcato, ma costretto al cambiamento per preservarsi dall'autodistruzione. Trovando nel femminino - e il tema ricorre in molto cinema giapponese contemporaneo - una nuova forma di organizzazione sociale e ricordandosi di essere, in fondo, il popolo di Amaterasu.