Little Sparrows

Susan è una donna di mezza età con un cancro al seno in fase terminale. Quando le sue tre figlie Nina, Anna e Christine vengono a sapere che le restano solo poche settimane di vita, vedono definitivamente vacillare le loro già precarie esistenze. Nina sta crescendo da sola due figlie piccole e affronta giorno dopo giorno le difficoltà della solitudine; Anna è un'attrice infelicemente sposata con un regista che tradisce da tempo con un attore della sua compagnia; Christine è invece una studentessa di medicina lesbica alle prime importanti decisioni della vita. Attorno alla tavola di un pranzo natalizio e al letto di un ospedale, ognuna di loro cercherà disperatamente l'ascolto e le parole di consiglio e di conforto che solo una madre può dare. A Perth, capitale dell'Australia occidentale, il natale si festeggia con il caldo di piena estate, ed è in questa particolare atmosfera affettuosa e accalorata che in Little Sparrows si affrontano premure e tensioni familiari nel momento dell'estremo saluto. Non quindi il tepore del focolare domestico di fronte ad un paesaggio innevato, piuttosto l'espressione diretta dell'emotività passante attraverso occhi e pelle scoperta. La regista Camille Chen, taiwanese accolta in Australia, declina al femminile una storia di rapporti familiari e di crisi personali utilizzando un registro stilistico basato sulla vicinanza: un metodo in un certo senso "laboratoriale", figlio del primo cinema di Cassavetes, basato su di un rapporto intimo che la macchina da presa instaura prima con le attrici che coi personaggi, finendo con il confondere e sovrapporre le due occorrenze. Non è quindi solo la figlia di mezzo Anna, figura che occupa il segmento centrale e più ricco e ampio del film, a mostrare il suo ruolo di attrice, ma anche le altre due: la prima costretta a recitare una serenità di fronte a una disperata solitudine, la seconda intenta a dissimulare il disagio del proprio orientamento sessuale. A questo proposito, Chen struttura il suo film in tre parti distinte, ognuna delle quali adibita a osservare e ad ascoltare in forma di intervista privata le tre donne nella loro interiorità e nel personale rapporto con la madre. Infantili e goffamente protettivi, egoisti e anaffettivi, fedifraghi e codardi: le figure maschili sono risultano invece solamente figure di sfondo all'interno di un ritratto in tutto e per tutto femminile. Le quattro donne (madre e figlie) sono così il punto di inizio e di fine di un racconto organizzato attorno ai rapporti di sguardo, fra quelli spersi e devoti delle figlie e quello saggio e carezzevole della madre. Questo schema culmina in una delle scene più belle del film: quella in cui vediamo Susan che si fa tatuare tre piccoli uccellini sul ventre. Dietro di lei solo il rosso opaco della sala, in contrasto con il bianco diafano della carne della donna. Dietro invece quel gesto inconsueto per una nonna in fin di vita, la scrittura sul corpo sostituisce la poetica delle parole, e inscrive su di sé un'ultima raffigurazione indelebile di quel che ha lasciato. 

Storia di una famiglia che ha inizio nell'insolita cornice natalizia di una torrida estate australiana. Susan è sposata con James, attore veterano baciato dal successo in tarda età e affettuosamente egoista e distratto. Insieme hanno tre figlie e quando il cancro al seno di Susan si diffonde, tutti loro sono costretti ad affrontare la realtà. Ognuna delle tre figlie ha una storia personale e qualche segreto da nascondere e la madre, mentre si prepara al congedo, diventa per loro confessore e consigliera. Così, nel dispiegarsi dei diversi capitoli della storia, anche lei può finalmente raccontare la propria verità. Un film leggero e forte sull'amore materno, fatto di frammenti e intrecci, polifonia di allegro dolore.