Titolo originale | Contergan |
Anno | 2007 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Germania |
Durata | 180 minuti |
Regia di | Adolf Winkelmann |
Attori | Benjamin Sadler, Katharina Wackernagel, Hans Werner Meyer, Karl Fischer . |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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CONSIGLIATO SÌ
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Questo film non è un documentario, ma un lavoro speciale basato su materiale storico. Migliaia di bambini uccisi da un farmaco, il Thalidomide, in Germania: parole scritte in bianco su schermo nero; una voce fuori campo, severa, spiega ciò che il film vuole raccontare o, meglio, ricordare.
La sostanza farmaceutica Thalidomide è stata prodotta nel 1960 per chi soffriva di insonnia; pastiglie che "inducono calma e sonnolenza" e che possono essere tollerate anche dalle persone sensibili. L'avvocato Paul Wagener viene contattato da una madre che ha da poco partorito un figlio con gravi handicap fisici. Nel 1961 si viene a scoprire che il sonnifero passa attraverso la membrana della placenta delle donne in gravidanza e danneggia il feto; i responsabili della compagnia farmaceutica che immette sul mercato il Thalidomide - con ingenti guadagni - non si pongono il benché minimo problema di coscienza, mentre Wagener capisce che c'è un collegamento tra il farmaco e la donna che ha chiesto il suo aiuto.
Di lì a poco l'avvocato si sposa e la giovane moglie Hanne rimane incinta; la donna fa fatica ad addormentarsi, assume il Thalidomide e partorisce un bimbo menomato in più parti del corpo; la cinepresa indugia a lungo sull'inquadratura del neonato, privo di un braccio non per provocare lo spettatore, ma per coinvolgerlo emotivamente. I medici dell'ospedale in cui Hanne ha partorito accusano la coppia di non aver fatto un controllo sanitario approfondito prima del matrimonio e sostengono che la malformazione possa essere stata causata da problemi genetici. A questo punto Paul Wagener non è più soltanto un difensore della legge e della giustizia per gli estranei, ma è coinvolto, psicologicamente ed eticamente, in prima persona.
La narrazione è classica, la regia segue i personaggi - la macchina da presa sembra accarezzare i protagonisti - e il ritmo è abbastanza lento da aiutare lo spettatore nell'identificazione e nella partecipazione alla disgrazia. C'è la distinzione tra "buoni" e "cattivi", tra vittime inconsapevoli e carnefici senza scrupoli, ma il testo filmico non risulta didascalico proprio perché non si tratta di un documentario, ma di un film di fiction che denuncia come nel ricco Occidente - al centro della civile Europa, cinquant'anni fa come oggi - l'avidità prenda il sopravvento sull'etica.
Non c'è comunque solo questo: il film suggerisce anche domande sulla compassione (com'è possibile non riuscire più a condividere "il dolore degli altri"?) e sulle scelte morali che riguardano temi profondi quali l'aborto o l'eutanasia. Prendersi cura di un figlio è un impegno, ma come affrontare la situazione quando un bambino nasce con seri problemi fisici o mentali? La responsabilità riguarda principalmente i genitori - un padre e non solo una madre - ma in prospettiova per le generazioni future si tratta di una questione che dovrebbe coinvolgere tutti noi.