Titolo originale | Hiruk-pikuk si al-kisah |
Anno | 2019 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Indonesia, Malesia, Francia |
Durata | 106 minuti |
Regia di | Yosep Anggi Noen |
Attori | Gunawan Maryanto, Yudi Ahmad Tajudin, Ecky Lamoh, Alex Suhendra, Lukman Sardi Rusini, Asmara Abigail, Marissa Anita, Rachel Saraswati, Pritt Timothy, Banyu Bening, Tri Sudarsono, Sri Widayati, Muhammad Nurdiansyah, Ernanto Kusuma, Ikun Sri Kuncoro, Muhammad Nur Qomaruddin, Andrew Trigg. |
Tag | Da vedere 2019 |
MYmonetro | 3,34 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 22 agosto 2019
Un uomo vive come se fosse un astronauta.
CONSIGLIATO SÌ
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Una notte, nella campagna indonesiana, Siman si imbatte in una troupe che parla inglese e sta girando un video di sbarco sulla Luna. Scoperto, Siman viene punito con il taglio della lingua, così che non possa mai rivelare a nessuno l'accaduto. La vita dell'uomo viene però sconvolta oltre il semplice silenzio. Subito dopo, la madre lo nota alzarsi dal letto e versare il tè con una lentezza anomala. Nel tempo, nonostante abbia perso tutto, Siman continua a danzare e a vestirsi come un astronauta, unica persona in un mare di indifferenza a tenere vivo l'inganno di anni e anni prima.
Nell'opera del regista Yosep Anggi Noen gli strati di cinema, tempo e verità si confondono e si sostituiscono, in una parabola onirica che dietro la storia di un uomo che viaggia a un ritmo diverso dagli altri nasconde una riflessione sulla storia sanguinosa dell'Indonesia e sul modo in cui la realtà viene inquadrata e comunicata.
Dopo un prologo in un bianco e nero dalla straordinaria ricchezza dei toni, il film inizia a mostrare segni di una certa dissonanza, a ovvia dimostrazione che in un'opera che si apre su una pericolosa messinscena, le immagini hanno un valore relativo.
Noen, passando al colore, muove poi l'azione allo stesso ritmo del suo protagonista, una danza disorientante di un corpo estraneo, come Lee Kang-sheng nel Journey to the West di Tsai Ming-liang. Più che una celebrazione, però, si tratta di un lento requiem per un personaggio privato di affetti, possedimenti e infine identità, ridotto ad attrazione. Dalle campagne la storia si sposta verso la città, mettendo in relazione i vecchi modi di manipolare la verità con i nuovi.
Se Joshua Oppenheimer, con L'atto di uccidere e poi con The Look of Silence, aveva affrontato il tema del genocidio indonesiano attraverso la vertigine del reale, tanto da sfondare il velo del cinema stesso, Yosep Anggi Noen sceglie il piano simbolico, con una complessa allegoria che sfrutta lo sbarco sulla Luna e il colpo di stato precedente al genocidio come genesi della finzione di potere e di legami con l'occidente.
Pur nella sua ambizione teorica, The Science of Fictions non dimentica mai di tornare spesso sui passi lenti di Siman, che nella struggente (e non banale dal punto di vista motorio) interpretazione di Gunawan Maryanto è al tempo stesso la vittima e la resistenza, corpo piegato e atto di dissidenza. Yosep Anggi Noen lo celebra in un'opera dagli squisiti valori tecnici e dai molteplici punti d'ingresso, un film sull'atto di fingere che risulta più vero che mai.
Indonesia, anni Sessanta. Siman è un uomo tranquillo, che scopre accidentalmente una troupe straniera che inscena un falso allunaggio. Catturato dalle guardie, gli viene tagliata la lingua. Percorre la vita al ralenti, nel presente e nel passato, imitando un astronauta nello spazio, mentre tutti lo considerano pazzo. Il 20 luglio del 1969 avviene l'allunaggio, lo sbarco dell'uomo sulla Luna, evento [...] Vai alla recensione »