Titolo originale | Xi You |
Anno | 2014 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Francia, Taiwan |
Regia di | Tsai Ming-liang |
Attori | Lee Kang-Sheng, Denis Lavant . |
Tag | Da vedere 2014 |
MYmonetro | 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 11 febbraio 2014
Un monaco tibetano cammina pianissimo lungo vicoli, strade, piazze e scale di Marsiglia.
CONSIGLIATO SÌ
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In un pugno di scene gestite con camera fissa un monaco cammina pianissimo, in maniera quasi impercettibile, per le strade, i vicoli e le scale di Marsiglia. Esplodendo la performance portata dall'attore Lee Kang-Sheng (qui nel ruolo del monaco) di una camminata dalla durata di 30 minuti, già vista al Teatro Nazionale di Taipei, Tsai Ming-Liang ha realizzato una serie di film brevi in cui il suddetto monaco attraverso pianissimo diversi luoghi prima dell'Asia e ora del mondo.
Aveva detto che non avrebbe più realizzato film dopo Stray dogs (punto di arrivo clamoroso ed eccezionale, film radicale ed efficace come pochi altri se ne sono visti) ma intanto sta realizzando questa serie di opere brevi che per molti versi proseguono il discorso di quell'ultimo lungometraggio attraverso poche scene lunghissime in cui la fissità della macchina da presa (caratteristica non certo nuova per il regista) si accompagna ad una fissità dei soggetti ritratti.
Come una nuvola il monaco tibetano si muove in maniera impercettibile eppure non rimane fermo, capace di attraversare pochi metri in una ventina di minuti all'interno di inquadrature straordinarie per composizione, illuminazione e scelte di luce, si contrappone alla città di Marsiglia intorno a lui, in un contrasto che nei campi più lunghi invita a cercarlo tra i passanti, individuando l'anomalia nell'usuale flusso umano.
Tsai Ming-Liang gioca con il suo stile, in certi momenti nasconde il monaco, in altri lo esibisce e nel finale sembra averlo sottratto alla vista salvo farlo comparire per pochi secondi come una piccola meteora e chiudere il film. E' però nei primi piani che questa tecnica trova la sua reale esaltazione. In Journey to the west purtroppo ne vediamo uno solo, all'inizio, ed è straordinario. In poco meno di dieci minuti sul volto di Lee Kang-Sheng si disegna un paesaggio quasi inerte, che sfocia in piccole lacrime o leggeri cambi d'espressione.
Abbastanza superflua la partecipazione dell'attore Denis Lavant, utile solo a mettere in mostra come in questo cinema complesso e raffinato non ci sia spazio per intrusioni che non siano calcolate al millimetro e ogni collaborazione che non si adegui ad un lavoro mostruoso di recitazione e preparazione suona totalmente inadeguata.