FERNALDO DI GIAMMATTEO
È l'esponente più tipico di una drammatica transizione politico-culturale negli anni più cupi, e ricchi di fermenti, dell'impero comunista. L'ha vissuta, l'ha subita, ha cercato di comprenderla e di esprimerla nei limiti in cui la censura ungherese glielo consentiva. E, soprattutto, ha estratto dal dramma - personale, nazionale e storico - uno stile che ne riproducesse il senso. C'è riuscito con cinque film, dei numerosi girati, che analizzano il rapporto fra l'individuo e il potere, il suddito e l'aguzzino, la ribellione e la repressione, il furore e il dolore, la viltà e il coraggio.
Prima, s'è laureato in giurisprudenza (1944), ha condotto campagne etnografiche in Transilvania, s'è diplomato alla scuola di cinema budapestina, ha girato parecchi documentari ed è giunto al lungometraggio nel 1958. Sette anni dopo, il primo film significativo, I disperati di Sandor (1965), in cui evoca la repressione della rivolta dei «senza speranza» durante i moti del 1848 nelle campagne magiare, immaginando che i contadini siano ammassati in un forte e costretti, con torture e nefandi espedienti, a rivelare i nomi dei ribelli. Nel 1967, L'armata a cavallo, Russia 1918 nel corso della guerra civile: si mettono a confronto, alternando i luoghi e i giorni, i bianchi e i rossi, entrambi crudeli, vincitori e sconfitti. Con Silenzio e grido (1968) - siamo negli anni più violenti della contestazione - si chiude la trilogia della rivoluzione e della controrivoluzione, si torna in Ungheria al tempo (1919) della caduta della Repubblica dei Consigli. Jancsó procede dal collettivo all'individuale, restringendo di film in film il raggio dei suo obbiettivo, ma sempre muovendolo in un continuo cerchio avvolgente e dilatante (i personaggi, il paesaggio piatto della pianura), in modo che gli uomini appaiano come catturati da un laccio invisibile e costretti a girare tragicamente in tondo. Agnus Dei (1970), sulla vicenda di un prete reazionario schierato con i controrivoluzionari, e Salmo rosso (1972), sacra rappresentazione o «liturgia» o semplicemente rito - il rito è il sigillo di tutta la drammaturgia di Jancsó - chiudono in un certo senso la parabola, premiata complessivamente, nel 1979, al festival di Cannes.
Fernaldo di Giammatteo, Dizionario del cinema. Cento grandi registi,
Roma, Newton Compton, 1995