Se il cinema nordico fosse tutto sopravvissuto nei suoi film più importanti, e questi avessero avuto e avessero una loro diffusione, sarebbe anche oggi facile a molti riconoscere a quel cinema una vera e propria fioritura, tra le più felici nelle autentiche conquiste del film muto. I due nomi che se ne imporrebbero sarebbero quelli di Victor Sjöström e di Mauritz Stiller, entrambi provenienti dal teatro, e appassionatisi, intorno al 1912, del nuovo mezzo espressivo. Anche in Svezia un regista sfornava allora quindici-venti film all'anno; ciascun film pretendeva otto-dieci giorni di lavoro, forniva poi otto-dieci minuti di proiezione. Nasce la Svenska», che durante la prima guerra mondiale si rafforza. Nel 1918 se ne inizia una singolare fortuna, dovuta anche al nome di Seima Lagerlöf; e bel 1919 Stiller compone Il tesoro di Arne, favorevolmente accolto in ogni Paese.
La «Svenska Bio» s'ingrandisce, diventa la «Svenska Filmindustri» (S.F.), che raggruppa tutte le Case editrici svedesi allora esistenti; e le affermazioni si fanno puntuali, con La carretta fantasma di Sjöström, Il pellegrinaggio a Keevlar di Hedquist, Thora von Decken di Brunius, concluse infine da La leggenda di Gästa Berling di Stiller, che doveva rivelare la Garbo. A Stoccolma, specialmente per le strette vie della città vecchia, capita d'incontrare su questa o quella insegna il cognome Gustaffson, un cognome assai comune, come Bergman, come Lindstrom; tanto comune che la signorina Greta Gustaffson sentì presto il bisogno di sostituirlo con un rotondo e morbido Garbo. Per molti la Svezia, cinematograficamente, sarà poi quella maschera; perché Hollywood era sempre stata molto attenta, e quelle grandi affermazioni della piccola cinematografia svedese non potevano sfuggirle. Importò sopratutto i due registi, Stiller e Sjöström; e con Stiller la giovinetta Garbo unicamente per fare cosa gradita al suo mentore e amico, non supponendo che quella lunga pallida ragazza presto avrebbe estasiato di sé i pubblici dei lue emisferi; e con la Garbo importò altri attori, come Lars Hanson ed Einar Hanson.
Quella precisa retata lì per lì lusingo Stoccolma, ma la impoverì. Cercò allora di importare a sua volta nuovi elementi, di tentare altre vie, non esclusa quella del filmone storico; con risultati piuttosto modesti, compensati poi in parte dall'affermarsi di un nuovo regista, Gustav Molander, che era già stato collaboratore di Stiller. Ma la felice stagione è finita. Anche il ritorno in patria di Victor Sjöstrom, che sembra suscitare nuove speranze, si risolve in una delusione, il regista si è a Hollywood non poco americanizzato, il suo lavoro non appare più schietto, è limitato da formule ovvie, e da tutti gli impensieriti tecnicismi dell'incipiente film sonoro. Il cinema svedese ha compiuto la sua breve parabola. Due nomi ne sopravvivono, e di due maestri. Ebbero il grande merito di rapidamente raggiungere un loro equilibrio, che contemperava risorse spettacolari a umane esigenze, in un ritmo sempre rigoroso, dalla composizione del quadro alla linea della sequenza, e sempre scrutando e rievocando un loro tipico mondo, volti e ambienti di un nord non dimentico di tradizioni, ragioni e succhi europei. Due maestri che firmarono decine di film, fra i quali si ricorderanno Il tesoro di Arne (1919) e La carretta fantasma (1920).
(1954)
Da Film visti. Dai Lumière al Cinerama, Edizioni di Bianco e Nero, Roma, 1957