Un outsider, un inclassificabile, un cineasta politico, un indipendente che non accetta che Hollywood si appropri del suo primo film imponendogli degli zombi a colori o un lieto fine assurdo. George Romero, classe 1940, figlio di un Cubano e di una lituana, ragazzo del Bronx trapiantato a Pittsburgh, alto un metro e 93, che viene celebrato ancora una volta come maestro dell’horror con L’alba dei morti vivent4 remake di uno dei suoi titoli più classici, Dawn Of The Dead, è sempre stato un regista fuori misura, incontrollabile. Da quella volta che finì in galera a 14 anni perché aveva dato fuoco a un manichino peril suo primo film in 8mm, a quando fece vomitare per il disgusto il critico del New York Times mostrando gli zombi di Dawn Of The Dead.
Quando nel 1968 uscì il suo primo film, La notte dei morti vi venti(The Night Of The Living Dead), dopo una certa riluttanza iniziale, il pubblico e la critica più giovane di tutto il mondo gridarono al miracolo. Non era altro che un piccolo film in bianco e nero di un regista indipendente di Pittsburgh che si era arrangiato fino allora con la pubblicità, ma che riusciva con pochi effetti a trasmetterci una paura tangibile e inspiegabile per i morti viventi che attaccano un gruppo di ancora vivi capitanati da una donna e un nero. Prima di allora lo splatter, il gore, non esistevano, né i vecchi zombi dei film di Jacques Toumeur o di John Gilling erano stati così terrificanti.
Questi zombi, anzi questi morti viventi sono realistici proprio perché inquadrati come in un documentarlo, e sono li per distruggerti, per mangiarti, senza alcuna spiegazione scientifica o letteraria. Pura rivolta di uomini morti contro uomini vivi in un anno, il ‘68, dove in tutto il mondo si sentiva parlare di rivolte e di rivoluzione. Romero rivoluziona il cinema dell’orrore moderno, tracciando una linea che ci darà John Carpenter, Sam Raimi, Wes Craven. E lo fa senza mediazioni cinematografiche, senza riferimenti ai vecchi horror classici. Se vogliamo si è ispirato, nella storia, al grande racconto di fantascienza di Richard Matheson Io sono una leggenda e, nella costruzione degli zombi, ai fumetti della EC, la Entertaining Comics. Qualche critico ha visto nella sua opera il fantasma di Alfred Hitchcock, anche se il maestro inglese non avrebbe mai ambientato i suoi film in una cittadina demodé come Pittsburgh. In realtà il cinema di Romero nasce e cercherà il più possibile di rimanere indipendente non solo pro-duttivamente, ma anche culturalmente da qualsiasi altro modello.
Negli anni 70 Romero tocca anche altri generi. Lo fa in piccoli film di grande interesse e dl scarso successo, dalla commedia giovanile musicale There’s Always Vanilla, 1972, al beffissimo Jack’s Wife, 1973, legato come il più celebre Martin all’orrore della vita casalinga nella provincia americana. Sono forse i film più personali di Romero e anche quelli più politici. Pensiamo solo a La città verrà distrutta all’alba (The Crazies), 1973, dove un virus da esperimento chimico militare (siamo ancora nel dopo-Vietnam) contamina un’intera città americana, che dovrà quindi essere distrutta per impedire il contagio totale. Purtroppo neppure La città verrà distrutta all’alba avrà successo, malgrado partisse da un budget più alto, da una distribuzione assicurata e da una storia più solida. In questo momento di non grande fortuna incontra però quello che sarà il suo socio per i prossimi 17 anni, Richard P. Rubinstein, a ben vedere l’unico in grado di rendere possibile il suo cinema senza dover accettare compromessi o scomparire nella distribuzione locale. Il loro primo film insieme è anche uno dei più belli di Romero: Martin (in Italia Wampyr), ritratto di un teenager che si crede, e forse lo è, erede sanguinario di una famiglia di vampiri.
Ma a riportarlo all’horror puro ci pensa il successo del suo film successivo, Dawn Of The Dead da noi solo Zombi, il ritorno del maestro ai suoi morti viventi. Lo fa legandosi al nostro Dario Argento, qui in veste di coproduttore e supervisore della versione italiana. È uno dei rari tentativi riusciti di internazionale fantastica. Durissimo nelle scene di sangue, il film avrebbe potuto essere distribuito da una casa maggiore come la AlP se solo Romero avesse accettato di farne una versione più soft. Niente da fare, lui e Rubinstein, assieme ai loro soci italiani, rischiano e vincono, visto che il film costò un milione e mezzo di dollari e ne fece oltre quaranta. Dawn Of The Dead è anche il film di Romero visivamente più affascinante e politicamente più esplicito contro la cultura del consumismo. Horror ideo-
logico vede gran parte dell’azione svolgersi in uno shopping center dove gli zombi lanciano la sfida estrema al capitale inseguendo come cibo i clienti vivi più che la merce in vendita. Il successo di Zombi, che farà nascere tutta una serie di produzioni simili, permette a Romero di mettere in piedi nel 1981 il suo film più personale e sfortunato. È Knightriders, una specie di folle romanzo cavalleresco dove gli eroi, moderni, si muovono secondo codici dei tempi di Re Artù, ma al posto dei cavalli hanno le moto. II film, che pure riceve buone critiche è un flop e non supera le barriere nazionali. Per rifarsi Romero cerca di aprirsi verso nuove alleanze. Il suo nuovo compare è addirittura Stephen King. Li unisce l’odio per la vita nelle grandi città e l’amore per i vecchi fumetti d’orrore anni 50 di Zio Tibia. Nasce così Creepshow, forse non riuscitissimo, ma che funziona bene, tanto che Romero scriverà e produrrà anche Creepshow 2, diretto da Michael Cornick, suo fedele direttore della fotografia. Dall’esperienza con King nascerà anche la serie tv Tales From The Darkside. Nel 1985, Romero filma il suo terzo film di zombi, Day Of The Dead. Anche se a Romero piace molto, sarà il meno fortunato della serie.
NeI 1985 si rompe purtroppo il rapporto con Rubinstein e Romero non riuscIrà a costruire più una situazione di libertà creativa come quella che aveva vissuto in precedenza. Si vedrà così obbligato a cambiare il finale del suo primo film prodotto dalla Orion, Monkey Shines, piccolo horror do-ve una scimmietta che dovrebbe aiutare un ragazzo paraplegico dentro casa, inizia a trasformarsi da servitore zelante a serial killer. Bellissimo nella costruzione della sfida tra il ragazzo e la scimmia, è considerato da molti il suo ultimo capolavoro. In Due occhi di ghiaccio, prodotto dall’italiana Bema, cioè dalla coppia di produttori Silvio Berlusconi e Achille Manzofli, Romero collabora nuovamente con Dario Argento. Ognuno dirige un episodio ispirato a un racconto di Edgar Allan Poe. Romero, che tratta il caso del signor Valdemar, dimostra di essere sempre più lontano dal cinema che lo aveva reso famoso e, fra i due episodi, quello più d’effetto lo firma sicuramente Argento.
Gli anni 90, che segnano anche un disastroso remake di The Night Of The Living Dead prodotto da Romero, ma diretto dal suo fido collaboratore Tom Savini, dimostrano quanto poco il vecchio maestro riesca a integrarsi nel mondo del nuovo horror, dominato dal Freddy Kruger di Nightmare e dal Jason di Venerdì 13. È sfortunato anche con The Dark Half nuova collaborazione con Stephen King. Il suo ultimo film, Bruiser, thriller molto elegante su un uomo che perde letteralmente la faccia, non esce nemmeno in sala, ma direttamente in video. Romero promette la quarta puntata dei morti viventi, ma non riesce a chiudere economicamente nessun film. Del resto sono molti i progetti che vede saltare negli ultimi anni.
Da Il Venerdì di Repubblica, 23 aprile 2004