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Rassegna stampa di Marco Ferreri

Marco Ferreri è un attore italiano, regista, scrittore, sceneggiatore, scenografo, è nato il 11 maggio 1928 a Milano (Italia) ed è morto il 9 maggio 1997 all'età di 69 anni a Parigi (Francia).

LIETTA TORNABUONI
La Stampa

Poter vedere in rassegna completa tutti i film di Marco Ferreri è pure un'occasione bellissima per riflettere sui mutamenti avvenuti durante quasi quarant'anni nella nostra vita, nelle nostre società: nessun regista ha saputo come lui intuire, cogliere, raccontare i grandi cambiamenti del costume. Lo ha fatto senza asservire il suo talento al piccolo realismo quotidiano né all'imitazione piatta della realtà, senza rinunciare alle ricchezze dell'immaginazione né alla maestria cinematografica: i suoi film anticonformisti, provocatorii, anarchici, sardonici, crudeli, sempre all'avanguardia, possono essere visti oggi come documenti esatti e seri dell'epoca. Se La grande abbuffata, storia di quattro amici che si chiudono in una villa per mangiare sino a morirne, rappresenta la metafora più forte della società dei consumi che divora se stessa; se L'ape regina e L'udienza sono simboli eloquenti d'un cattolicesimo ipocrita e misantropo, è soprattutto nei rapporti tra uomini e donne che Ferreri ha capito e narrato la massima mutazione. La nuova libertà delle donne occidentali, la padronanza di sé e della specie portata dal controllo della maternità attraverso la pillola, sono al centro di film cruciali, L'harem, L'ultima donna, Ciao maschio, Il futuro è donna; il dolore, il furore, la solitudine degli uomini spodestati dall'identità smarrita sono al centro di Dillinger è morto, Chiedo asilo, I love you, Diario di un vizio. Ma nell'opera di Marco Ferreri non mancano anche altre questioni essenziali del Novecento quali il rapporto tra Paesi del benessere e Paesi della fame (Come sono buoni i bianchi) o la nuova condizione dei vecchi sempre più numerosi nella senescenza della popolazione (La casa del sorriso). Nei suoi film bellissimi o meno belli, a volte apparentemente semplici come una parabola o una didascalia, Ferreri ha anticipato e illustrato il nostro mondo cambiato con una visione unica: senza ideologie né moralismo, senza pedanterie né nostalgia, con curiosità, comprensione fraterna, ironia, tenerezza, e con un'intelligenza meravigliosa.

ALDO FITTANTE
Film TV

Un anticipatore. questo e (stato) Marco Ferreri. e scorbutico, irriverente, provocatore. Un regista mai uscito dal suo coerente, coraggioso, sfrontato percorso. Un autore a cui poco interessavano le storie personali e molto i sistemi globali. Il primo, forse nel mondo, ad accorgersi in tempi lontani di quanto il Pianeta Terra avrebbe avuto a che fare con l’involuzione: della specie umana, dell’ambiente, della cultura. Il primo, ancora, a denunciare (ma alla sua maniera, caustica e sbeffeggiante, anarchica e libera) l’imbarbarimento contemporaneo. Prendete, ad esempio, Ciao maschio, parabola sulla fine dell’uomo dei 1967, che usa i grattacieli di New York come uno specchio deforme e un fondale allucinato dell’asfissia urbana dentro alla quale uomini e donne hanno deciso di consumare gli ultimi bagliori della cosiddetta Era Moderna. Film speculare a molti altri lavori di Ferreri da Il seme dell’uomo (1969) a L ultima donna (1976) a Il Futuro è donna (1984), favole per adulti crudeli e sadiche, dove il Marco meno svalutato della storia dei cinema si divertiva come un matto a scolpire rughe sui volti e i corpi malandati degli esseri umani e non umani. Convinto da sempre della superiorità storica, fisica e intellettuale delle rappresentanti dell’altra metà del cielo (ai titoli già citati vanno aggiunti almeno L’ape regina, dei 1963, e Storia di Piera, realizzato esattamente vent’anni dopo), Ferreri ha vivisezionato gli aspetti antropologici dell’uomo, sottolineandone continuamente le scomode contraddizioni. Spudorato (si pensi a La grande abbuffata), di un nichilismo solo in apparenza disperato, che da un lato celava affettuose e scandolose tenerezze e dall’altro sogghignava (per esempio I Love You), col suo cinema avvertiva e profetizzava, lanciando anatemi senza urla e proclami, rivestiti di sottilissima ironia e direzionati da uno sguardo lucido che andava a braccetto con un iperrealismo assai speciale. Intellettuale di strada attratto dall’avventura (tanto per dirne una, ha cominciato a fare cinema nella Spagna di Franco), è stato tra i pochissimi cineasti della sua generazione a guardare oltre, a intuire quanto le periferie del mondo si sarebbero trasformate in agglomerati ancor più degradati ed espulsi dalla centralità capitalistica. Nessuno come lui ha saputo, in anni in cui la politica era quasi esclusivamente ideologica e dogmatica, raccontare e mostrare i lati nascosti dei mondo e l’impossibilità di essere normali. La crisi esistenziale dei maschio che non può che ripiegare verso il suicidio (Dillinger è morto) o l’autoevirazione (L’ultima donna), i casermoni di Chiedo asilo (ig8o), le ipocrisie sulla fame dei terzi mondi (Come sono buoni i bianchi), le nostalgie sui corpi (La carne, Diario di un vizio), sulle passioni impossibili (La cagna) e sul cinema (nel suo bellissimo congedo: Nitrato d’argento). E la complicità di attori che con lui si rivitalizzavano. A cominciare da Ugo Tognazzi, vero e proprio feticcio, e Marcello (Mastroianni) che di Ferreri si fidava al punto di mettere in gioco continuamente la sua stessa identità di sex symbol, latin lover e commediante. A Ferreri non piacevano le banalità, ma le idee e i personaggi forti. Giocando con la cinepresa a ribaltare schemi, a usare attori non attori (Jannacci), attori poco attori (Calà), carni (la primissima Ferilli) ed effimere icone della nostra epoca (da Lambert alla Dellera). Nato a Milano ma sudista del mondo, Ferreri è morto a Parigi, capitale che seppe ricambiare con strepitosi scorci e dentro la quale si muoveva come un privilegiato clochard .

FERNALDO DI GIAMMATTEO

Il sarcasmo surreale eretto a sistema di ricerca antropologica. Gli uomini sono animali idioti (per effetto dei pregiudizi diffusi dalle religioni e dalle morali, nonché dalle abitudini), che debbono essere analizzati con distacco e divertimento. Ferreri - studente pigro che si trasforma in piazzista, in giornalista, in rappresentante di obbiettivi per macchine da presa - arriva al cinema, in Spagna, con queste semplici idee in testa. E produce satire antiborghesi e anticattoliche. Dei tre film spagnoli, El cochesito (1960) è il più crudele: prende di mira i vecchi. Ma la crudeltà rimbalza subito nei film girati in Italia: Una storia moderna - L'ape regina (1963), requisitoria contro il matrimonio; La donna scimmia (1964), sul personaggio patetico di una derelitta circuita da un cialtrone (Tognazzi); Dillinger è morto (1969), ritratto glaciale e atroce di un imbecille, ingegnere borghese dentro la società borghese. Non è necessario citare tutti i film di Ferreri per inquadrare la sua tesi. Basta osservare i più scabri e lucidi, i più gonfi di indignazione sarcastica.

GIAN PIERO BRUNETTA

Partiti tutti con lo sguardo rivolto al presente, registi come Pasolini, Bertolucci e Olmi hanno cercato di vedere oltre l'immediatezza dei dati, per capire la persistenza del passato, la difesa e la lotta per la sopravvivenza di una civiltà contadina e di culture che stanno scomparendo.
Meno interessati alla ricomposizione di questi mondi in via di sparizione, altri autori, come Marco Ferreri o Paolo e Vittorio Taviani, usano il presente tentando di decifrarne il senso degli sviluppi possibili: il mondo (e l'uomo) non com'è e come è stato, ma come potrebbe, dovrebbe essere o presumibilmente è destinato a diventare. Su tutte le loro storie, anche quelle dislocate in epoche passate, questi autori pongono interrogativi totalizzanti e portano i loro personaggi a compiere scelte decisive.
Di qui il senso di maggiore inquietudine, di spiazzamento dello spettatore, di deformazione di tutte le misure di rappresentazione, di dilatazione iperbolica o ipertrofica di determinati elementi che entrano nel cerchio vitale quotidiano come sintomi o come semplici segni innocui. Sul versante dell'ideologia o della comunicazione interpersonale i film sia dei Taviani che di Ferreri sviluppano curve di previsione, esasperano linee di tendenza, ci parlano sempre di eventi che si svolgono o subito prima o subito dopo l'apocalisse.
Rispetto agli autori di cui finora si è parlato, che hanno una storia iscritta in una serie di avvenimenti ben identificabili e legati a una precisa esperienza spazio-temporale, Marco Ferreri è un regista nomade, privo di un naturale habitat culturale. Ma è anche colui che sviluppa un proprio processo espressivo e tematico sulla condizione dell'uomo contemporaneo con maggiore coerenza; disponendo i suoi film come capitoli successivi di una medesima opera. Su di lui e sulla sua opera, come ha osservato Alberto Scandola nella più recente monografia sul regista, a pochi anni dalla morte «è calato il silenzio [...], una sorta di oblio ha inghiottito il suo cinema nello stesso modo leggero e indolore, con cui il mare ne aveva inghiottito i fragili antieroi».
Anche nel suo bagaglio culturale l'esperienza neorealista ha un ruolo indispensabile: le prime opere, in effetti, partono da una situazione realistica, per evolvere - in base allo scontro di elementi antitetici - verso esiti surreali o dell'assurdo. Per Ferreri realtà e astrazione non sono dati opposti, ma complementari e congruenti.
In genere non gli interessa la registrazione fenomenologica del presente: il presente gli appare subito il luogo d'incontro tra un mondo preistorico di riti, convenzioni tribali e un futuro che promette assai poco di buono. In questo futuro potranno mutare le strutture apparenti, non la condizione di solitudine, di alienazione, per cui l'uomo deve ancora inventare o trovare una possibilità di uscita. «La mia sola morale - dirà ancora nel 1977 - è quella di fare film negativi». Sviluppando all'estremo una situazione comune, Ferreri mostra come la vita quotidiana sia immersa in una sorta di fantascienza ordinaria . Inquietante nella sua familiarità, nel suo riempire lo schermo di mostri quotidiani, in apparenza così dissimili e in realtà così speculari rispetto alla platea, di oggetti totemici, di residui corporei, il cinema di Ferreri funziona come un sistema tra i più coerenti e si muove come un'astronave su una quota differente rispetto a quella tenuta da tutti gli altri autori coevi.

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