Gli spettacoli con Strehler e gli sceneggiati con Bolchi, i ruoli da protagonista e quelli no. Dopo il trionfo di Passaggio in India a teatro, l'attrice racconta mezzo secolo di carriera. E di storia
Mentre i terroristi uccidevano a Mumbai, Giulia Lazzarini era nei teatri italiani a declamare l'amore universale in quell'affresco sull'impossibilità di capirsi fra diversi che è Passaggio in India, di Edward M. Forster. Per lei, mai scesa nelle cantine neanche da spettatrice, è stato il primo lavoro con gli ex dioscuri dell'avanguardia Federico Tìezzi (regista) e Sandro Lombardi (attore e molto altro), e l'incontro è andato a meraviglia: «Una trepida, illuminante, incantevole Mrs Moore» ha decretato la critica. «Gli attori interpretano i propri sentimenti con parole altrui» dice questa signora milanese di 74 anni, «quindi ho considerato un impegno morale lavorare in Passaggio in India: preferisco recitare cose che penso, io». E dire che da ragazza debuttò con Grattacieli, testo dimenticabile di Guglielmo Giannini, l'ideologo del qualunquismo.
E un pezzo di storia d'Italia, la storia di Giulia Lazzarini: fra le prime attrici entrate nella compagnia di prosa della neonata televisione, protagonista o interprete, senza fisime, dell'epica stagione degli sceneggiati dì Sandro Bolchi. È Fantine e Goletta nei Miserabili, Dosolina nel Mulino del Po, figura nel cast dei Promessi sposi, dei Demoni e di altre grandi produzioni. Ma, soprattutto, è una colonna del Piccolo Teatro, discreta, generosa, versatile. «E coraggiosa, realista» si concede. «Tipiche virtù lombarde, ma niente a che spartire con la Lega».
All'inizio, rischia di essere bandita dal Piccolo: fa un'audizione per il giardino dei ciliegi di Giorgio Strehelr, ma va anche da Luchino Visconti, che ha in cantiere La rosa tatuata. Strehler, Visconti, non c'è male per una principiante. E, quando Strehler la chiama, risponde candida che l'ha già presa Visconti: il Piccolo minaccia l'esilio perpetuo. La rosa tatuata salta, ma lei segue la compagnia e si fa le ossa con Laura Adoni, Memo Bersassi, Lilla Brignone, Gianni Santuccío. «Allora le compagnie avevano più spettacoli in repertorio. Oggi un giovane ne fa uno a stagione: io, con Ernesto Calindri, ne feci otto». Nel 1954, con Arlecchino servo di due padroni, entra al Piccolo. Nei Sessanta passa in tv, poi la rentrée definitiva con L’opera da tre soldi, del 1972. Una ventina di lavori con Strehler e altri con Carlo Battistoni, suo marito e aiuto del Maestro. Il più recente, Il Ventaglio, nel 2006, per la regia di Luca Ronconi.
«Stare al Piccolo era appagante. Non per i soldi, fuori ne avrei guadagnati di più. Non ho avuto ruoli che mi sarebbero piaciuti, come Giulietta o Antìgone, ma quel fare teatro mi corrispondeva». Sarà perché gli anni addolciscono i ricordi - e dalla morte di Strehler sono già undici - la rievocazione del passato ignora le intemperanze del Maestro, le sue ire. Ma non si può essere ingrati can un regista che, ti elogia così: «Giulia o della semplicità. Giulia o della misura, della grazia. Giulia o della facilità. Per Giulia niente è facile, tutto sulla scena le appare problematico. Tutto le costa una grande fatica interiore. Ma alla fine, sempre, il risultato appare più facile" ed ha il peso della profondità sotto l'aspetto della leggerezza». Strehler le chiede tutto, anche di svolazzare (non più giovinetta) appesa a un cavo, quando è Ariel nella Tempesta, ma nel 1982 la ripaga con l'epocale messinscena di Giorni Felici la sua unica regia beckettiana: la Winnie più disperatamente vitale mai vista.
Solo un mese di prove. «Giorni felici andrebbe ponderato, lasciato lì, poi si fa: ero nel terrore. E ero anche più giovane di Winnie, la donna sepolta nella sabbia accanto alla sua enorme sporta piena di cose e ricordi. Strehler mi guidava, meraviglioso, ma la memoria, che doveva essere già pensiero, non lo era ancora, perché lo diventa dopo un mese di repliche. Ho iniziato ad avere pensieri miei su Winnie nella ripresa dei 2005, perché Beckett è un andare avanti e tornare indietro, ogni cosa pare staccata ma ha un disegno che capisci poi. Lo riprenderei, Giorni felici, ma al Piccolo dicono che è passato il centenario di Beckett. Peccato, è profetico, oggi si capisce meglio. Lo riporta in scena Anna Marchesini E anche Adriana Asti, con la regia di Bob Wilson».
Da piccola, Giulia unica figlia di un rappresentante che amala musica e di una madre dall'inespressa vena artistica, si chiude spesso nello sgabuzzino: «"Eh, la Giulia fa teatro" diceva la mamma. Creavo storie tristi, avevo, e ho, una corda dolente». A sedicí anni, la madre la spinge a iscriversi al Centro sperimentale di cinematografia di Roma. «Feci una foto in costume da Luxardo: una dodicenne, altro che Lolita. I selezionatori venuti a Milano mi presero per l'anno successivo». Peccato che all'epoca del Neorealismo rosa il Centro sperimentale non sia tenuto in gran conto, per la recitazione: «Gli insegnanti ci sconsigliavano di dire che venivamo da lì». Vuole iscriversi all’Accademia d'arte drammatica, ma la madre, sempre lei, la richiama a Milano: iniziano i provini per la televisione. «Era l'insieme di quel che mi piaceva, teatro e cinema, con gli attori più bravi ». Debutta nel proto fa la telefonista con cuffie e spinotto che canta un motivetto: «"Hello, hello qui è il club dei sogni, hello, chi parla lí?". Poi dovevo alzarmi, andare verso la telecamera per il primo piano, ma restai attaccata con i cavi al centralino. In diretta».
Oggi, se passa a Corso Sempione, la Rai di Milano, le viene tristezza. «Qui facevamo cose belle, grandiose. Per Il mulino del Po allagammo lo Studio 3. Ora ci fanno i talk show. Conta l'audience, il pubblico non deve faticare: tv e cinema non riflettono più la realtà, la riproducono». Ai tempi di Solchi la tecnica è rudimentale, scarno il montaggio: «Come a teatro, si preparava tutto in sala prove, conoscevo trama, personaggi, attori. Oggi non sai chi trovi sul set, sì lavora come al cinema, ma senza la stessa cura: uno, due ciak. Girando Amanti e segreti ho preso la bronchite: l'estate 2003, la più calda del secolo, non so quanto mi hanno tenuta in un letto d'ospedale a registrare di lì tutte le scene da malata».
In un'intervista del 1985, un giornalista sfrontato le chiede se intende morire sulla scena. Lei risponde: «Mi parrebbe eccessivo». Ma pare che il teatro mantenga giovani, visti gli ottantenni in attività: Rossella Falk, Gianrico Tedeschi, Franca Valevi, Paolo Poli, Aldo e Carlo Gíuffrè, Anna Proclemer, Giorgio Albertazzi. «L'attore si porta dietro un retaggio di irregolare non tutelato, va avanti finché ce la fa, grazie anche al fatto che ci sono parti per ogni età» dice Giulia, provata dalla stanchezza e dalle cene fredde nelle stanze d'albergo della tournée appena sospesa (riprende in autunno). «Ma c'entra anche la selezione naturale: non sfondi se non hai la salute, fisica e mentale. E cambiare tanti ruoli evita la depressione: ami, odi, lotti, diventi tutto quello che vorresti ma non puoi».
Come le dive di una volta, Giulia ha avuto l'onore di una commedia scritta per lei: L'intervista, l'ultima di Natalia Ginzburg. «Che bella persona, Natalia. Civile, semplice: la stupiva vedere le sue parole diventare teatro. Di solito, al debutto gli autori disertano la platea, ma lei c'era: in prima fila con la sua borsa, grande come quella di Winnie. E, quando fu invitata in palcoscenico, salì incantata, con la sua borsona».
Da Il Venerdì di Repubblica, 16 gennaio 2008