
In streaming su MYmovies ONE il film più ambizioso e personale di Hlynur Palmason, il viaggio di un pastore danese nell’Islanda del XIX secolo, tra tensioni, ostilità e crisi dei principi morali. Girato in pellicola e presentato a Cannes nel 2022 nella sezione Un certain regard. GUARDA ORA IL FILM »
di Roberto Manassero
Islandese di origine ma danese di formazione, Hlynur Palmason, già vincitore del Torino Film Festival con A White, White Day - Segreti nella nebbia, ha diretto con Godland – Nella terra di Dio (presentato a Cannes nel 2022 nella sezione "Un certain regard") il suo film più ambizioso e personale: un viaggio che porta a fine XIX secolo e ha per protagonista il giovane pastore luterano danese Lucas (Elliott Crosset Hove), chiamato a partire per l’Islanda, all’epoca colonia del regno di Danimarca, con la missione di costruire una chiesa in un insediamento di connazionali nella zona sud dell’isola.
Dunque un film sul rapporto fra due paesi, la madrepatria Danimarca e la colonizzata Islanda, con tutto il carico di tensione e contraddizioni che la questione comporta.
ACCEDI | GUARDA ORA IL FILM
Lucas, uomo dalla fede non incrollabile, viaggia con un traduttore e un gruppo di lavoratori islandesi che lo disprezzano per le origini e l’inesperienza. Con sé porta un’ingombrante attrezzatura fotografica e sceglie di approdare a centinaia di chilometri di distanza dalla colonia per documentare la selvaggia terra d’Islanda con i suoi scatti.
L’ostilità della guida islandese, la morte del traduttore e le difficoltà del percorso trasformano però il viaggio in un’odissea. Di contro, grazie alle straordinarie immagini create da Palmason, che ha scelto di girare il film in pellicola, la natura dell’isola (lande desolate, cascate imponenti, brughiere, ghiacci) emerge in tutta la sua bellezza spaventosa.
Godland – Nella terra di Dio diventa così una sorta di western nordico che a partire dal fallimento personale, intellettuale e religioso del protagonista fa emergere le tensioni di una terra. Nella seconda parte, quando Lucas arriva in fin di vita all’insediamento danese e viene curato dal colono Carl e dalle sue figlie Ida e Anna (quest’ultima interpretata dall’astro nascente del cinema danese, Victoria Carmen Sonne), il dramma classico esplode, esponendo il sacerdote a violente passioni (amore, frustrazione, vendetta) impossibili da controllare.
Palmason, anche autore della sceneggiatura, vede in Lucas un modello dell’uomo bianco messo in crisi dagli eventi. La sua cultura, la sua fede, le sue stesse fotografie, sono destinate al decadimento, mentre la natura rimane uguale a sé stessa eppure senza sosta. Lo dimostrano i tanti piani fissi su scorci di paesaggio o carcasse di animali che il regista inserisce, mostrando il passaggio delle stagioni, dal freddo al caldo, dal grigio dell’inverno al verde della primavera.
Contro tale forza degli elementi, l’uomo è spaurito e abbandonato, e forse per questo ricorre alla violenza e alla sopraffazione quale unica possibile risposta, come indica lo scontro fisico, linguistico e culturale fra il danese Lucas e la guida islandese, destinato a finire in tragedia.
E tanto per essere chiari sull’impossibilità di sciogliere la tensione fra Danimarca e Islandese, il titolo originale del film è duplice: il danese Vanskabte Land e l’islandese Volaða Land, che in entrambi significa «terra malformata».
{{PaginaCaricata()}}