Un apologo crudele sulla meccanizzazione dei sentimenti. GUARDALO SUBITO IN STREAMING SU FAREASTREAM.
di Emanuele Sacchi
Per citare un altro titolo che impreziosisce l’offerta streaming di FAREASTREAM, Romance Doll sembra, a tratti, quasi una riproposizione parodistica di Departures di Yojiro Takita. Il protagonista maschile, smarrito nel mezzo del cammin di nostra vita, incappa nella più peculiare delle professioni e diviene apprendista di una figura paterna surrogata; quindi scopre di possedere un talento e di affezionarsi al proprio lavoro. Ma tiene nascosto quest’ultimo alla consorte, anche troppo a lungo, rischiando di compromettere la propria stabilità coniugale.
Probabilmente “parodia” non è il termine adatto, considerando la nota di malinconia e di mélo su cui va a sfumare Romance Doll, dove invece Departures sfocia nel più rassicurante (e non a caso apprezzato a Hollywood) degli epiloghi, ma il parallelismo quasi farsesco tra i due film è lampante. La parabola di Romance Doll lo apparenta a molti lavori del cinema giapponese contemporaneo. Una premessa che potrebbe appartenere allo humour più demenziale e triviale, con Tetsuo che viene assunto da una fabbrica di bambole gonfiabili, che approda invece nel dolore, nella perdita e nel rimpianto, in un ribaltamento di toni e di generi gestito con spregiudicatezza dalla regista Yuki Tanada (One Million Yen Girl). Una faccenda di contrasti estremi, gestita con il minimalismo e l’understatement tipico del cinema nipponico, dove dietro un inchino e un solenne formalismo si nascondono i peggiori intrighi o le più letali ipocrisie.
Straordinario in questo senso il contributo del cast, in particolare di Yu Aoi, già musa per Yamada Yoji e attrice sempre più richiesta dal cinema d’autore nipponico (si veda anche l’ultimo Kiyoshi Kurosawa): la sua maschera impassibile e tragica, quasi muta, contrasta con il gorgo di emozioni invisibili che la sconquassano. Lo spettatore è dapprima portato a identificarsi in Tetsuo e nella sua goffa timidezza da principiante di questioni sentimentali, ma Tanada è abile a spezzare il transfert di fronte alla trasformazione di lui, marito prima disinteressato e poi infedele, del tutto dimentico delle ragioni che lo hanno portato a sposare Sonoko (Aoi).
Il sottotesto sessuale della bambola gonfiabile e dal seno perfetto – che deve essere verosimigliante per dimensioni e consistenza – lascia così gradualmente spazio al vero significato del simulacro di silicone: un simbolo di oggettificazione della donna, che viene trasfigurato fino a rappresentare in eterno l’identità della donna amata (e tradita). La merce, correlata al più “sgradevole” dei commerci, diviene invece opera d’arte e passaggio verso l’immortalità del corpo, man mano che il processo di maturazione di Tetsuo si completa. Se come marito questi vedeva in Sonoko una bambola, senza comprendere di amarla e senza portarle il dovuto rispetto, infine Tetsuo ama la donna quando di lei rimane solo il feticcio.
Un apologo crudele sulla meccanizzazione dei sentimenti e sulla deriva egoista e isolazionista del capitalismo nipponico e non solo. E chissà che il nome del protagonista, identico a quello del celeberrimo uomo di metallo alienato di Shinya Tsukamoto, non rappresenti davvero qualcosa di voluto.