
Se ne va un grande attore ma anche un uomo generoso, simpatico, spiritoso e sempre pronto ad ascoltare, qualità; che non appartiene a tutti i divi.
di Pino Farinotti
Tutti oggi citeranno le parole di Rutger Hauer, il replicante di Blade Runner. Parole che hanno fatto la storia del cinema. "Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi...". È tale l'intensità di quel momento di cinema, quando l'"essere" ha ormai deciso di morire e di dettare il suo testamento in una sintesi così fulminante che è doveroso produrre il concetto al completo: "...navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione... e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire."
Così ho anche modo di correggere una mia mancanza in uno dei miei editoriali recenti quando citavo alcune frasi che fanno parte della memoria del cinema quella popolare che sono diventate gergo. Frasi assunte nei discorsi normali, memorie di citazioni dette col sorriso, perché chi le pronuncia è al corrente del senso di quelle parole. Il cinema te le presta e ti fa fare bella figura. Citavo: "O capitano!, mio capitano!" (Parole del poeta Walt Whitman assunte da Robin Williams nell'Attimo fuggente. "Domani è un altro giorno" (Rossella-Leigh, in Via col vento), "E io pago" (Totò in 47 morto che parla) "È La stampa bellezza" (Bogart ne L'ultima minaccia) "Nessuno è perfetto", Joe E. Brown in A qualcuno piace caldo", "Dì qualcosa di sinistra!" (Moretti in Aprile). Il pronunciamento di Roy Batty-Rutger Hauer replicante possiede ben altri significati e potenza.
Il segno lasciato da Hauer in quel film non è meno profondo di quello del protagonista Harrison Ford, che fa Dick Deckard, il cacciatore di taglie, e "quel" film è indicato da molti come il titolo apicale del genere. Siamo nella storia del cinema.
Rutger Oelsen Hauer (1944-2019), olandese di Utrecht, è certo un personaggio, un europeo straordinario. Irrequieto e curioso, prima del cinema esplora tante possibili carriere, fa parte della liturgia di chi farà l'attore: mozzo quindicenne su un mercantile, tenta la carriera militare in marina, poi come guida alpina in Svizzera, poi come macchinista in un teatro di Basilea. Non può mancare il gruppo di recitazione sperimentale che comunque gli permette, nel 1969, a 25 anni, di avere una parte nella serie televisiva Floris, ambientata nel medio evo. Poi arriva... tutto il resto.
Un incontro importante è quello col regista Paul Verhoeven che girerà con Hauer una serie di film alcuni dei quali di qualità alta, come Fiore di carne (1973) e Kitti Tippel (1975). Da allora l'attore ha solo l'imbarazzo della scelta. Lo chiamano alcuni dei più grandi autori internazionali. Da Ridley Scott (Blade Runner) a Sam Peckinpah (Osterman Weekend), a George Clooney (Confessioni di una mente pericolosa) a Christopher Nolan (Batman Begins). Sono solo alcuni dei molti. Poi c'è il cinema italiano, che Hauer ha sempre dichiarato di privilegiare. E i nomi non sono banali: Ermanno Olmi (La leggenda del santo bevitore, Il villaggio di cartone); Lina Wertmüller (In una notte di chiaro di luna); Dario Argento (Dracula 3D). Ed è ricordabile la performance dell'attore nel Barbarossa di Renzo Martinelli.
L'immagine di Hauer che i film hanno trasmesso è nota e consacrata: con quella sua stazza di un metro e novanta, quelle iridi mobili e irrequiete, era, per lo più, il perfetto antagonista violento e cattivo. È stato Olmi a ridisegnarlo come attore buono per tutti i ruoli. E se La leggenda del santo bevitore ha vinto il Leone d'Oro a Venezia nel 1988, il regista lo deve anche al suo attore protagonista. Ho scritto di Rutger attore. Nel privato era completamente diverso dalla sua immagine prevalente. Ho avuto modo di conoscerlo, era spesso a Milano ospite di eventi. Era simpatico, spiritoso e sempre pronto ad ascoltare, qualità che non appartiene a tutti i divi. Di Hauer, è notorio, il suo impegno nel sociale. È titolare della Fondazione, Rutger Hauer Starfish Association per la ricerca sull'AIDS e l'aiuto dei malati nel mondo. Grande attore e uomo generoso, Rutger Hauer.
Ma voglio chiudere con il titolo da me privilegiato nell'intera filmografia, I colori della passione di Lech Majewski del 2011. L'attore dà corpo e volto a Pieter Bruegel il vecchio, il grande pittore, anche lui olandese. Il tema del film è "La salita al calvario" (1564), l'opera di maggiori dimensioni di Bruegel. Il regista accompagna il pittore nell'arte e nel privato. Bruegel prepara i disegni preliminari, spiega la composizione al signorotto locale. I colori del dipinto sono trasferiti alla perfezione nel fotogramma. Insomma, una simbiosi assoluta fra le due discipline. Quella Salita al calvario, scelta da Majewski è dunque uno degli incanti del mondo. E Rutger ne fa parte così com'era stato in Blade Runner che è ... più modestamente, un incanto del cinema.