In occasione dell'uscita de Il prigioniero coreano, ora al cinema, ecco un video per ripercorrere e riapprezzare la filmografia del pluripremiato regista.
di Mario e Tommaso Sesti
Kim ki-duk è l'occhio dell'Asia che mette a nudo l'estremismo delle emozioni e della vita: il desiderio, la rabbia, il dolore, la commozione. Un cinema spesso sospinto dall'ossessione di una idea o di una passione che espone ad un itinerario di ascetico martirio i suoi protagonisti, la sfida dell'individuo contro il mondo. Le sue inquadrature, costruite con uno stile d'illuminazione ricercato e composito, sono gremite di colluttazioni, percosse, menomazioni: il corpo che le riempie, su cui il sangue è una sorta di scrittura e decorazione, è al centro di un teatro scarno e claustrofobico, fatto di celle e stamberghe cui si oppongono mondi acquatici e sospesi.
"Con Il prigioniero coreano, ora al cinema, Kim ki-duk torna al suo cinema delle origini con un film politico che critica regimi e sistemi ideologici delle due coree".
Nei film di Kim ki-duk c'è spesso un personaggio, un outsider fuori norma, che insegue una missione solitaria e disperata, è una domanda di fondo contro la quale i suoi protagonisti lottano strenuamente, dal giovane clandestino di Ferro 3 al pescatore ostaggio delle due Coree in Il prigioniero coreano (guarda la video recensione), ora al cinema: essere liberi è davvero possibile? A costo della solitudine, dell'isolamento e del dolore.