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Aspettando Harry Potter

Percorso nel fenomeno editoriale di Harry Potter: sette libri di cui sei già pubblicati e cinque trasposti sullo schermo.
di Marzia Gandolfi

Quando regia fa rima con magia

lunedì 9 luglio 2007 - Approfondimenti

Quando regia fa rima con magia
È impossibile parlare della saga cinematografica di Harry Potter senza considerare il fenomeno editoriale che la precede: sette libri previsti di cui sei già pubblicati e cinque trasposti sullo schermo, che hanno fatto la fortuna davvero sfacciata di Mrs. Rowling (grazie ai diritti sui personaggi).
Dal 2001 a oggi abbiamo assistito a un fenomeno anomalo, la realizzazione di autentici instant movie sulla scia del successo dei romanzi. Per trascinare le avventure del maghetto nella storia del cinema ci sarebbe voluto lo sguardo gotico e "diverso" di Tim Burton o ancora quello ludico di Spielberg, capace di trasformare l'immaginario in marketing, facendo sempre attenzione ai meccanismi della psicologia collettiva. Ma autrice e produttori hanno scelto altrimenti, affidando ogni episodio, dopo il Potter bis di Chris Columbus, a un regista diverso.
Così come accade ai grandi blockbuster, i film di Harry Potter sono finiti nel merchandising del libro insieme alla linea di abbigliamento, ai pupazzi di pezza e ai luoghi interattivi, un fictional world per valutare le vostre magiche potenzialità a colpi di mouse. Ma facciamo un passo indietro per chi tra i "babbani" non conoscesse (ancora) Harry Potter. Il giovane mago nasce dalla penna e dalla fantasia di J.K. Rowling. Orfano di padre e di madre è affidato ancora fanciullo agli zii, gli anaffettivi Dursley. É nella loro casa di Privet Drive che a undici anni scopre i suoi poteri e la possibilità di un mondo magico al di là di quello babbano. Per quel mondo c'è un Espresso da prendere al binario nove e tre quarti. Alla fine di quei binari c'è la scuola di Hogwarts, gli insegnanti che seguiranno e svilupperanno il talento magico di Harry e due amici inseparabili: la perspicace Hermione Granger e l'impacciato Ron Weasley.
Per sette anni, il tempo di frequenza previsto dalla scuola inglese, il lettore e lo spettatore, in ritardo di soli due libri, parteciperanno alle avventure di Harry. La trasposizione di Chris Columbus dei primi episodi (Harry Potter e la Pietra Filosofale; Harry Potter e la Camera dei segreti) è puntuale e assai rassicurante, libri e film si mantengono dentro la tradizione della letteratura di scuola, unica concessione alle story-school tradizionali è la magia. Columbus è fedelissimo al testo al punto che le sue riduzioni cinematografiche finiscono per diventare una mera illustrazione, animata come le cioccorane o i quadri appesi alle pareti di Hogwarts.

Prigionieri ad Azkaban
È piuttosto il terzo film (Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban), tradotto questa volta dalla regia raffinata di Alfonso Cuarón, a evocare invece di mostrare, varcando la "passaporta" e approdando al fantasy. Il regista messicano coglie nel romanzo della Rowling il passaggio di genere, dalla story school al fantasy e introduce nel suo Prigioniero di Azkaban nuovi e suggestivi elementi. Harry Potter e i suoi lettori crescono e inevitabilmente finiscono per desiderare altri giochi e altre avventure.
Si diffonde la nostalgia di un'epoca precedente ma ormai perduta, l'infanzia, dove la vita trascorreva serena, ci si sentiva meno responsabili della propria immagine e la magia assomigliava a un gioco che "aggiustava" gli eventi piuttosto che guastarli. Le azioni dei protagonisti si spostano e agiscono più spesso nel mondo magico lasciando quello babbano sullo sfondo, sprovvisto della saggezza magica.
La Rowling sembra avvertire i suoi lettori che il mondo perfetto, da lei postulato come ideale continuazione del quotidiano, sta per finire: i suoi libri, pagina dopo pagina, accumulano indizi e presagi oscuri anticipando la rappresentazione terrificante e indicibile della morte. Se fino alla scoperta della camera dei segreti Hogwarts era un luogo straordinario e magico che aveva fatto intuire a Harry la felicità perfetta, dopo il terzo episodio, cupo e torbido anche sullo schermo, quel mondo ideale si fa crudele e ingiusto. Sirius Black, padrino ritrovato di Harry, è stato vittima di un errore giudiziario che lo ha condannato a una lunga detenzione ad Azkaban - il penitenziario dei maghi - e al tormento dei Dissennatori, feroci strumenti di repressione che privano di senno e di gioia i detenuti.
Nel calice di fuoco, quarto appuntamento cinematografico con Harry, il male si chiarisce e si rivela attraverso il marchio nero proiettato nel cielo del Campionato di Quidditch e attraverso il corpo redivivo di Lord Voldemort. Nel quinto libro/film (Harry Potter e l'Ordine della Fenice) saranno proprio le istituzioni magiche, il Ministero della Magia, a negare il ritorno del male e a reprimere tutti coloro che oseranno affermare il contrario, come Harry, punito e "segnato" a sangue, e come Silente, rimosso dalla presidenza della scuola e sostituito da un inquisitore.

Calice amaro
La quarta trasposizione per lo schermo è del finalmente inglese Mike Newell, connazionale di Harry Potter, che ha dimostrato una profonda e naturale conoscenza degli usi e costumi dei college britannici. Raccontando con sensibilità i turbamenti dell'adolescenza e i riti di passaggio, li ha spettacolarmente esemplificati nelle prove del Torneo Tremaghi. L'adattamento di Newell si è concentrato sugli spettatori (soprattutto coloro che non hanno letto il libro) e sul cinema, le sue immagini si sono fatte veicolo e stimolo all'immaginazione e non suo punto di arrivo. Il regista inglese recupera così la bellezza delle cose ai margini: il brusio della mensa, le risatine del ballo, gli imbarazzi dell'infatuazione amorosa. Harry Potter e il calice di fuoco introduce col trapasso di Cedric Diggory, fulminato dalla maledizione di Voldemort, il tema della morte. Il Signore Oscuro dentro una cornice cimiteriale, in un fotogramma listato a lutto, inizia Harry alla caducità della sua natura, fino allora avvertita come immortale. Voldemort è colpevole della morte dei genitori di Harry, è il mago potente che ha segnato la sua fronte con una cicatrice che duole ogni volta che il male agisce.
Voldemort deriva dalle parole francesi vol de mor che letteralmente significano volo di morte o anche e meglio fuga dalla morte. Perché è l'immortalità dell'anima a ossessionare il grande cattivo della Rowling: Thomas Orvoloson Riddle in arte Voldemort, per metà babbano e per metà mago. Lo stesso Harry detesta la morte che lo ha duramente colpito negli affetti, anche lui vorrebbe combatterne l'irriducibilità ma per quanto desiderabile la vita eterna è contro le leggi di natura. La forza di Harry sta proprio nell'accettazione della transitorietà e della fugacità della vita. Per esaltare un eroe e la sua saggezza è necessario creare un cattivo all'altezza che coltivi la vanità dell'immortalità, che sia simbolo di una défaillance morale, che infligga maledizioni perché superbo e invidioso.
Voldemort è un mezzosangue che non soddisfa la perfezione che chiede agli altri di soddisfare e quel che è peggio, annienta in loro ciò che non sopporta in sé stesso. Adesso si è fatto corpo ed è tornato. Con lo spettatore il giovane Potter si prepara a sfidarlo nella quinta avventura cinematografica diretta da David Yates. A fianco del maghetto di Privet Drive si schiererà l'Ordine della Fenice, guardiani segreti del mondo magico e di quello babbano. È tempo per tutti di impugnare la bacchetta.

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