mercoledì 15 novembre 2006 - News
Accanto alla rassegna ufficiale e alle sezioni collaterali, l'edizione 2006 del Torino Film Festival presenta "i suoi omaggi" a
Robert Aldrich, a
Claude Chabrol e al regista catalano recentemente scomparso Joaquín Jordá. Diversi per poetica ed estetica, i tre cineasti hanno condiviso un'identica passione per la settima arte, che il Torino Film Festival mette in schermo e ufficializza in tre monografie.
Seconda volta a Torino per Claude Chabrol, l'opera omnia del regista francese, presentata in due tempi e in due edizioni (2005/2006), ricomincia dal 1974 presentando al pubblico lo
Chabrol più recente,
La damigella d'onore e
La commedia del potere, senza dimenticare l'altrettanta prolifica e preziosa produzione televisiva. Lontano dalla vocazione iconoclasta di
Godard, dall'autobiografismo di
Truffaut e dal rigore di
Rohmer,
Claude Chabrol rivela, fin dall'esordio, una vocazione per il melodramma. Cinquant'anni (quasi) di cinema che ripete superbamente se stesso: una story melodrammatica con un andamento poliziesco o giudiziario, come nel suo ultimo lungometraggio, l'introspezione psicologica dei suoi personaggi e delle loro relazioni, la descrizione "balzachiana" di una famiglia, di un paese, di un ambiente sociale. In anticipo sui compagni dei Cahiers du Cinéma e sulla Nouvelle Vague francese di almeno un anno, con
Le beau Serge (1958),
Chabrol avvia la sua galleria di personaggi borghesi e annoiati, che vedono esaurirsi e illanguidire il loro senso etico e morale sullo sfondo della provincia francese.
Dall'altra parte dell'oceano arriva invece il cinema "esemplare" di Robert Aldrich che, formatosi professionalmente presso la RKO, ha demitizzato e rivisitato i generi classici di Hollywood. Aldrich ha una visione profondamente etica della vita, la concezione eroica dei suoi personaggi e la loro fedeltà a grandi ideali, a cui si consacrano e per i quali muoiono, aderiscono perfettamente ai generi di azione (western, poliziesco, guerra).
Appartiene invece al vecchio continente il cinema di Joaquín Jordá, autore catalano, inventore di una nuova forma di racconto audiovisivo e raffinato traduttore (in castigliano) di "classici" della letteratura contemporanea. I film di Jordà miscelano finzione e realtà, una maniera creativa che "ha maggiore capacità di improvvisazione, in cui il caso interviene con maggiore puntualità". Nel 1999 gira
Monos como Becky, scritto con Nuria Villazán, un docudramma sulla pazzia e insieme un film denuncia, sincero e implacabile, sull'internamento negli ospedali psichiatrici. Costruito a partire dalla biografia del neurologo portoghese Egas Moniz, padre della lobotomia e discusso premio Nobel. Buona visione.