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Carl Theodor Dreyer

Carl Theodor Dreyer. Data di nascita 3 febbraio 1889 a Copenhagen (Danimarca) ed è morto il 20 marzo 1968 all'età di 79 anni a Copenhagen (Danimarca).

Alle radici del cinema nordico

A cura di Daniele Di Ubaldo

Dreyer inizia la carriera artistica come pianista. Ben presto decide di ripiegare sul giornalismo e mentre ancora svolge l'attività di cronista inizia a lavorare nel cinema, prima come autore di didascalie, poi come sceneggiatore e montatore. Tra il 1919 e il '26 realizza da regista parecchie pellicole, fra cui Praesidenten (1919), Pagine dal libro di Satana (1920), Der var engang (1922), L'angelo del focolare (1925), nelle quali inizia a delinearsi uno stile rigoroso e severo che troverà compiutezza nelle sue opere successive. Dreyer si dimostra cioè subito intenzionato ad affermare la propria individualità di autore e la sua dignità di artista, ponendosi in contrasto con l'industria cinematografica del proprio Paese. Se i film citati vengono realizzati tra Danimarca, Svezia, Germania e Norvegia, nei luoghi cioè dove il regista riesce a trovare un produttore, anche in seguito la sua carriera sarà caratterizzata da lunghe pause necessarie a trovare finanziamenti per realizzare i film. É la stessa sorte toccata a molti grandi registi (Welles [Indipendenti da Hollywood*], ad esempio) che hanno voluto, in buona parte con successo, affermare una concezione del cinema come arte e non come spettacolo di intrattenimento prodotto su scala industriale.
La passione di Giovanna d'Arco (1928), film che impone Dreyer all'attenzione di tutto il mondo, viene realizzato in Francia: vi si narrano le ultime ore dell'eroina francese, che sottoposta a torture e umiliazioni, prima firma l'abiura, poi, sostenuta dalla fede, ritratta e viene condotta al rogo. Il film racconta un fatto storico con dovizia di particolari, ma non è un film storico, così come non è un film sperimentale, malgrado Dreyer vi utilizzi tecniche innovative, come il far recitare ai personaggi tutte le battute (il film è muto) o il raccontare una storia attraverso intensissimi primi piani. In effetti il regista riesce a creare uno stile personale, capace di raggiungere la profondità psicologica dei personaggi attraverso l'estrema naturalezza delle immagini e del racconto. Questa ricerca di realismo spontaneo sarà uno dei fili conduttori dell'esperienza artistica del maestro danese, che ovviamente non è fine a se stessa ma fa parte di un'ambizione più alta: riuscire a trascendere il caso concreto e perfino i contorni temporali della vicenda per arrivare a far esplodere il fine ultimo dell'opera. Sotto questo aspetto, al di là del preziosismo formale che pure è importante, La passione di Giovanna d'Arco è un grande film soprattutto perché mette in rilievo l'assurdità di ogni forma di intolleranza e oscurantismo, sostenendo invece la necessità di riconoscere a qualsiasi essere umano il diritto di affermare la propria personalità e le proprie idee. Sembra paradossale quindi che la pellicola abbia incontrato non pochi problemi con la censura, e che l'Arcivescovo di Parigi, considerandolo pericoloso, gli abbia apportato numerosi tagli.
Queste vicende costringono l'artista a realizzare il film successivo soltanto grazie alla passione di un ricco mecenate olandese. Vampyr (1932) è un film inquietante; il racconto di un'avventura fantastica in cui la dimensione del sogno si fonde con quella della realtà nelle trame di un horror originale, basato sulle suggestioni provocate dalle atmosfere. Nonostante alcune sequenze memorabili, il film rimane un capitolo isolato nella carriera di Dreyer che mai più lascerà vagare così liberamente sullo schermo la propria fantasia e le proprie inquietudini. Il film non ebbe alcun successo e ciò indusse l'autore, ormai sfiduciato, ad abbandonare il cinema per tornare all'attività di giornalista.
Dovranno passare undici anni perché Dreyer diriga di nuovo un film: è il 1943 quando, in piena occupazione tedesca, il regista torna sui temi di Giovanna d'Arco e realizza Dies Irae, nel quale si ribella all'intolleranza di una religione che diventa chiesa e crea dogmi per rinviare la felicità dell'uomo in un ipotetico al di là, riafferma il bisogno di ogni individuo di veder rispettata la propria natura e ribadisce l'inevitabilità della sofferenza come mezzo per raggiungere purezza e chiarificazione.
Costretto ancora una volta a fuggire dalla propria patria, Dreyer si rifugia in Svezia dove gira un film, Due esseri (1944), con due soli personaggi che si addossano entrambi un crimine commesso da uno solo. La vicenda - che si conclude con un doppio suicidio - e il carattere sperimentale dell'opera che irrita pubblico e critica, induce l'autore a ritirarsi nuovamente dall'attività di cineasta. Bisogna aspettare altri dieci anni prima che il regista danese realizzi il suo penultimo film, Ordet (1954), ancora sul tema dei contrasti fra l'apparato sociale della religione e gli spontanei moti della fede. In un ambiente abitato da figure che sanno lottare solo per questioni dottrinali, si muove il protagonista, uno studente di teologia impazzito che pensa di essere Gesù Cristo e con la forza del proprio sentimento religioso riesce a resuscitare la moglie del fratello. Un film difficile che vuole ribadire come la personalità umana non può realizzarsi in maniera completa se confida solo sulle sue forze, ma ha potenzialità infinite se condotta dalla fede verso un assoluto che, nell'ottica di Dreyer, è la fede per la vita e l'amore.
Nel decennio successivo Dreyer tenta inutilmente di trovare fondi per girare Jesus, una sua sceneggiatura sulla vita di Cristo. Nel 1964 riesce invece a girare Gertrud, dramma esistenziale di una donna che vede frustrata la sua ricerca d'affetto da una società rigida, da un mondo che avvolge gli uomini facendoli rassegnare al proprio destino e al proprio immobilismo. Anche qui, dietro una tematica sentimentale trattata con asciuttezza e sobrietà, ritorna l'insoddisfazione che nasce negli uomini che si affidano solo a se stessi. La protagonista è una donna che cerca nei rapporti con le persone una gratificazione ad una sua esigenza superiore: vivere l'amore, che è più importante del tempo, della bellezza e della felicità dell'uomo che durano un attimo e poi spariscono.
Il regista danese morì nel 1968, mentre tentava ancora di trovare qualcuno che gli producesse Jesus, che rimane il suo sogno irrealizzato.

Ultimi film

Drammatico, (Danimarca - 1964), 119 min.
Drammatico, (Danimarca - 1954), 124 min.
Drammatico, (Svezia - 1945), 75 min.
Drammatico, (Danimarca - 1943), 105 min.
Drammatico, (Francia - 1932), 75 min.
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