Dopo aver studiato musica approda a Hollywood dove viene scritturato dalla MGM. Nei decenni ne sarà uno dei maggiori testimoni. A 26 anni è già una stella, grazie al ruolo di Armand Duval in Margherita Gautier. Accanto a lui un ottimo sponsor, Greta Garbo. In quella parte Robert mostra attitudini importanti: una recitazione intensa e capace di cambiar registro, soprattutto una presenza straordinaria, che gli permette di essere visibile anche accanto a un'icona vampirizzante come quella della sua partner. Robert ha occhi chiari, capelli scuri, e lineamenti assolutamente classici. Il suo è probabilmente il più bel volto dell'intero cinema. È la sua sfortuna. Farà parte del club dei belli-che-non-possono-mostrare-altre-qualità-perché-troppo-belli, appunto: il destino di personaggi come Alan Ladd, Errol Flynn e Tyrone Power. Insieme a quest'ultimo, Taylor diventa l'eroe amoroso delle donne del mondo. In Havana la protagonista Lena Olin dice a Robert Redford di essere andata in America per conoscere Robert Taylor. Sulle copertine dei dischi italiani di canzoni d'amore degli anni quaranta campeggiava il volto di Robert. Il titolo esemplare in quel senso è Il ponte di Waterloo, accanto a Vivian Leigh. I due formano la coppia più bella, romantica e struggente del cinema. Il climax è quando ballano il walzer delle candele, sempre più al buio, sempre più innamorati. Come per quasi tutti i divi hollywoodiani arriva per Taylor il momento del west. E l'attore riesce a disegnare un tipo particolare ed efficace, capace di competere coi grandi personaggi del genere, Cooper, Wayne, Stewart. In Terra selvaggia; è il primo Billy The Kidd del cinema. Eccolo poi in un trittico in b/n che gli offre persino la possibilità di recitare: L'imboscata, Il Passo del diavolo, Donne verso l'ignoto. Tre capolavori realisti, lontani dallo spettacolo e dal magniloquente. Nel Passo del diavolo Taylor è un indiano che difende i propri diritti. È uno dei primi titoli "alla parte degli indiani". E non era una piccola intuizione nel 1950. Dopo la fase western ecco quella in costume. La Metro lo sceglie per contrastare il grande avventuroso Flynn della Warner. E Taylor centra altri tre ruoli da leggenda, Marco Vinicio in Quo vadis?, Ivanhoe nel film omonimo, e Lancillotto nei Cavalieri della tavola rotonda. Ma si sente un attore vero e vuole recitare senza dover aspettare l'età per essere un caratterista. Eccolo dunque nel ruolo di psicopatico cacciatore di bisonti nell'Ultima caccia. Fa impressione vedere Taylor fare l'antagonista cattivo di Stewart Granger, ma almeno ha dimostrato di saper uscire da un cliché. Nel frattempo gli anni sono passati. Il volto ha perso quella nobiltà e il corpo si è appesantito. Un segnale poco felice è l'invito a fare un film in Italia. L'ottimo Luigi Scattini lo dirige nella Sfinge d'oro. Sullo schermo risulta stanco, davvero al tramonto. Forse manifesta i segni del cancro. Morirà due anni dopo. Come i divi nominati sopra, Taylor non ha raccolto riconoscimenti accademici (non un Oscar, non una nomination) ma ha magnificamente gestito il ruolo dell'eroe dei film, che è, soprattutto, quello di far sentire eroi noi tutti. Che non lo siamo.