Il cinema in quel 1945 aveva ben altro ruolo e non poteva non raccontare il colonnello pilota comandante dell’Enola Gay, il bombardiere B29, che alle 8.15 del 6 agosto sganciò la bomba su Hiroshima.
di Pino Farinotti
Il film diretto da Christopher Nolan, Oppenheimer, ha riempito e sta riempiendo le sale. E così è legittimo che si cerchi di estendere quel successo e quella vicenda. E lo strumento sussiste, ed è straordinariamente efficace, e naturale. Oppenheimer costruì la bomba, occorreva trovare l’uomo che la gestisse. L’uomo era un pilota militare che possedeva tutte le qualità per l’impresa. Si chiamava Paul Tibbets.
Il cinema non poteva certo non applicarsi a un personaggio del genere, il colonnello pilota comandante dell’Enola Gay, il bombardiere B29 che, alle 8.15 del 6 agosto sganciò l’atomica su Hiroshima. Sono passati 78 anni da quella vicenda e il film di Nolan è un documento complesso e completo, anche se qualche eco di reminiscenza pacifista si è espresso qua e là. Ma in quel 1945 il cinema aveva ben altro ruolo.
In guerra e in pace, in politica, Hollywood si schierava. C’era un’idea da far passare e dalla Casa Bianca qualcuno si metteva in contatto con un referente a Hollywood e l’ordine veniva smistato alle major, secondo attitudine. “Abbreviare la guerra” era stato l’immane alibi della bomba atomica. Quando il presidente Truman appose quella firma si ribellarono pochi intellettuali e pacifisti che tuttavia non facevano opinione generale. Il tradimento giapponese di Pearl Harbor era ancora troppo fresco e doloroso, era ferita ancora aperta. Ma i 250mila morti civili di Hiroshima e Nagasaki erano un numero abnorme e innaturale, non poteva essere definito da quella didascalia “abbreviare la guerra”.
Nei primi anni Cinquanta, in piena Guerra Fredda, la generazione che era tornata dall’Europa e dal Pacifico, a contatto col resto del mondo che non era l’America, aveva maturato idee pacifiste. Tutti quei morti innocenti immolati in nome della necessità di “chiudere” in fretta mettevano in discussione l’assunto che non si poteva fare altrimenti. Molti ormai pensavano che… si poteva fare altrimenti.
E così, ancora una volta, dal famoso ufficio della Casa Bianca partì l’indicazione per Hollywood. L’eroe da illustrare era Paul Tibbets, appunto. La major venne identificata nella Metro-Goldwyn-Mayer e il modello in Robert Taylor.
Taylor era il divo più popolare e amato, ed era un repubblicano, un carattere patria e famiglia, insomma uno di destra. Inoltre aveva portato sullo schermo strepitosi eroi in costume come Ivanhoe, Lancillotto e il Marco Vinicio di Quo vadis. In più Robert era l’idolo delle donne del mondo. Il film si intitolava Above and Beyond, letteralmente “sopra e oltre”, tradotto in Il prezzo del dovere. Taylor rappresentò il comandante del bombardiere con grande misura, rilevando il tormento interno, profondo e, forse, il rimorso segreto. Quel sentimento individuale, trasmesso da una performance straordinariamente intensa, divenne, almeno nelle intenzioni, il sentimento della politica e del popolo. Sganciare quella bomba era costato molto, anzi moltissimo, anche alla coscienza nazionale americana.
Robert Taylor era un attore, ma Paul Tibbets era un uomo, c’è differenza. Pilota dell’aeronautica civile, uscito da una selezione severissima, fu a capo di un progetto che non aveva l’imponenza del Manhattan di Oppenheimer, ma gli si avvicinava. Il suo sentimento, quando vide là sotto il fungo che uccideva tanta gente, era quello vero, non della fiction. È morto nel 2007 a 92 anni. Molte cose erano cambiate. Erano cambiati il consenso e la cultura. Erano rimasti in pochi a pensare che di quella bomba non si potesse fare a meno. Tibbets è stato un militare per tutta la vita. Il “senso del dovere” che gli ha fatto compiere quella missione si deve essere certamente evoluto. Per anni l’esercito lo usò come manifesto di quell’azione necessaria. Ma nel tempo il vecchio pilota si espose sempre di meno. Poi tacque. Poi disse a un suo amico, Gerry Newhouse, di non volere né un funerale vistoso né una lapide sulla sua tomba. Temeva che si trasformasse in luogo per manifestazioni di protesta. Come sarebbe accaduto dagli anni Sessanta, col Vietnam e tutte le nuove dialettiche e consapevolezze. Così, anche il comandante Tibbets, “direttissimo” interessato, aveva capito.