Loro 1

   
   
   

Un mosaico ready-made Valutazione 2 stelle su cinque

di FreeRider


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venerdì 27 aprile 2018

Non è difficile comprendere perché Paolo Sorrentino abbia trovato interesse cinematografico in una figura pubblica ingombrante ma ormai in declino, nonostante al pubblico probabilmente non mancasse per nulla una versione del Cavaliere su grande schermo: verosimile che il regista abbia scorto nella variegata realtà che la cronaca ha negli anni disvelato attorno al noto personaggio l’universo (per non dire il pretesto) ideale per azionare il riavvio di una sarabanda di situazioni e fauna umana per nulla distanti da quelle che vorticavano nella Grande Bellezza: arrivisti, leccapiedi, intrallazzoni, galoppini, escort, aspiranti-qualsiasicosa disposte a qualsiasicosatutti brulicanti attorno a feste, festini, ville, piscine, sostanze chimiche, sport costosi, giardini all’inglese insomma tutto quel tipo di mondo con relativo decor vip-trash, quello che (fortunatamente) rispecchia la vita del 5 per mille dei cittadini italiani ma verso la cui rappresentazione il regista napoletano conferma particolare inclinazione.
 
Loro1, per quanto si può giudicare senza aver visto Loro2, non ha certamente tra i suoi obiettivi la denuncia ma nemmeno l’analisi dei fatti realmente accaduti e ciò è evidente sia per il tono surreale della rappresentazione che per gli esigui elementi riconducibili alla cronaca (cronaca rosa più che politica o giudiziaria) che sono per l’appunto più che noti e acclarati e vertono soprattutto sull’aspetto privato e relazionale del protagonista e cioè il lato più agile da filmare e anche quello che riempie con più esuberanza lo schermo. Il film è di fatto un (altro) mosaico di (mala)vita capitolina, infatti nonostante il protagonista sia milanese e Servillo si sforzi di imitarne l’accento il regista si concentra sul capitolo politico e dunque romano della sua storia, ritagliandosi così nuovamente l’opportunità di muoversi negli ambienti con cui ha più familiarità. E’ così che con la consueta libertà di sceneggiatura, sempre in bilico tra estro e disimpegno, si aprono e si chiudono siparietti simbolisti, sequenze puramente vouyeristiche, scene che rigurgitano la nota volgarità televisiva senza una rielaborazione che possa dare un senso al ritrovarla anche qui, in poche parole un assemblaggio di estetica ready-made solo in apparenza audace ma a ben vedere ben attento a non correre nessun rischio. I personaggi si palesano immediatamente per ciò che devono rappresentare, didascalie di se’ stessi senza sfumature o sottintesi (le donne si insultano da sole, addirittura a un certo punto compare un cartellino segnaposto con nome e cognome nel dubbio che la somiglianza dell’attrice con la persona reale non fosse sufficiente) e come se non bastasse ogni concetto è spiegato e ribadito da dialoghi esplicativi e già comprensivi di autovalutazione: tutte le figure in scena sembrano consapevoli del giudizio che lo spettatore deve avere di loro e anzi, gli risparmiano la fatica di maturarlo da se’ anticipandoglielo a parole. Insomma, quel che attinge - copiato pari pari, o meglio servito su un piatto d’argento - alla realtà è stranoto e ormai inerte, tutto ciò che invece è aggiunto risulta talmente costruito che anche gli eccessi e le invenzioni si potrebbero susseguire all’infinito senza spostare di un millimetro il risultato dalla fotografia di scena di un sovraccarico allestimento.
 
Insomma, Sorrentino ha scelto la sezione della parabola italica del Cavaliere che sembra effettivamente fatta apposta per ridare vita alla corte dei miracoli in cui Toni Servillo ci aveva già guidati una volta nei panni di Jep Gambardella, quale sia il valore aggiunto di questa “nuova” operazione rimane al giudizio degli spettatori.

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