A 4 anni di distanza dal suo precedente film Tarantino torna sul grande schermo per ricordarci nel giro di un paio d’ore chi è, che cosa fa per guadagnarsi da vivere e cosa realmente gli piace di questo mondo: le automobili, dalla lussuosa ed elegante Cadillac panna, alla rumorosa Voskswagen sputa catrame, passando per decine di altri modelli; i piedi femminili, ormai un ossessione conclamata per il regista di Knoxville e che dissemina per tutta la durata del film; la bella musica, gli anni 70 e soprattutto, davanti ad ogni altra cosa tanto, tanto, tanto, tanto cinema.
Il regista infatti ci trascina per la seconda volta dopo Bastardi Senza Gloria nel suo mondo, l’acqua nella quale si sente più a suo agio, il mondo del cinema visto da dentro. Questo suo “film sui film”, non solo da la possibilità al regista di raccontare storie conosciute e vissute dall’ interno di Hollywood (la carriera in crisi di un attore, l’esordio di una giovane star), ma gli permette inoltre di creare in un universo di fiction (Pulp?) varie parentesi con la quale omaggiare e raccontare chi davvero sta dietro la telecamera. Ne escono quindi splendidi spezzoni di spaghetti western, le più varie scene di film di guerra e polizieschi italiani, per non parlare dei cartoni animati proiettati al drive in e delle locandine dipinte a mano e appese fuori dalle sale.
Insomma una panoramica a 360 gradi del mondo di Hollywood, interpretata da un cast stellare: basti dire che al terzo minuto del film lo spettatore si sia già trovato davanti Al Pacino, Margot Robbie e Michael Madsen, assieme a quegli altri due protagonisti: si perché proprio quei due sembrano essere il motore di quella splendida automobile costruita da Tarantino (vedetela come la Cadillac bianca). La grandezza di Di Caprio e Pitt si rivela nell’ interpretazione dei due ruoli più complessi di tutto il film. Il primo si trova a doversi muovere fra una vasta gamma di personaggi: il Rick Dalton fuori dal set, il Rick Dalton che recita bene e il Rick Dalton che recita male, essendo costretto ad esagerare nella mimica ed a mostrare tutte le sue capacità e la sua volubilità a riguardo. Il secondo invece deve contenere la sua recitazione rappresentando per tutto il film lo stuntman, la spalla, non un grande attore quindi, ma più il secondo di qualcuno al quale non bisogna rubare la scena e che fuoriesce in grande nelle scene in solitaria.
E poi Kurt Russell e Emile Hirsch a condire un cast con una responsabilità importante ovvero raccontare velatamente ed in maniera parallela una tragedia, un fatto di cronaca dei più brutti di sempre che sconvolse non solo il mondo del cinema dell’epoca. E davanti a così tanta qualità tecnica utilizzata per questo tema, allora sorge una domanda: questo finale soddisfa a pieno lo spettatore? Non era troppo annunciato dopo le ultime “tarantinate”? E soprattutto rende giustizia al fatto reale e alle vittime della vicenda?
La risposta è molto soggettiva, ma sarebbe interessante conoscere il giudizio dei superstiti, per poterne trarre le dovute conclusioni.
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