Anno | 2014 |
Genere | Documentario |
Produzione | Ucraina, Paesi Bassi |
Durata | 130 minuti |
Regia di | Sergei Loznitsa |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
Ultimo aggiornamento martedì 15 ottobre 2019
La storia di una delle rivoluzioni più importanti dello scorso secolo.
CONSIGLIATO SÌ
|
Maidan è la piazza centrale di Kiev, capitale dell'Ucraina. A partire dal novembre 2013, i cittadini di tutte le età e di tutte le fedi si sono riuniti per protestare contro il regime del presidente Yanukovich, che è stato costretto a dimettersi alla fine del marzo 2014. Da novembre a marzo, Sergei Loznitsa ha ripreso Maidan. La forza di questo documentario di non facile fruizione sta proprio nel suo rigore. Loznitsa, dopo due film di finzione ha sentito il dovere civico e morale di mettere la propria telecamera al servizio di una svolta cruciale nella storia del Paese in cui vive. Lo ha fatto scegliendo un’estetica a cui deroga solo in rarissime (e forse obbligate) situazioni. La ripresa è articolata in lunghi piani sequenza ad inquadratura fissa. È dinanzi a questo occhio dalle susseguenti immobilità che si sviluppa la lotta, la tragedia e la iniziale vittoria di un popolo. Loznitsa decide di non dare la parola a nessun individuo della folla. Le voci sono quelle che provengono dal palco della piazza o i cori collettivi che esprimono a più riprese la passione nazionale dei presenti. Non ci vengono fornite coordinate se non da cartelli che periodicamente scandiscono l’evolversi della situazione. Il regista non fa emergere le provenienze delle varie componenti della protesta né ne evidenzia le differenze di collocazione politica. Abbiamo così di fronte un popolo che ci viene presentato come unito nella volontà di cacciare il tiranno. La scelta estetica di cui sopra ci consente di passare da uno schermo riempito di teste di persone che cantano l’inno nazionale ucraino, alle porte girevoli del centro di coordinamento attraverso cui assistiamo per lungo tempo all’arrivo degli attivisti. Le cucine in cui si preparano i pasti per coloro che restano a oltranza nella piazza, i canti, le preghiere vengono progressivamente cancellati da una repressione che si fa sempre più violenta. A differenza di The Square-Inside the Revolution, dedicato a un’altra piazza ormai storica (piazza Tahrir al Cairo), qui non veniamo messi in contatto diretto con nessuno dei presenti. Il nostro sguardo viene lasciato libero di vagare sullo schermo senza che il montaggio classico lo guidi. Si tratta di due stili opposti e destinati a due tipi diversi di pubblico. Ognuno di essi conserva però una grande forza di testimonianza e di denuncia.