Anno | 2011 |
Genere | Documentario |
Produzione | Russia |
Durata | 99 minuti |
Regia di | Vitaly Manskiy |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 30 novembre 2011
Il regista Vitaly Manskiy filma un mondo formicolante che irradia ancora tracce di speranza continuando ostinatamente a sognare un domani migliore.
CONSIGLIATO SÌ
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Vitaly Manskiy racconta la Cuba di oggi attraverso le testimonianze di chi ci vive e ha conosciuto le utopie rivoluzionarie ed ora si trova a confrontarsi con una realtà in cui quelle aspettative subiscono quotidianamente l'impatto con una realtà difficile da sopportare.
C'era una volta la retorica di Soy Cuba di Mikhail Kalatozov in cui la ricerca estetica finiva con il prevalere (un po' alla Riefenstahl) sulla militanza politica e c'erano anche i film come Fragola e cioccolato in cui si faceva spazio una lettura non dogmatica della società. Poi venne lo sguardo attento e partecipe di Wim Wenders che con il suo Buena Vista Social Club si muoveva sinuoso tra presente e nostalgia. Manskiy ci dice, con stile raffinato ma anche con franchezza, che il tempo delle illusioni è morto e riesumarlo è come compiere l'operazione che i necrofori realizzano nel momento dell'esumazione dei cadaveri dinanzi ai parenti. Delle persone, come degli ideali rivoluzionari, sembrano restare solo dei residui corrosi dal tempo.
Ma c'è una sequenza ancor più tagliente che marca questo documentario dalla durata televisivamente non canonica. È quella di apertura in cui giovani donne in successione agitano ventre e natiche dinanzi a una webcam al ritmo della stessa canzone. La felicità liberatoria della danza si trasforma in triste mercificazione visiva. Grazie a una fotografia capace di porre in rilievo il ribaltamento dei luoghi comuni (dalla riunione politica alla mareggiata che abbiamo già visto infinite volte utilizzata a fini turistici e che quindi in qualche misura cambia di segno) Manskiy ci presenta storie di persone che vivono un presente difficile, la cui vita è scrostata come l'intonaco dei luoghi in cui vivono ma che non si chiudono in se stesse trovando ancora la forza per raccontarsi.