Benvenuto Mr President

In un villaggio della Bosnia il previsto arrivo del presidente in carica degli Stati Uniti Bill Clinton, come parte di un'operazione di promozione della pace nella ex Jugoslavia, porta lo scompiglio. Il desiderio di ben figurare unito alla sorveglianza di alcuni emissari del governo statunitense arrivati giorni prima per accertarsi che nel villaggio ci sia effettivamente collaborazione tra serbi e bosniaci, porta non pochi sconvolgimenti in quella che era una piccola comunità piena di risentimenti legati all'etnia ma anche alla semplice convivenza.
Si apre e si chiude con una favolosa versione di "Guarda che luna" il film, con scelta di tempo e significato fantastiche. Perchè come in Kusturica l'arrivo della musica italiana sembra un'oasi di pace, la canzone popolare invade una storia prettamente slava con echi di sentimento, ombre di un mondo che sembra essere percepito come migliore, un altrove pacifico da struggente canzone d'amore per sola voce. È il momento migliore di Benvenuto Mr President, uno in cui tutto sembra esistere sospeso e nel quale alcuni luoghi comuni del cinema balcanico più influente e importante (neanche a dirlo di nuovo Emir Kusturica) hanno la forza che ci si aspetterebbe. Sono i morti che conversano con i vivi, il dolore della perdita che pare insanabile e folle.
Ma sono piccoli momenti, Benvenuto Mr President in realtà passa la gran parte della sua durata lungo altri archi narrativi, guardando alla piccola comunità che deve ricevere la visita della massima personalità politica mondiale come ad un coacervo di bastardi in cui ogni tenerezza, ogni alito di vita civile e perbene è massacrato dalla guerra o dal quel che ne rimane (le mine inesplose).
Papponi, poliziotti invariabilmente corrotti o da corrompere, agenti che sfruttano la prostituzione, piccoli truffatori, un sindaco disposto ad insabbiare di tutto per compiacere gli americani e via dicendo compongono un microverso di "peggiori" (e per questo molto simpatici) che si agita in un'impresa più grande di sè, somigliando così più alle commedie britanniche, in cui una banda di disperati si misura con un'impresa fuori misura.
Se però si escludono le già citate apertura e chiusura del film l'impressione è sempre di essere di fronte ad un racconto che non ha la forza dirompente che sarebbe invece necessaria per raccontare la vitalità insopprimibile di un popolo al di là del bene e del male, quella dei papponi come quella delle persone oneste e quella delle prostitute. Con toni compassati la storia si perde lungo intrecci non sufficientemente appassionanti che invece nel miglior cinema di questo genere sono messi in secondo piano dalla forma della narrazione, da un caos eccessivo musicale e fieristico che parla più e meglio dei contenuti che poi veicola. 