Titolo originale | Mga anak ng unos, unang aklat |
Anno | 2014 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Filippine |
Durata | 142 minuti |
Regia di | Lav Diaz |
Uscita | giovedì 15 settembre 2016 |
Tag | Da vedere 2014 |
Distribuzione | Zomia |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,56 su 4 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 6 febbraio 2018
Yolanda nel 2013 colpì l'arcipelago asiatico, lasciando in quei paesi - Filippine in primis - scenari di distruzione apocalittica.
CONSIGLIATO SÌ
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Nel 2013 il Tifone Haiyan (ribattezzato come Jolanda nelle Filippine) colpisce l'isola di Tacloban causando la morte di circa 7000 persone e innumerevoli devastazioni. Alcuni mesi dopo Lav Diaz si reca sull'isola per filmare la vita dei più piccoli.
Lav Diaz ha sempre richiesto allo spettatore il suo tempo, domandandogli di metterlo a disposizione di una visione che gli permettesse di cogliere senza fretta tutti i particolari dell'inquadratura. Accentua questa sua richiesta nel suo secondo documentario che, per le dimensioni del suo cinema, si presenta come decisamente 'breve' ma che dilata il tempo in modo molto determinato. Diaz rifiuta le modalità consuete del documentario e, nello specifico, quelle di chi si reca sui luoghi in cui si è verificato un evento naturale catastrofico per provocare emozioni a buon mercato. La sua denuncia prende le mosse già dall'epoca in cui gira: le sue riprese avvengono infatti diversi mesi dopo l'abbattersi del tifone e ci mostrano un territorio devastato in cui nessun intervento di ricostruzione ha avuto luogo e su cui la pioggia è tornata a cadere.
Le prime inquadrature ricordano, per la fissità e l'insistenza dello sguardo, Pioggia di Yoris Ivens. Dopo però la camera si mette alla ricerca dei bambini e ce li mostra in diretto rapporto con la dimensione del post-disastro evidenziandone la quasi genetica volontà di andare oltre l'accaduto. Molti di loro sono orfani e li vediamo raccogliere dai torrenti in piena ogni tipo di oggetto trascinato dalla corrente così come si immergono in quei fiumi improvvisati che sono diventate le strade. Diaz li riprende quasi sempre a distanza, lasciandoli liberi di agire, anche se consapevoli di essere osservati. Non ci risparmia la visione della vita in baracche che, se costituivano un alloggio precario prima degli eventi, ora lo sono ancora di più. Ciò che poi colpisce maggiormente chi guarda è la presenza dei 'mostri'.
Come se una forza divina le avesse lanciate senza alcuna fatica sulla terraferma, enormi navi si trovano incagliate (senza che si veda l'ombra di squadre impegnate in tentativi di rimozione) in luoghi in cui non dovrebbero essere. Diventano così parte inattesa del paesaggio, monumenti alla forza della Natura e all'indifferenza degli uomini. I bambini sanno però come sfruttarne la presenza ed utilizzano quelle vicine alla riva, ma ancora in acqua, come enormi trampolini su cui salire per poi potersi tuffare.
Diaz riesce così, nello stesso film, a denunciare le inefficienze governative e a mostrare l'inarrestabile creatività e capacità di adattamento non passivo alla realtà dei bambini.
Nelle sale cinematografiche i trailers di molti film (una volta venivano chiamati “provini”) vengono presentati con voce roboante come tratti “da una storia vera” e vengono spesso interpretati da attrici brave e bellocce ed attori bravi, senza neanche un foruncolo sul naso, tali che (quasi) ogni uomo può desiderare di identificarsi e immedesimarsi in loro.
Un film girato male ed inutile. Bambini perfettamente consapevoli di essere filmati e che non sono affatto naturali davanti alla macchina da presa. Si annoiano presto anche loro e guardano in camera supplicando la stessa pietà che domanda lo spettatore: quella di essere liberato presto da una brutta finzione spacciata per sguardo documentaristico sulla realtà.
Del terribile il bello non è che il principio». Questo estratto delle Eligie Duinesi di R. M. Rilke era posto in esergo di Death in the Land of Encantos con cui Lav Diaz ottenne nel 2012 la Menzione speciale, dalla giuria della sezione Orizzonti, alla 64° Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Un'opera colossale di 9 ore (tanto quanto impiegò il tifone Durian a distruggere il paesaggio [...] Vai alla recensione »
A Lav Diaz piace prendersi il suo tempo. In Figli dell'uragano il documentarista filippino ha deciso di rallentare il ritmo: si concentra su come viene percepito un disastro naturale. Il film segue La vita di varie comunità di Tacloban, una zona particolarmente colpita dal tifone Haiyan nel 2013. Lo stile meditabondo di Diaz non aiuta la narrazione, ma fa da cornice per comprendere immagini forti e [...] Vai alla recensione »
Benché sia un frequentatore abituale dei grandi Festival, i film del regista filippino Lav Diaz non sono mai arrivati in Italia. Con la fresca assegnazione del Leone d'Oro al suo The woman who left, però, le cose dovrebbero cambiare: e ne è un'avvisaglia l figli dell'uragano, distribuito da questa settimana in poche sale scelte ma anche visibile on demand, a un costo simbolico, su Vimeo.