Tim Burton (Timothy William Burton) è un attore statunitense, regista, produttore, produttore esecutivo, scrittore, è nato il 25 agosto 1958 a Burbank, California (USA). Oggi al cinema con il film Beetlejuice Beetlejuice distribuito in 381 sale cinematografiche. Tim Burton ha oggi 66 anni ed è del segno zodiacale Vergine.
Ha iniziato la sua carriera alla Disney, ove ha lavorato per Red Toby nemici amici e ha debuttato nel 1982 con il corto di animazione Vincent , ispirato omaggio al suo padre putativo Vincent Price, che sarà poi da lui diretto in Edward mani di forbice (1990). Il colpo di fortuna per Burton capita nel 1985 quando, come film d'esordio, si trova a dirigere, Pee Wee He's big adventures , interpretato dall'allora famoso comico Paul Reubens - poi caduto in disgrazia a causa di un arresto per atti osceni in un cinema(!) e riemerso in Blow (2001) -, che dà al debuttante regista improvvisa notorietà. Dal quel giorno solo successi, culminati con la versione cinematografica di Batman (1989), personaggio che Burton affida a Micheal Keaton, già interprete di Beelejuice (1988). Questa ennesima trasposizione cinematografica dell'eroe del fumetto suscita le ire dei fans dell'eroe, i quali, però, avranno di che rimanere a bocca aperta all'uscita del film. I due episodi burtoniani restituiscono al personaggio la dignità persa nei serial televisivi degli anni Cinquanta e ricostruiscono magistralmente le atmosfere cupe del fumetto e la devianza dei suoi nemici, il joker prima ed il pinguino poi. La mirabile resa del supereroe rendono Batman (1989) e Batman il ritorno (1992) due film indimenticabili per forma e sostanza. Unico passo falso commerciale, anche a causa della contemporanea uscita estiva con il Blockbuster Indipendece day (1996), è Mars attack (1996), peraltro gioiello di sarcasmo e omaggio ai classici di fantascienza dei tempi della guerra dei mondi.
Il tocco di Burton si esplica, come accade a molti maestri, nei suoi inconfondibili "marchi di fabbrica": la nevicata che apre o chiude un film, i carrelli o dolly molto articolati, si pensi all'incipit di Batman (1989), beetlejuice (1988) e a Sleepy hollow (1999), o alla presenza del suo alterego Johnny Depp, anch'egli attore "altro" rispetto al mainstream hollywoodiano. Burton è senza dubbio uno dei più immaginifici e visionari registi contemporanei, capace di girare film dark, cupi ma allo stesso tempo poetici e romantici; il vate degli emarginati, degli esclusi e dei reietti: si pensi al protagonista di Edward mani di forbice (1990) o al Ed Wood (1994), il peggior regista di tutti i tempi e alla sua banda di falliti, nel film omonimo. Le luci, le musiche (del fidato Danny Elfman), l'uso dei colori e del bianco e nero, unito ad una tecnica perfetta, rendono le pellicole di Burton uniche e irripetibili. Anche il discusso remake de I l pianeta delle scimmie (2001), pur con i suoi difetti evidenti, non ha che confermato il talento unico di questo grande regista.
Quando ero bambino non erano i mostri, ma gli esseri umani a preoccuparmi. Anzi, sentivo un forte legame con i mostri, come molti altri bambini, suppongo. E sapete perché? Perché nei film dell’orrore classici era il mostro a testimoniare sentimenti umani. Ho imparato di più sul mio vicinato quando ho visto il primo Frankenstein, che in tanti film realistici... Così Tim Burton, genio del cinema, 47 anni appena compiuti, esule volontario dagli Stati Uniti, rifugiato a Londra con la moglie Helena Bonham Carter, si raccontava anni fa, fornendo una completa chiave di lettura del suo cinema.
Nello struggente Big Fish, Burton aveva sublimato la morte del padre: “Senza questa perdita”, dichiarò, “non sarei mai stato in grado di realizzare la pellicola, perché, anche se quando era vivo non siamo mai stati particolarmente vicini, eventi del genere cambiano completamente la visione del mondo, facendo emergere aspetti sconosciuti della nostra personalità”. Ora Burton torna con un film, anzi due, in cui riannoda tutti i fili della sua inimitabile poetica. Il primo, Charlie e la fabbrica di cioccolato, esce in Italia il 23 settembre. Il secondo, La sposa cadavere, è atteso per l’inizio del 2006. In entrambi il regista recupera il suo attore feticcio Johnny Depp (nella
Sposa cadavere, commedia dark a pupazzi animati, Depp dà la voce al protagonista). Depp è un interprete, che per lui aveva recitato in Edward Mani di Forbice, Ed Wood e Il mistero di Sleepy Hollow.
«Amo gli attori che hanno voglia e capacità di trasformarsi da un film all’altro», spiega Burton, «attori che non hanno un’immagine pubblica da difendere. Con Johnny, poi, condivido un certo senso dell’umorismo e il gusto per il bizzarro, che ci permette chiacchierate interessanti, da cui nascono gli stimoli per ogni film. L’ispirazione per la recitazione di Edward Mani di Forbice, ad esempio, era venuta da un cane, Ed Wood era una miscela tra Ronald Reagan e un ventriloquo, mentre in Sleepy HoIIow Johnny ha attinto dalla recitazione di Peter Cushing e da quella di Roddv McDowall nel Pianeta delle Scimmie (la scirnmia-scienziato amichevole, che studia Charlton Heston)».
Ora c’è chi, vedendo il perverso cioccolataio Willy Wonka, interpretato da Depp in Charlie e la fabbrica di cioccolato, remake del film del 1971 interpretato da Gene Wilder, tratto dal racconto di Roald Dahl, ha suggerito che Depp e Burton si siano ispirati a Michael Jackson per definirne il carattere. Ma Burton è stato categorico e con il suo tipico umorismo gelido ha risposto: « Niente affatto, Jackson ama i bambini, Wonka li odia!».
Il talento di Burton, che dichiara i propri debiti stilistici con «Rav Harryhausen, Mario Bava, Federico Fellini e i registi dell’espressionismo tedesco: tutti mi hanno influenzato a diversi livelli», è stato forgiato quando, bambino timido con grandi problemi di comunicazione verbale, aveva scoperto la possibilità di entrare in contatto con il mondo disegnando, anziché cercando di gestire parole destinate a sfuggire al suo controllo. «Per me disegnare è una forma di pensiero. Non conosco altra maniera di mettere ordine nelle mie idee” ha confessato il regista. Il bambino Burton, nato a Burbank, a due passi dagli studi Disney e salvato dal disegno, non poteva che iscriversi alla “CalArts” per mettere a frutto le proprie doti e, una volta acquisite le tecniche del cartooning, entrare a far parte dell’impero del Topo.
Era un passo inevitabile, anche se affrontato in modo atipico. Si era infatti all’epoca di transizione della Disney, o meglio all’epoca della crisi che precedette il rilancio dovuto all’arrivo di Michael Eisner e Jeffrey Katzenherg.
Burton, dopo aver collaborato inutilmente a Taron e la pentola magica (i suoi disegni non furono nemmeno presi in considerazione) e a una decina di progetti mai realizzati, riesce a ottenere un finanziamento di 60 mila dollari per Vincent, il suo primo cortometraggio: un film a pupazzi animati, la fiaba nera di Vincent Malloy, bambino che sogna di essere Vincent Price, fa esperimenti con il suo cane e trasforma ogni ombra di casa in una paurosa evocazione spettrale, il tutto con la voce fuori campo di Vincent Price. Era nata una stella, oggi brilla più che mai.
Da L’Espresso del 26 agosto 2005
È riconosciuto dall’industria del cinema come un genio, ha messo a segno alcuni grandi successi e inventato alcuni personaggi che sono entrati nella moderna mitologia, come Edward mani di forbice. Insomma, rappresenta una favola di segno opposto a quelle di emarginazione e sofferenza che va raccontando in tutti i suoi film. Tim Burton (che si è già concesso un libro-intervista autobiografico, Il cinema di Tim Burton, scritto da Mark Salisbury), ragazzino della California suburbana, è cresciuto - lo dice lui - nel giardino di casa guardando gli aerei alzarsi in volo sopra gli studios della Disney. Il suo Michelangelo era Harryhausen (il creatore degli effetti speciali di Gli argonauti), il suo Werther Godzilla, il suo Balzac Roger Corman. È il destino del giovane Tim, una volta appurato il suo straordinario talento di disegnatore e la sua passione per il cinema espressa in infiniti super-8, fu proprio la Disney, vicina di casa.
Per la Disney disegnò Red e Toby nemici-amici (1981); avvicinandosi poi al suo più autentico temperamento, fu “l’artista concettuale” dietro il cupissimo Taron e la pentola magica. Di lì il salto (ma non un cambiamento d’umore) verso Vincent (1980), in cui un ragazzino convinto di essere Vincent Price muore recitando Il corvo di Poe. Il suo cinema macina personaggi perennemente a disagio e fuori posto, che siano ragazzini in un corpo di adulto come in Pee-Wee’s Big Adventure, ragazzi che giocano allegramente con l’aldilà come in Beetlejuice - Spiritello porcello (1988), “diversi” dal cuore fragile come in Edward mani di forbice (1990) o nei suoi due Batman, di cui lui dichiara di preferire il secondo, quello - se possibile per un film ispirato dopo tutto a una striscia per ragazzi - ancora più “dark”, ancora più pieno di infelici, mostri, mutanti.
È certo che Tim Burton non ama la realtà, e che il suo cinema, nutrito sempre di un’immaginazione cupa, è popolato di attori solo perché gli adulti non si sono ancora convinti che il cartone animato sia in realtà destinato a loro (come ha dimostrato il relativo successo di, Tim Burton’s Nightmare Before Christmas). Anche quando ha deciso di uscire dal territorio del fantastico è andato a scegliere un personaggio talmente incredibile da sembrare inventato, Ed Wood, che la presenza di Johnny Depp collega a tutto il suo mondo precedente. Ma non c’è dubbio che questo Bosch dello schermo sia uno dei talenti più originali di Hollywood - almeno fino a che non si farà travolgere dal proprio personaggio e dal manieristico ripiegarsi su se stesso.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996
Tim Burton, autore del momento con due film, La fabbrica di cioccolato e La sposa cadavere,è il regista americano più stravagante e insieme il più costante nel successo commerciale,l’unico ricco di tenerezza gentile verso i personaggi infelici, i reietti, le vittime, il solo capace di far ridere con il macabro e di fare soldi con il cuore. Mai adulto e mai bambino, ha cinquant’anni, è nato a Burbank in California, ha avuto un’infanzia triste evocata nel suo patetico film Edward mani di forbice da piccolo cercava sempre di scappare; i genitori (un ex giocatore di baseball, una negoziante di souvenir) lo chiudevano in casa a chiave; a 11 anni andò ad abitare con la nonna, a15 viveva già da solo. A scuola, per evitare di scrivere una biografia sul mago Houdini, ne fece un film in Super8 in cui lui stesso eseguiva trucchi e magie di Houdini. Il suo primo lavoro fu alla Disney. Il suo primo cortometraggio, Vincent era la storia di un bambino che sogna di essere Vincent Price, l’attore che a tutt’oggi Burton più rispetta e ama. Detesta gli scoiattoli («sembrano topi sotto anfetamina»), i clown («molto deprimenti»), il mondo dei vivi («moralmente decomposto mentre i morti,se non vivi, sono almeno vivaci»). Gli piacciono i vestiti neri, le lenti nere, le scarpe nere, Johnny Depp che è il suo interprete prediletto, la spiritualità(non la religiosità). Vive a Londra con l’attrice Helena Bonham Carter che gli ha dato due anni fa l’unico figlio Bobby e alla quale ha fatto interpretare la scimmia (nel remake del Pianeta delle scimmie), la strega, la madre, la voce del cadavere nuziale. Ha fatto film strani, bellissimi. Due ammmirevoli Batman, Mars Attacks! tratto da un album di figurine, Ed Wood, biografia del peggior regista mai esistito,Il mistero di SleepyHolIow, Big Fish. Chi non l’ama lo trova insopportabile, ma La fabbrica di cioccolato è un film sgargiante, travolgente, un poco tedioso: tratto da un racconto di Roald Dahl che per la letteratura infantile anglosassone è popolare come era il nostro Pinocchio, è la storia di un bambino che possiede solo il biglietto con cui visitare la fabbrica di cioccolato dentro cui vive autorecluso il proprietario Willy Wonka La sposa cadavere è un film d’animazione in stop-motion costato dieci anni di lavoro, popolato di allegri scheletri, sarcastico, romantico, dove Burton esprime il suo massimo desiderio: «Spero di rimanere un interrogativo sino al giorno della mia morte».
Da Lo Specchio, 1 Ottobre 2005