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Rassegna stampa di Lindsay Anderson

Lindsay Anderson (Lindsay Gordon Anderson) è un'attrice indiana, regista, produttrice, è nata il 17 aprile 1923 a Bangalore (India) ed è morta il 30 agosto 1994 all'età di 71 anni ad Angoulême (Francia).

EMANUELA MARTINI
Film TV

Era famoso per il suo brutto cara1te-re, litigioso, sbrigativo, poco incline alle gentilezze e alle buone maniere di circostanza. In pratica, Lindsay Anderson non la mandava a dire a nessuno, non gli piacevano i compromessi e l’ufficialità. era considerato un rompiscatole. Forse questa è una delle ragioni per cui la sua carriera di regista cinematografico è stata numericamente così esigua, compensata e “arrotondata”, soprattutto negli anni ‘60 e ‘70, da un’intensa e appassionata attività teatrale. Non che gli mancasse la passione per il cinema, dal quale era se mai il troppo amore a tenerlo lontano, l’intransigenza, la voglia e il bisogno di fare soltanto i film che voleva lui, e come li voleva lui. Non sapeva lavorare per soldi su progetti che non sentisse profondamente personali: una caratteristica che ogni tanto invidiava all’amico Karel Reisz, capace di fare anche i film che non sentiva, e di farli bene. E poi, a mettere i bastoni tra le ruote, c’era il suo rigoroso, durissimo senso morale, il bisogno di moralità (da non confondersi con il moralismo), con il quale continuò per quasi ciquantanni a fustigare l’industria cinematografica, i potenti, i mogul del suo paese. Lindsay Anderson credeva tanto nella purezza e nella poesia del cinema, nella sua possibilità di “parlare” alla gente comune, di emozionarla e insegnarle qualcosa, che non riuscì mai a conciliare la sua profonda essenza di arte (che era per lui imprescindibile) con quella di merce. In pochi, secondo lui, ce l’avevano fatta, a lavorare nel cinema senza rinunciare alla funzione provocatrice dell’arte; ed era stata, disse una volta, una questione di fortuna: John Ford, l’autore che amava di più, da sempre, era stato fortunato fino agli ultimi anni della sua carriera, quando si era ritrovato fuori tempo; come lo erano gli autori di film di genere, perché il cinema di genere sa camminare da solo. Quanto a lui, si era sentito quasi sempre fuori tempo. Certamente era nato “fuori luogo”: nel Bangalore, in India, dove era di stanza suo padre, un ufficiale scozzese. Il sistema militare, come quello scolastico e, in generale, quello insidioso della divisione in classi, gli rimasero stampati dentro, a fornirgli uno strumenti per la sua lettura amara dei mondo. Tornato in Inghilterra a dieci anni, ebbe un’educazione integerrima e si laureò a Oxford nel 1948. E da studente incontrò il cinema. Fondò una delle più belle riviste di tutti tempi, “Sequence”, fu un critico ispirato e feroce, poi un teorico brillante e intransigente. A metà degli anni ‘50, andando di pari passo con gli “arrabbiati” e con i pacifisti, con Reisz e Richardson “inventò” il Free Cinema, una maniera, per i film, di essere liberi, poetici e popolari. Diresse dei cortometraggi bellissimi (su tutti, Every Day Except Christmas, sugli ambulanti dei Covent Garden, che trasuda John Ford) e faticò a passare al lungometraggio, nei 1963, con Io sono un campione, film aspro, teorico e tristissimo. Oggi, forse, il suo capolavoro è Se..., perfetta combinazione di tradizione e rancore, che con quel finale sospeso come un punto interrogativo (il fermo immagine degli studenti sul tetto che sparano e sparano e sparano...) non solo anticipa Arancia meccanica (e non solo per la presenza di Malcolm McDowell), ma ancora ci trascina e ci inquieta. Poi, per non adattarsi alla fase discendente e conformista del cinema nazionale, si rivolse al teatro e alla televisione, finché nel 1986 vide concretizzarsi un progetto tramontato: una storia di vecchie americane, Le balene d’agosto, ultimi bagliori per Lillian Gish e Bette Davis e anche il testamento spirituale di una vecchiaia indomita. Lindsay Anderson non si è mai smentito, non ha dimenticato quello che era e quello in cui credeva: le radici della sua cultura e “la volontà e la vitalità per esprimere il nostro talento, l’immaginazione per nutrirlo, la determinazione per sostenerlo. Ciò di cui abbiamo bisogno, in altre parole, è un ribaltamento della storia. Non è chiedere troppo, vero?”

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