Una giovane donna degli antipodi alta, un po' troppo alta e come imbarazzata, ingombrata da se stessa, castano chiara o bionda e pettinata come la prima editrice di James Joyce a Parigi Sylvia Beach, sorridente, niente affatto antipatica ma remota, è l'autore più applaudito alla Mostra del cinema di Venezia 1990, e prende il premio speciale della giuria. Nel 1989 aI Festival di Cannes, dove aveva presentato il suo terribile Sweetie, storia di famiglia e di follia, era piaciuta ad appena due, tre, cinque persone:
estremista, esagerata, sgradevole, affatturata, deliberatamente provocatoria, erano state le critiche (o le accuse moraliste) di fronte a un bellissimo film portatore di disagio profondo. Un anno dopo, a Venezia, An Angel at my Table, biografia della scrittrice neozelandese Janet Frame realizzata per la televisione, pare mettere tutti d'accordo:
racconto d'infanzia e d'adolescenza perfetto, penetrazione psicologica memorabile, universalità del sentimento, stile impareggiabile, visione speciale del mondo, talento raro. E si può sperare per l'avvenire in qualità tanto autentiche.
Jane Campion è nata nel 1955 in Nuova Zelanda, a Wellington. Suo padre era regista teatrale. Sua madre era attrice: "Da bambina, mi sembrava una creatura cosi esotica. Il suo modo di recitare era appassionato, intenso, ma io sapevo che poteva anche essere gentilmente elegante, diffondere un'atmosfera di calma regalità. La trovavo meravigliosa". In Nuova Zelanda la regista è cresciuta, ma soltanto più tardi ha imparato a conoscere i caratteri nazionali: "I neozelandesi sono molto seri, gran lavoratori, per niente edonisti, ossessivamente modesti. Io sono quasi all'opposto, molto esuberante, amante della felicità e del riso che rappresentano per me un nutrimento". In Nuova Zelanda ha preso una laurea in antropologia, poi ha cominciato a viaggiare attraverso l'Asia e l'Europa. A studiare, anche, a esempio pittura, alla Chelsea School of Arts di Londra e poi a Sidney, in Australia: "Ero una pessima pittrice. Dopo un periodo di dedizione alla meditazione orientale e alla filosofia Zen, ho capito che a interessarmi erano soprattutto l'amore e i rapporti tra le persone: la mia cattiva pittura acquistava una specie di forma narrativa. Feci anche un disegno animato, un breve film su due letti che facevano l'amore tendendo coperte e lenzuola uno verso l'altro: è andato perduto, peccato".
I primi cortometraggi realizzati in Australia dove adesso Jane Campion vive, Passionless Moments e A Girl's Own Story del 1983, After Hours del 1984, poi Two Friends del 1986, rappresentano già la rivelazione d'uno stile personalissimo, d'uno sguardo che ha la profondità e impassibilità di quello di Diane Arbus, d'una analisi originale carica di segrete violenze. È emozionante, intelligente e sottile il suo modo di narrare l'adolescenza femminile, il mondo delle ragazzine di dodici, tredici anni degli anni Sessanta, allieve di scuole di monache cattoliche: le rivolte divoranti, le pulsioni sessuali più devastanti che languide, l'ossessione delle mani lunghe degli uomini e dei fratelli insidiosi, le amicizie amorose tra compagne, totali, consolanti, tradite. È straziante e toccante insieme il piccolo racconto del desiderio tra un ragazzino e una ragazzina paraplegici, che cercano nonostante i loro impedimenti un modo di amarsi: "Mi hanno sempre attirato soggetti strani, guardati da strani punti di vista".
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