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La politica degli autori: Fruit Chan

Uno degli autori più acclamati della cinematografia mondiale.
di Mauro Gervasini

In foto Fruit Chan.
Fruit Chan (65 anni) 15 aprile 1959, Guangzhou (Cina) - Ariete.

mercoledì 30 aprile 2014 - Approfondimenti

Giova ogni tanto occuparsi di cineasti e film dei quali si sente poco parlare, o che non trovate in cartellone nelle sale sotto casa. Fruit Chan ad esempio non è Scorsese, ma è solo questione di latitudine e fama. Un regista cinese non viene considerato dai canali mainstream della comunicazione al pari di un americano, o di un francese. Anche se non lo vedremo mai a "Che tempo che fa", è stato ospite d'onore al Far East Film Festival di Udine qualche giorno fa. E non parliamo di un carneade, bensì di uno degli autori più acclamati della cinematografia mondiale. Capace, come capita spesso a chi cresce artisticamente a Hong Kong (anche se Chan è originario della provincia cinese di Guangdong, proprio come John Woo), di essere prima di tutto popolare, senza velleità intellettuali fini a se stesse. Non conosciamo tutta la sua filmografia ma bastano forse le due trilogie principali per collocarlo in uno spazio poetico ed estetico tutto suo, originale anche nel contesto hongkonghese.

TRILOGIA DELL'HANDOVER. Il passaggio di Hong Kong alla Cina dopo 156 anni di governo britannico, avvenuto l'1 luglio 1997, getta l'ex colonia in una crisi identitaria e culturale, di cui il cinema è riflesso spontaneo. Proprio Fruit Chan narrativizza il disorientamento con tre film. Il primo, strepitosa rivelazione (si vide al Festival di Locarno), è Made in Hong Kong (1997). Storia di tre ragazzi costretti ai margini i cui destini sono ulteriormente segnati dal contenuto di due lettere ritrovate accanto al corpo di una coetanea morta suicida. Sarebbe banale apprezzare il film solo per l'implacabilità con cui mette in scena il determinismo sociale e la deriva di una generazione senza appigli: in realtà Chan irrompe sulla scena internazionale con uno stile innovativo, fatto di macchina da presa a mano continuamente "distratta" dai luoghi di una città che pure nel suo identificarsi con la massa pare metafisica. Secondo step The Longest Summer (1998) dove un gruppo di soldati, prima dell'handover sotto il comando britannico, viene congedato e trova nuovo impiego nel crimine. Aumenta la violenza, certi toni sfiorano il grottesco, il finale è grandioso e tragico, la metafora ancora una volta chiara e inquietante. Una comunità in febbrile ricerca di se stessa è al centro anche di Little Cheung (2000), protagonista un bimbo di nove anni "complice" suo malgrado della sola attività concepibile nella nuova Hong Kong. Quella di far soldi.

TRILOGIA DELL'ASSENZA. Dove a mancare è la società stessa: non l'idea che se ne può avere ma proprio il tessuto sociale. Dopo il disorientamento dell'handover restano le macerie. In Durian Durian (2000) Fruit Chan recupera un personaggio di Little Cheung, la giovane Fan, immigrata clandestina dalla Cina, adesso lavapiatti, e la fa interagire con una prostituta ambiziosa, Yan. All'ex colonia fanno da contrasto anche luoghi della Cina cantonese dove le ragazze sono costrette a tornare, gli stessi dove il regista è nato e nei quali lo sguardo non scorge alcun appiglio nostalgico. Il Durian è un frutto densissimo, come la città. Hollywood Hong Kong (2001) segna un'altra assenza. Quella di una morale intorno alla quale anche la comunità possa tornare a edificarsi. Il film segue una squillo che rimesta nel torbido dei bassifondi. La deformità questa volta è soprattutto dei toni, il linguaggio di Fruit Chan è più sopra le righe, le descrizioni sono folli e il suo pubblico, anche nei festival, storce il naso. Ma l'apice di scelte ancora più eccessive arriva con Public Toilet (2002), storia di un ragazzo cresciuto nei cessi pubblici che comincia a girarne altri in cerca di qualcosa che possa aiutare la nonna malata. Beve urina ed entra in contatto con la peggiore umanità. La parabola naturalistica della prima trilogia è inversamente proporzionale alla simbologia grottesca della seconda, ma resta il senso di un cinema non conforme, diverso da tutto il resto.

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