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ONDA&FUORIONDA

Les enfants du paradis: cinema e poesia.
di Pino Farinotti

In foto una scena del film.
Arletty (Arlette-Léonie Marie Julie Bathiat) 15 maggio 1898, Courbevoie (Francia) - 24 Luglio 1992, Parigi (Francia). Interpreta Garance nel film di Marcel Carné Amanti perduti.

sabato 30 novembre 2013 - Focus

Prosegue la serie di grandi classici restaurati riproposti nella sale. Ho già scritto di Vogliamo vivere! e de Il gattopardo, rilevando l'opportunità di questi strepitosi promemoria in un'epoca in cui il cinema, tutto, generalmente, è lontanissimo da quella qualità. Il titolo nobile questa volta è Les enfants du paradis, di Marcel Carné. L'opera fa parte di quel momento del cinema francese che io considero il più alto di tutti i Paesi e di tutte le epoche. Quei cineasti, alludo a gente come Renoir, Clair, Carné e pochi altri, riuscirono in una chimica che pareva impossibile per arte e per definizione, unire due elementi diversi come la poesia e l'immagine. Ho scritto sopra che Les enfants du paradis è di Marcel Carné, in realtà appartiene in ugual misura anche a Jacques Prévert, poeta. I due artisti hanno dunque fatto di questo film un'opera che fa parte del corpo del cinema, della sua struttura e della sua esistenza. Non è blasfemo dire che questo titolo, scalando una categoria, può essere considerato un modello omologo dei più grandi classici della sorella nobile, cioè la letteratura. Alludo a testi come "La divina commedia", "Amleto", "Don Chisciotte", "I miserabili", "Anna Karenina", l'"Ulisse" e non molti altri.
Il film è una storia d'amore disperato, il mimo Baptiste si innamora, ricambiato, della magnifica, inquietante Garance. L'amore non si compie, lui sposa un'altra e lei passa da un amante a un altro. Si ritrovano alla fine, per perdersi di nuovo. Mentre intorno passano caratteri che hanno "inventato" il cinema: un assassino elegante, un attore cialtrone e istrione, un mendicante cieco che non lo è, un nobile che crede di decidere il destino di tutti, e poi artisti di strada e saltimbanchi, e una corte dei miracoli messa lì dai due autori superdotati.
Prévert, poeta artisticamente anarchico, trasversale e sempre sfuggente rispetto alle prevalenti correnti del primo novecento era il testimone, e la penna, del lirismo quotidiano, con echi surrealisti, era perfetto per concedere nobiltà letteraria al cinema. Aveva collaborato coi suoi "scenario et dialogue" a titoli come Il delitto del signor Lange di Renoir e Il porto delle nebbie dello stesso Carné. Scrisse anche una delle più belle canzoni francesi, "Les feuilles mortes", cantata, fra gli altri, da Yves Montand. Il testo di Prévert è straripante e incantato, non fa prigionieri, si spinge in fondo al concetto attraverso figure poetiche, metafore e astrazioni, nessun compromesso, nessuna sintesi. Il dialogo di un film "normale" vive di battute veloci, una riga, una riga e mezza. I dialoghi di Prévert sono come sonetti senza rima. Sono del tutto non-funzionali al cinema ma sono di Prévert e sorpassano tutte le regole. Questo concetto viene espresso con grande efficacia... hollywoodiana da un episodio cine-letterario. Irving Thalberg, capo della Metro, convocò Scott Fitzgerald nel suo ufficio, per licenziarlo. Al grande scrittore erano state affidate alcune sceneggiature importanti (I tre camerati, Via col vento) ma non era riuscito a risolverle. Thalberg gli disse "Scott, la tua prosa è un godimento, ma non possiamo fotografare gli aggettivi" Carné invece... ha fotografato gli aggettivi. Un'operazione che diventa "fisica" perché il film è proposto in lingua originale coi sottotitoli, dunque "ascolti e leggi", un trionfo per il testo poetico di Prévert. Naturalmente Carné, uomo di immagine, cerca il contrappasso necessario per l'equilibrio, almeno parziale, del film. A una scena dialogata ne fa seguire una senza parole: uno stacco di teatro con musica, un racconto mimato, un episodio di canto e ballo in un ritrovo parigino. Gli autori si concedono anche momenti di teatro classico, Shakespeare col suo "Otello". Una contaminazione che certo non stride, trova anzi cittadinanza in un contesto perfetto. La performance del mimo Jean-Louis Barrault, che fa Baptiste è impressionante, una grazia che sembra sollevarsi.
La cineteca di Bologna, insieme ad altre società francesi, ha restaurato il film proponendolo nella sua versione completa, in due parti: Boulevard du Crime e L'Homme blanc e lavorando anche sull'audio. La reminiscenza non era dunque solo del film, ma a chi possiede cultura appropriata sarà parso di essere a Parigi, il 15 marzo 1945, al cinema Madeleine.

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