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Fra conferme e nuova passione

In arrivo il Farinotti&MYmovies - Dizionario di tutti i film.
di Pino Farinotti

Aspettando la quindicesima edizione

lunedì 27 settembre 2010 - Focus

Aspettando la quindicesima edizione
In ottobre uscirà la nuova edizione del Farinotti&MYmovies - Dizionario di tutti i film. MYmovies si concede un segnale di anteprima, per poi dedicare il servizio completo il giorno dell'uscita in libreria. Il Farinotti 2011 è la quindicesima edizione dell'opera che esce da 3 anni con cadenza annuale.

L'ultima stagione offre una lettura che potrebbe essere importante. Il condizionale perché occorre una verifica, una conferma. A fronte di alcune tendenze che vanno consolidandosi (l'invadenza del fantasy e dell'animazione per esempio) ho colto un segnale, ribadisco, che potrebbe rappresentare un trend. Buono. Com'è facilmente riscontrabile, sul Farinotti mancano le cinque stelle (il giudizio del capolavoro) da molto tempo. Rare sono anche le quattro stelle.
La stagione riconferma l'attenzione al mercato, legittima, ma davvero aggressiva: il cinema ha voglia di incassi naturalmente, ma troppa. Ecco dunque il numero sproporzionato dei prodotti in quel senso, animazione, effetti speciali, 3D, appunto. Si tratta di un indirizzo quasi soffocante che va a chiudere altre strade. Un segnale esatto e implacabile sta nel box office dell'anno: primo Avatar (che è comunque un grande film in assoluto), secondo Alice in Wonderland, terzo L'era glaciale 3- L'alba dei dinosauri. Tutti fantasy&3D. Lo sforzo artistico, creativo in questo senso, può essere inteso come una sorta di pigrizia, o di scarico di responsabilità dal pensiero e dai contenuti, dalla voglia di rappresentare il reale, così complesso e articolato, violento e infelice, con verità impossibili da districare. Così si arriva alla fantasy assordante e rutilante: "mi applico a quell'eccesso di spettacolo, non ho bisogno di stressarmi alla ricerca di grandi idee e incasso pure tanti soldi." Parlavo di tendenze e segnali. Il Farinotti attribuisce quattro stelle a Tra le nuvole. Un film che avrebbe tutto, indicazioni importanti e dolenti sul momento economico e anche morale dell'Occidente, tradotto da metafore efficaci, attori e regia impeccabili. È un prodotto americano perfetto, appunto, ma lo è troppo. Soffre di troppa forma ed eleganza, è patinato, come se i suoi modelli abitassero tutti nelle pagine di Vogue. Tutto questo fa davvero pensare a un limite raggiunto, a una temperatura ormai assestata, a una perfezione fredda, soprattutto a una mancanza di potenza. E infine all'assenza, decisiva, della passione. Che film fai, se non c'è passione e potenza? Tutte queste qualità stanno nella giovinezza e nell'energia che le appartiene. Voglio rifarmi a un'altra disciplina, la letteratura che, è notorio, arriva sempre prima del cinema.
A metà degli anni sessanta, con segnali striscianti della crisi della narrativa occidentale, prevalenza anglosassone, "esplose" la freschezza&potenza, e la giovinezza, di un García Marquez, colombiano, col suo Cent'anni di solitudine. Era un gettito di passione necessario. Una profezia, un inizio e un'indicazione che fu raccolta. Dico che in questa stagione questo strisciante, certo parziale, passaggio di consegna e di cultura avviene da una grande potenza del cinema, anzi la più grande, ad altre culture, più fresche e passionali, appunto. Faccio due titoli, da quattro stelle, che sono emblematici: Il segreto dei suoi occhi di Campanella, argentino. Produco uno stralcio dalla scheda del dizionario, firmata da Nicoletta Dose: "Il film di Juan José Campanella è un thriller dalle implicazioni legali, ma è anche un'opera sentimentale sull'amore impossibile, oltre che una storia politica di denuncia morale. Gli avvenimenti mettono a fuoco un particolare momento storico (la dittatura militarista argentina tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli Ottanta) ma, nell'operazione, si inserisce anche la volontà di rappresentare una storia piccola, tenuta in piedi da pochi personaggi, per riflettere sul comportamento umano universale. Questo equilibrio tra privato e pubblico è la forza del film".
Il secondo titolo è Il concerto, di Mihaileanu, rumeno. Trattasi di vicenda grottesca e felice, sorridente, ma capace di indicazioni profonde rispetto a dove va il mondo in questa epoca. Qualcuno ha evocato Billy Wilder. Perché no? Identifico i titoli col loro regista, non coi paesi produttori.
E l'Italia? Non ci sono segnali particolari. La recente mostra di Venezia ci ha ignorati. E la giuria non era formata da incompetenti. Il nostro cinema continua a soffrire dell'annosa sindrome autoctona. Non siamo esportabili. Ma un titolo va citato, L'uomo che verrà, di Diritti. Ha raccolto consensi forti nelle fasce alte, non al box office (97° posto), e questo non sarebbe un segnale decisivo ma è ... il solito segnale. Il film racconta la tragica vicenda di Marzabotto con intensità e benemeriti richiami a un nostro cinema lontano, ed è un bell'esercizio di stile e di forza poetica. Ecco lo stralcio: "Giorgio Diritti si affida a un proposito simile a quello del suo precedente Il vento fa il suo giro: partire dal dialetto per raccontare una comunità e dal linguaggio del cinema per costruire un messaggio sull'identità culturale." Identità autoctona, appunto.

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