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Gli amici del Bar Margherita, il libro

Quello di Pupi Avati è un amarcord che non dimentica mai il tanto amato maestro Federico Fellini.
di Pierpaolo Simone

La recensione ***

venerdì 3 aprile 2009 - Libri

La recensione ***
Bologna è una vecchia signora, coi fianchi un po' molli. L'Emilia Romagna – con le sue atmosfere evocate da mille canzoni e da mille film – raccoglie le vite di questo brevissimo romanzo di Pupi Avati, come al solito pretesto narrativo divenuto immagine per il grande schermo. Eroi normali nella quotidianità di un'Italia che guarda con un occhio al passato devastante della guerra, e con l'altro al futuro dell'imminente boom economico. Ci aveva provato anni fa Francesco Guccini – raccontando con estro le cronache degli avventori di un bar della provincia (La legge del bar e altre comiche, Mondadori, 2005, 110 pp., 9 euro) – ci prova da più di cinquant'anni Pupi Avati, che dà il meglio di sé raccontando le vite di personaggi curiosi come le sue storie, persi nelle loro abitudinarie scorribande al bar, un microcosmo di aneddoti e follie votate ad entrare nella magica parete del ricordo, dove le fotografie – come in un fermo immagine – cancellano in un sol colpo le paure del futuro e certo oblio. Vige un decalogo al Bar Margherita, un decalogo rigidissimo che inibisce l'ingresso nei locali a mogli, figli e amanti (pena la perpetua derisione), ma obbliga al contempo ad esser veri uomini, fischiando e sottolineando il passaggio delle belle signore nel raggio d'azione del bar. Più della narrazione è l'aneddoto, sul flusso di parole a vincere è la brevità dei capitoli. Il tempo narrativo di Avati si ferma al dopoguerra, puntando su una genuinità che, da lì a qualche anno, avrebbe trasformato la routine del bar in teatrini da tragedia per i telegiornali d'avanspettacolo. Quello di Pupi Avati è un amarcord che non dimentica mai il tanto amato maestro Federico Fellini, restituendo allo schermo personaggi d'altri tempi. Truffatori, chiacchieroni industriali, maggiorate da battaglia, crisi famigliari che durano il tempo d'una battuta. Un "come eravamo" che, per una volta, non sa di pedagogico. La nostalgia in Avati lascia sempre spazio alla malinconia, sentimento più genuino che guarda al futuro invece che rimanere impigliato nel passato.

In sintesi
Bologna, 1954. Il Bar Margherita, sotto i portici di via Saragozza, è frequentato dai campioni della città: campioni nel biliardo, nel poker, nella briscola, nella conquista delle donne, nelle gare di boogie, nelle bevute, nel guidare spericolatamente ma, soprattutto, nell'investire gran parte del tempo negli scherzi da riservare agli amici. Tutto sembra andare per il meglio finché non accade l'irreparabile: il fidanzamento dell'ingenuo Bep con la navigata Beatrice, "l'unica a essere uscita con tutti i ragazzi di via Saragozza sia dalla parte dei numeri pari che dei numeri dispari"! Matrimonio più disarmonico è difficile da immaginarsi ma difficile sarebbe anche farlo saltare, considerati gli interessi delle rispettive famiglie... Fortuna però che esistono gli amici del Bar Margherita, quell'"unità di crisi" sempre pronta a correre in soccorso di uno dei suoi membri in difficoltà.

L'autore
P upi Avati è nato a Bologna nel 1938. Autore di più di quaranta film, è uno dei maggiori cineasti italiani. Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, è anche scrittore di romanzi che sono spesso ispiratori delle sceneggiature – o viceversa – come La via degli angeli (2000), I cavalieri che fecero l'impresa (2000), Ma quando arrivano le ragazze (2005), Il nascondiglio (2007) e Il papà di Giovanna (2008).

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