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Il cacciatore di aquiloni: il viaggio di un giovane afgano verso la redenzione

L'Afghanistan raccontato attraverso la colpa, l'amicizia, il perdono, la perdita.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

Il prologo: il successo di un libro

martedì 25 marzo 2008 - Approfondimenti

Il prologo: il successo di un libro
Sono diventato la persona che sono oggi all'età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975. Ricordo il momento preciso: ero accovacciato dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacciato. È stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto". Inizia così "Il cacciatore di aquiloni". Le prime dieci righe descrivono il senso di colpa che il protagonista, Amir, si porta dentro da una vita. La colpa di un codardo che non è riuscito a ricambiare l'amico della stima, del rispetto e soprattutto della fedeltà di cui godeva da bambino. Lui, Hassan, quel piccolo hazara dal viso "perfettamente tondo, come quello di una bambola cinese", che lo serviva, lo venerava e lo proteggeva, abbandonato nel momento del bisogno per una questione di pura vigliaccheria. Inizia con il bruciante ricordo di Amir dell'amico del cuore il libro di Khaled Hosseini, ma racconta molto di più. Racconta trent'anni di storia afgana - la fine della monarchia, l'invasione sovietica, il regime talebano - tracciando un raffronto tra passato e presente. "Sono ancora esterrefatto dal modo in cui i lettori hanno reagito al mio romanzo" ha dichiarato Hosseini, "ma credo che dipenda dal fatto che la storia ruoti attorno a un nucleo di intense emozioni, nelle quali chiunque può immedesimarsi. I temi della colpa, dell'amicizia, del perdono, della perdita, del desiderio di redenzione e di miglioramento di sé non sono temi solamente afgani, ma esperienze umane universali, che prescindono dall'identità etnica, culturale o religiosa".

L'evoluzione: dal libro alla sceneggiatura
Quando la produttrice Rebecca Yeldham ha letto il manoscritto di Hosseini ha subito realizzato che si trattava di "una delle opere letterarie più potenti e cinematografiche" che avesse mai letto. Secondo il co-produttore William Horberg "la storia aveva un'attrattiva, a livello emotivo, molto potente grazie all'idea per la quale non importa ciò che hai fatto in passato, c'è sempre un modo per tornare a essere buoni. Si parte per un viaggio con questi due bambini, un viaggio all'interno di una cultura, di una famiglia, un viaggio che porta alla redenzione di Amir. L'ho trovata una esperienza incredibilmente commovente, che prometteva moltissimo". Perché la trasposizione cinematografica potesse avvicinarsi all'impatto provocato sui lettori, era necessaria la sensibilità di uno sceneggiatore come David Benioff (La 25sima ora). "Avevamo tutti un obiettivo comune: il desiderio di rendere giustizia alla meravigliosa storia conservando quanto più possibile l'umanità e lo spirito del libro" ha rivelato Benioff. "L'ho sempre considerata una storia di codardia e coraggio, un viaggio tra questi due poli. E poi, volevo assicurarmi che rimanesse una storia afgana, di afgani, di un popolo che vive una situazione terribile, fatta di guerre interminabili e di miseria e che all'interno della sua tragedia riesce comunque a trovare spazio per la grazia, per la bellezza e per l'amore".

L'epilogo: dallo script al grande schermo
Perché un film tratto da un libro risulti riconoscibile al lettore non basta una buona sceneggiatura ma anche un regista capace di vedere oltre la parola scritta, e la scelta è caduta su Marc Forster (Monster's Ball, Neverland - Un sogno per la vita, Vero come la finzione). "Qualsiasi mondo tocchi, trova sempre personaggi che il pubblico capisce e nei quali si immedesima profondamente" ha dichiarato William Horberg. "Nel suo lavoro mette curiosità e bellezza, e dato che questa storia era diversa da tutto ciò che aveva fatto in passato, abbiamo pensato che anche per lui sarebbe stata una sfida affascinante". Non è facile per un regista riuscire a immaginarsi i risvolti di una cultura e una popolazione ignote, ma nonostante le difficoltà Forster non si è tirato indietro. Secondo Rebecca Yeldham "è riuscito ad andare dritto al cuore della storia, a quelle stesse ragioni che, oltre a lui, avevano già commosso milioni di persone". "Mi sono innamorato di questa storia" ha ammesso il regista. "Leggere il libro è stata una esperienza bellissima ed emozionante che mi ha portato alla decisione di voler partecipare. Come Monster's Ball, per quanto in un modo molto diverso, è la storia della rottura di un circolo vizioso di violenza e suggerisce la possibilità di redimersi. Dovevo riuscire a creare questo incredibile ed epico viaggio, portando allo stesso tempo il pubblico dentro la storia molto intima dei personaggi e degli effetti profondi che ognuno di essi ha nella vita dell'altro. Questa miscela è la vera bellezza del romanzo".

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