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Pensavo fosse amore, invece era un cantiere!

La classe operaia va in Paradiso e si ritrova senza lavoro. Un gruppo di amici illumina con originalità la kermesse veneziana
di Pierpaolo Simone


venerdì 8 settembre 2006 - News

È costato solamente 500 euro La rieducazione, film del collettivo Amanda Flor. A citarli tutti viene il mal di testa ma Davide Alfonsi, Alessandro Fusto, Daniele Guerino, Denis Malagnino, Marco Donatucci, Pablo Sallusti, Gianluca Tiberi e Daniele Malagnino meritano tutti, uno per uno, una calorosa menzione. Non solo perché il loro film è costato una miseria ma anche - e soprattutto – perché vale molto, molto di più. Abbiamo incontrato i giovani protagonisti di questa esperienza per una divertente intervista.

La prima cosa che volevo chiedervi è se avete speso tutti i soldi per procurarvi l'hashish che fumate nel film?
No, no (sorridono) quello era tutto fuori budget!

Scherzi a parte, come è nato questo progetto, come vi siete incontrati?
C'è una passione comune per quanto riguarda il cinema, poi ha iniziato Denis a girare le prime scene nel cantiere, proprio perché lui vive questa esperienza quotidianamente. E da lunedì, ovviamente, torna a lavorarci di nuovo (ride). Vedendo le riprese suggestive che aveva girato, abbiamo iniziato a costruirci su una storia che fosse più rappresentativa possibile di una società che troppo spesso non viene rappresentata. Nella fattispecie la storia di un ragazzo laureato che viene catapultato nell'inferno del cantiere. Un cantiere dove Denis non paga nessuno.

E qual è stato il lavoro sulla sceneggiatura? Il film parte con un piglio documentaristico sul precariato e si trasforma col passare dei minuti in un intreccio originale ma molto, molto verosimile…
All'inizio c'era un soggetto, poi si è andata man mano realizzandosi tutta la sceneggiatura. Un work in progress, ognuno di noi si ritrovava dei fogliettini sparsi ovunque: nel letto, nel cantiere, davanti al computer. Alla fine si è data voce a quello che è diventato un "thriller salariale".

Vi aspettavate qualcosa da questo progetto, speravate di arrivare a Venezia?
Noi non facciamo grandi cose nella vita, volevamo semplicemente portare a termine un lavoro. Spesso la partecipazione a un Festival può apparire un miraggio se non si dispone della cifra necessaria. Sarebbe stato presuntuoso da parte nostra sperare in partenza di arrivare fino a qui.

Lavorate su un soggetto originalissimo, su qualcosa che non si vede mai su uno schermo…
Originalissimo per quanto riguarda il cinema, non per quello che riguarda la realtà. La grande colpa del cinema italiano è che non c'è grossa aderenza fra le due cose. A differenza di quello che capita nei paesi scandinavi (Kaurismäki, NdA) dove certe tematiche sono all'ordine del giorno, l'Italia si differenzia per un cinema che non è più di intrattenimento, che non racconta più storie, ma è un qualcosa di elitario e per pochi eletti.

C'era imbarazzo, ieri, nei volti di alcuni spettatori, sembrava quasi che guardassero il film con una curiosità "antropologica"…
Devo dire che in alcune interviste ci guardavano come fossimo dei marziani, ma da dove sono usciti questi? Nel pezzo in cui fumiamo spinelli qualcuno è addirittura uscito dalla sala. Cultura uguale mobilità sociale: nel nostro paese non è così. Se i giovani restano a casa fino a cinquant'anni forse ci sono dei problemi che vanno al di là delle statistiche: gli affitti troppo alti, la mancanza di un lavoro stabile. Nel nostro cinema non c'è un bacio e non c'è un morto, mi sembra una cosa abbastanza originale. Qui la violenza è molto più sottile, un'ipocrisia piccolo borghese che colpisce i nostri personaggi. Gli operai che portiamo sullo schermo non sono più quelli che ci ha tramandato il cinema italiano degli anni '60, non c'è più una coscienza di classe, c'è un'omologazione totale.

Dove volete arrivare col vostro cinema, farete i soldi e diventerete come i vostri personaggi oppure riuscirete a mantenere la vostra purezza?
Se prendi l'esempio del cantiere dove abbiamo girato, il set è stato smantellato e al suo posto sono spuntate tutte villette a schiera, mi sembra una metafora abbastanza calzante. Ma noi non cambieremo di certo, continuiamo a fare quello che ci piace, abbiamo già pronto un altro film. Il problema non è che i nostri film costino poco, piuttosto il perché gli altri costino così tanto.

Trent'anni fa Moretti creò un piccolo caso con Io sono un autarchico, film a costo zero che rimase in programmazione al Filmstudio (famosissima sala d'Essai romana) per più di un anno. Voi avete fatto un film che è ideologicamente l'opposto, riuscirete a resistere?
Il nostro cinema è privo di elucubrazioni mentali. Non vogliamo mettere in piazza le nostre frustrazioni. Non vogliamo che il pubblico ci psicoanalizzi per trent'anni.

Allora in bocca al lupo per tutto, se avete bisogno di qualcuno nel cantiere chiamatemi pure, l'importante è che mi paghiate…
Ma scherzi? Denis non ha pagato nessuno, adesso arrivi tu e vuoi i soldi? Al massimo prendi una sigaretta, questo pacchetto è del popolo.

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