Hereafter

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Un film di Clint Eastwood. Con Matt Damon, Cécile De France, Joy Mohr, Bryce Dallas Howard, George McLaren, Frankie McLaren, Thierry Neuvic.
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Drammatico, durata 129 min. - USA 2010. - Warner Bros Italia uscita mercoledì 5 gennaio 2011. MYMONETRO Hereafter * * * * - valutazione media: 4,09 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Clint, ancora lui. Classico e moderno. Al di là. Valutazione 4 stelle su cinque

di davidestanzione


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sabato 8 gennaio 2011

Non é un thriller, l'ultimo film di Clint Eastwood, non nell'accezione comune. Certo, se riconduciamo il termine alla radice inglese del verbo "to thrill" ("emozionare") probabilmente ci avviciniamo con più esattezza alla matrice profonda, intima e "grezza", dell'ultima perla eastwoodiana. Precisazione d'obbligo, sì, ma inutile. Perché Eastwood si conferma ancora una volta al di là. Dei generi, delle etichette, delle mode. Lui, Clint, (oggi) maestro assoluto e transgenere, la moda la seguiva (da giovane), eccome. Ma ora, giunto all'apice della maturità espressiva, ha come l'esigenza di sondare nuovi angoli di cinema, nuove pieghettature emozionali, nuove storie disposte a viaggiare sul confine sfumato e nebuloso tra vita e non vita. Tre distinte città (Londra, Parigi e soprattutto San Francisco, il selvaggio borgo natio di Clint) a incorniciare e includere tre personaggi diversi per estrazione ma uguali e intimamente vicini per astrazione (ultraterrena): il dodicenne Marcus, che ha perso il gemello Jason per una tragica fatalità; la giornalista francese Marie (la belga Cecile de France, col cognome a presagirne il ruolo nel film della consacrazione extraeuropea), scampata allo tsunami del 2004; e il sensitivo riluttante Matt Damon, che vive il suo "dono" come una condanna e gli preferisce un placida malretribuzione operaia. Tre fantasmi dickensiani, distanti dal pragmatismo umano e dal "materialismo tragico" shakesperiano, accomunati da un'unica comune, riecheggiante esperienza: il contatto con l'al di là, col post mortem, col dopo di qui, a voler riprodurre i misteriosi e magnetici effluvi del titolo originale. Eastwood sceglie l'intreccio corale scritto da Peter Morgan per travalicare l'ultimo grande limite della sua carriera. E lo fa con l'accorata discrezione di un intimismo che da un po' di tempo a questa parte lo caratterizza. Non si lascia sedurre dalla smaccata e talvolta grossolana coralità contemporanea (Arriaga, Inarritu, il P.T. Anderson di Magnolia) e riannoda i fili dell'intreccio solo alla fine, con austero rigore e immenso tatto, emotivo, attoriale, autoriale. I suoi occhi azzurri scoloriti dal tempo ma rilucenti di sconfinata sensibilità sembrano essere l'involucro propizio e più adatto, per l'annidamento di una simile storia, in cui l'umanità pistolera e sanguigna di un tempo sfuma, per lasciar posto ai dubbi, alle ombre grigiastre, agli interrogativi sfuggenti che ci accomunano (tutti). Domande a cui Eastwood ovviamente non risponde ma che si limita a suscitare, lasciando che sia un ragazzino (Marcus) a scuotere la testa al suo posto dinanzi a un monitor e proiettando i suoi fantasmi dickensiani in un futuro non meglio definito ma di sicuro interrogativo, risoluto più che risolutivo. Eastwood minore? No. Il corso di cucina italiana può sembrare un pallido omaggio leoniano e far incrostare un arcaico sorriso di circostanza sulle labbra di qualcuno, ma provate a guardare l'uso delle luci che non ha nulla da invidiare a Million Dollar Baby o a Mystic River, la naturalezza di molti ciak zero, la scena in cui il sensitivo Damon incontra il piccolo Marcus: una sequenza impeccabile per costruzione dell'inquadratura (quei volti, illuminati a metà) e memorabile tanto quanto lo tsunami ricreato digitalmente dalla Scanline VFX. L'ambientazione francese appare sì sballottata rispetto ai canoni paesaggisti eastwoodiani ma é tratteggiata con verità e decoro, oltre che sottotitolata alla maniera di Lettere da Iwo Jima. Eastwood è l’ultimo, immenso baluardo di un cinema classico cui si sovrappone con disarmante naturalezza il moderno. E lo sapevamo.

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