CAMILLA BERNACCHIONI
Non ama la definizione di cinema nuovo. Preferisce chiamarlo indipendente. E con l’ironia che da sempre lo caratterizza, più che regista “intelligente”, lui si dice «finto cretino ». Questo è Sandro Baldoni, provocatore e ironico autore di cui è in uscita il 13 giugno il terzo film, la commedia “asprigna” Italian Dream. In realtà il film circola già da tempo nei festival ma si sa, in Italia, ogni cosa ha un suo tempo. Cioè non proprio ogni cosa, specie quando si parla di un cinema e soprattutto di quello degli «irregolari del cinema italiano» come propone Baldoni di chiamare quel «gruppo eterogeneo di persone, di tutte le età e di diverse generazioni, che sta cercando di muoversi in modo diverso, di sfuggire all’accerchiamento». Un gruppo di indiani, di irregolari. Di cui, naturalmente, il regista di Strane storie e Consigli per gli acquisti (titoli a dir poco evocativi) si sente parte integrante.
Baldoni, da dove nasce questa provocazione del regista «finto cretino»?
Mi è sempre piaciuta questa distinzione inventata dal mio amico Lele Panzeri: film finto-intelligenti e film fintocretini. In giro è pieno di film finto- intelligenti che si prendono molto sul serio, hanno poche cose da dire ma le fanno cadere dall’alto. Molta della buona commedia italiana dei bei tempi era fintocretina. Infatti era sottovalutata. Ridendo raccontava cose serissime.
Anche il suo stile richiama questo doppio registro.
Ecco, mi piace raccontare cose serie ridendoci sopra, usando un tono quasi falsetto, autoderisorio, perché la vita è tragicomica anche nelle situazioni più estreme.
È cinema politico?
Non saprei, tutto quel che facciamo è politico, credo. Anche quando sembra lontano dalla politica vera e propria. A me piace descrivere la realtà passando attraverso il suo lato assurdo. Italian Dreamne è un esempio. È una commedia asprigna, quasi una favola sulla nostra continua e ridicola fuga dal pensiero della morte, dal nostro inventarci nevroticamente ideali sublimi e scopi irrinunciabili e impegni inderogabili per scappare dal fantasma della morte, che poi ci acchiappa quando vuole nonostante i nostri buffi tentativi di allontanarla. Un film un po’ sgangherato, colorato, antiaccademico. Scommeterei che non piacerà agli addetti ai lavori. Ma piace al pubblico. Così è accaduto in questi primi test.
Far circolare il film ampiamente è un’impresa?
È difficile distribuirlo, perché l’Italia è sempre più in mano alle lobbies, grandi e piccole. Tenteremo di diffonderlo meglio possibile: io sto girando porta a porta, esercente per esercente, a domicilio. Assurdo, ma divertente. Gli esercenti italiani, i proprietari delle sale sono spesso molto intelligenti e appassionati di cinema, anche se quasi mai possono scegliere liberamente.
Quali sono le difficoltà che il cinema italiano incontra nella distribuzione?
Discorso molto complicato. Tutti parlano di mercato, ma il mercato nazionale non è libero, è in mano a pochi. Magari ci fosse il mercato! Per chi fa piccoli film per semi-indipendenti, uscire con Medusa o Rai Cinema o Warner è praticamente impossibile. E questo ti limita anche l’accesso ai festival, che sono l’unica cosa che può darti un po’ di notorietà e possibilità di competere. Restano le piccole case di
distribuzione, che però sono pesantemente condizionate da altre mini-lobbies che dovrebbero favorire la circolazione di film più “difficili”, ma che invece pensano, a loro volta, in termini pesantemente commerciali. Ci sono molti film belli e che il pubblico gradirebbe ma che non arrivano a varcare la soglia di un cinema, e pochi altri che sfuggono per miracolo al maglio e sono ben accolti.
Qualche esempio?
Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti. È in una sala di Milano da quasi un anno con molto successo, e ora comincia a circolare in tutta Italia. Ma all’inizio non doveva uscire. Per fortuna ha trovato un esercente intelligente e libero, Antonio Sancassani, del cinema Mexico, che gli ha dato fiducia. I casi come questo cominciano ad aumentare. Spero che sempre più esercenti trovino il coraggio di ribellarsi. Bisognerebbe davvero aprire spazio a un mercato “di nicchia” che potrebbe funzionare anche in termini economici.
Ma alla fine che cosa è veramente cinema indipendente?
In Italia quasi non ne esiste uno vero e proprio, paragonabile a quello americano. Proprio perché non esiste una vera e propria industria del cinema, e quindi una divisione tra mercato mainstream e mercato di nicchia. Se esistesse una vero e proprio segmento d’industria strutturato per l’indipendenza, sarebbe tutto molto più facile, per autori e pubblico. Qualsiasi industria ha un suo settore deputato a scoprire le idee nuove: per fino quelli che fabbricano tondini di ferro a Brescia investono il 10, 20 per cento delle risorse nella ricerca e sperimentazione. Il cinema italiano no. Si fissa sulla ripetizione dei successi precedenti, e non scommette sulla diversificazione dei generi. Solo lo Stato ci prova, ma è troppo poco. Per quanto riguarda il “Nuovo cinema italiano”, non so. Sono etichette sempre di moda, ma non mi sono mai piaciute. Io poi ormai sono quasi un vecchietto... Diciamo che esiste una zona ribollente dove c’è un gruppo eterogeneo di persone, di tutte le età, che sta cercando di muoversi in modo diverso, di sfuggire all’accerchiamento. Un gruppo di indiani, di irregolari. Ecco, gli Irregolari del Cinema Italiano.
E lei va spesso al cinema e a teatro?
Spesso. Magari a cercare cose nascoste. In Italia c’è un sacco di talento che non trova sbocco o rimane ai margini. Alcuni scappano all’estero e hanno successo, soprattutto i teatranti.
A che cosa sta lavorando?
Mi piacerebbe fare una mezza pazzia, un film da un racconto-favola di Dino Buzzati: La famosa invasione degli orsi in Sicilia. Difficilissimo, ci vorrebbe un produttore con tanti soldi e tanto coraggio, e forse anche - meglio di me - un regista come Tim Burton. Però sono così stanco, dopo questo film dove sto facendo di tutto, che solo a pensarci mi sento male. A dirla tutta, sto seriamente pensando di smettere. Anzi, al novantacinque per cento smetto.
Che cosa vuol dire essere regista oggi?
Per chi lo fa come me, è una gran fatica. Riesci magari a garantirti una certa libertà di azione e di pensiero, ma la paghi salatissima. Molti produttori cosiddetti indipendenti pretendono che tu trovi i soldi, convinca gli attori a essere pagati meno, convinca i proprietari delle location a dartele gratis, giri il film rapidamente, che tu lo monti in quattro e quattr’otto, lo vendi personalmente ai distributori, il manifesto, vai in giro a seguire il lancio. Il guaio ulteriore è che in questo caso, come per Strane storie, partecipo alla produzione anch’io. Dovrei insultarmi da solo…
Da Left, 30 maggio 2008