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Rassegna stampa di David Cronenberg

David Cronenberg (David Paul Cronenberg) è un attore canadese, regista, produttore, produttore esecutivo, scrittore, sceneggiatore, è nato il 15 marzo 1943 a Toronto (Canada). David Cronenberg ha oggi 81 anni ed è del segno zodiacale Pesci.

ANDREA CHIRICHELLI
MYmovies.it

Canadese, Cronenberg esordisce negli anni 70 con una serie di pellicole horror che evidenziano subito il gusto per le tinte forti con la volontà di shoccare il pubblico e di mettere in risalto le sue doti di visionario ed entomologo dell'animo umano. Il film che lo rende famoso al grande pubblico è Scanners (1981): il percorso di indagatore dell'animo umano comincia. Le pellicole di Cronenberg sono spesso criptiche, dense di segni e significati che spetta allo spettatore decifrare: realtà parallele, abissi dell'animo umano, questi sono gli scenari che fanno da sfondo alle sue realizzazioni. Videodrome (1983) e la Zona Morta (1983), quest'ultimo tratto da un romanzo di Stephen King, allargano la popolarità del regista, comunque non molto amato ad Hollywood data la scabrosità delle sue opere. Nel 1985 esce La mosca, enorme successo internazionale che lancia Jeff Goldblum e Geena Davis nello star system, mentre del 1988 è Inseparabili, incubo ginecologico, magistralmente interpretato da Jeremy Irons. La sfida più grande per Cronenberg è nel 1991 quando dopo numerosi tentativi andati a vuoto condotti da altri registi, cerca di ricreare su pellicola il delirio paranoico dei romanzi di William Burroughs: il risultato è Il pasto nudo coraggioso e spiazzante, ma per alcuni aspetti imperfetto ed irrisolto. Dopo la parentesi classica , si fa per dire, di Madame Butterfly, Cronenberg ottiene il suo primo riconoscimento a Cannes nel 1996 con il discusso Crash, cocktail di amore, motori e morte, che gli vale un contestato gran premio della giuria, mentre nel 1999, firma forse la sua opera più riuscita, Existenz (2000),a metà tra videogioco, realtà virtuale e sogno, vero cult per molti. Ha conquistati un meritato e incontestato Orso d'argento a Berlino.

TERRENCE RAFFERTY
The New York Times

IF there’s such a thing as an ideal time of day to expose yourself to the deranging, hallucinatory visions of the Canadian filmmaker David Cronenberg, midnight might well be it. That at least seems to be the hypothesis of the IFC Center in Manhattan, which, starting this week, will be screening a Cronenberg movie at that hour for the next seven Friday and Saturday nights — Saturday and Sunday mornings, technically, but somehow “Sunday morning” sounds completely wrong as a time to watch, say, “Naked Lunch” (1991).
In that film, as in several others by Mr. Cronenberg, all manner of things throb and pulsate and ooze unusual fluids, and the distinction between the animate and the inanimate tends to get a little squishy. You have to be in a fairly savage mood to enjoy the movie’s grisly humor and reality-warping imagery, the kind of mood that can descend on you toward the end of a long, bad night, when everything around you starts to look creepy and alien, and your nerves are too frayed for sleep. That’s the Cronenberg state of mind.
“Naked Lunch,” which is the last film in the series, is jittery even by Mr. Cronenberg’s standards, a hectic adaptation of William Burroughs’s nightmarish 1959 novel, and it isn’t Mr. Cronenberg’s strongest work. Neither is the series’s opener, “Crash” (1996) — also an adaptation of a “difficult” novel, this one by Britain’s master of perversity J. G. Ballard. Both movies are peculiarly flat; they feel studied, dutiful. And they illustrate an odd property of Mr. Cronenberg’s filmmaking: he’s very good when he’s most himself, riffing on his own obsessions, and good too when he seems least like himself, working on relatively conventional Hollywood projects. He gets into trouble, though, when he tries to merge his idiosyncratic sensibility with that of an apparently like-minded artist, a Burroughs or a Ballard.

IRENE BIGNARDI
La Repubblica

Con l’illustre critico e amico David Robinson, faccio parte di un ristretto club di persone che hanno odiato Inseparabili (1988), il film di Cronenberg che tutti trovano più o meno un capolavoro. Ne ho odiato l’evidente proposito sboccante, il sadismo, i manierismi, e persino la molto lodata recitazione di Jeremy Irons, che mi sembrava solo ridicolo mentre camminava in boxer tra le rovine del suo studio distrutto. E mi ha annoiato, oltre che irritato, il delirio teratologico di Crash, dal romanzo di J. G. Ballard, presentato a Cannes 1996 e accolto da molti dissensi.

EMANUELA MARTINI
Film TV

L’epidemia cominciò a diffondersi nell’ottobre del 1975: grossi luridi vermi che penetrano nei corpi, agiscono sulla razionalità e scatenano sfrenate espressioni di sessualità e aggressività. Il luogo: un lussuoso condominio canadese. L’autore: un cineasta di 32 anni, che si era dilettato di scienza e di musica, aveva studiato letteratura, frequentato le avanguardie, diretto alcuni film sperimentali e deciso che la regia era il suo mestiere. Il “parassita assassino” (The Parasite Murders fu il primo titolo, sostituito poi da Shivers, traduzione dell’efficace francese Frissons, mentre negli Usa la sensazionalistica Aip lo distribuì come They Came e in Italia fu Il demone sotto la pelle), che era costato 180.000 dollari, portò a casa, da 40 paesi, milioni di dollari, generando così il contagio successivo, una forma di rabbia originata da un piccolo pene ascellare, attraverso il quale una donna, interpretata dalla pomo star Marylin Chambers, soddisfa la propria sete di sangue. Rabid (budget: 350.000 dollari) incassò 7 milioni di dollari solo nel 1977 e trasformò istantaneamente il suo autore nel regista canadese più “vendibile“, almeno nel bizzarro territorio della serie B. Da quel momento, e dal film successivo (Brood, più costoso e con due attori “rispettabili” come Oliver Reed e Samatha Eggar), il nome di David Cronenberg si insinuò tra le preferenze degli appassionati di horror, insieme a quelli degli altri artefici della rinascita del genere, John Carpenter, Wes Craven e George Romero. Con una marcia in più, forse, rispetto a ciascuno degli altri: una coerenza ossessiva e stilistica che si è rivelata incrollabile all’interno di qualsiasi sistema produttivo e narrativo e che ha fatto dire proprio a Carpenter: «Cronenberg è migliore di tutti noi messi insieme», In pochi anni e con un pugno di film, quello che ai tempi di Shivers era stato definito «il re dell’onore venereo» e «il Barone del sangue», viene guardato con rispetto da Hollywood (che gli produce La mosca) e dagli autori più esigenti. Sintomatica un’affermazione di Martin Scorsese: «Qualche volta non ho nemmeno voglia di vedere i suoi film quando escono. Ma alla fine ci vado, e per me sono sempre un’esperienza catartica. Cronenberg è il XX secolo. Il tardo XX secolo. Cronenberg è qualcosa che sfortunatamente noi non riusciamo a controllare, nel senso che non controlliamo l’imminente distruzione di noi stessi. Questo è l’elemento più chiaro del suo lavoro. È il più spaventoso. E il più disturbante». Un omaggio contraddittorio, quasi svogliato ma inevitabile, del cineasta più lucido dell’ultimo quarto del secolo all’autore che ha “sentito” più in là di lui, istintivamente, visceralmente, ma anche “scientificamente”, quello che nel mondo sarebbe imploso più che esploso, il malessere “genetico’ indotto dalle contraddizioni sociali, culturali, storiche che Scorsese raccontava con tanta vivida passione. Sangue, pelle, corpo, mente mutanti. Ma di una mutazione che va al di là di quella (tradizionale o antitradizionale) alla quale la narrativa e il cinema orrifici ci hanno abituati, una mutazione che non si attesta più sui confini tra Bene e Male, tra umano e non umano e comunque tra carnale e meccanico o tra mente e corpo, e non perché sia immorale o amorale, ma perché nel mondo della confusione contemporanea (XXI secolo) tutto ha cominciato a fondersi, come i protagonisti di Crash con le loro parti meccaniche e manufatte. Un uomo può essere una donna (non un transessuale, né un travestito: una donna), un’unica mente guidare due gemelli, un tubo catodico sostituirsi agli organi, in un brulichio di materia, anima, ricordo, precognizione. La “scienza” sposa una curiosa, straziata forma di umanesimo per cui nel mondo di Cronenberg non esistono né colpevoli né innocenti ma soltanto forme di vita (e di anima) che si dibattono verso stadi successivi di degenerazione e rigenerazione, come la Mosca-Brundle, come quelle “cose” fatte di ossa e scheletri che in eXistenZ si trasformano in pistole. L’astrazione dell’avanguardia veste la concretezza del genere e sposta il cinema oltre soglie sconosciute.

EDOARDO BRUNO

Per David Cronenberg la tensione speculativa è conseguenza della ricerca teorica che lo porta ad affrontare situazioni sempre al limite e a determinare l'inquietante come qualcosa di insito nella continua mutazione dell'organico. In questo mutevole rapporto il movimento dell'agire coinvolge lo stesso movimento dei fenomeni fisici, ed esige un tempo altro, proiettato in una ragion pratica nella pura tradizione filosofica. Per questo in The Fly il circolo realtà-volere, accredita il pensiero come forza portante di un processo degenerativo e stabilisce in linea con i film precedenti (Scanner, Videodrome, The dead zone) una unica strategia espressiva riguardo al concetto di dominio della volontà, come forza di trasformazione di un essere autonomo che si stacca dall'Io per autogenerarsi. Così la mutazione dell'uomo-mosca si fa sintomo di un neo illuminismo scientifico, diviene (al di là di una metafora sul divenire umano) anche, come lui stesso indica, segno di insoddisfazione per tentare radicali cambiamenti: "Noi non siamo mai soddisfatti del modo in cui le cose si presentano. Cambiamo in continuazione, trasformiamo anche i nostri corpi, il nostro spirito e tutto ciò che ci circonda, compresa la Terra. Se potessimo cambieremmo l'intero pianeta. Certe volte questo cambiamento ha un fine buono, altre volte malvagio ma è così che funziona e io lo trovo affascinante"'. Ma i cambiamenti sono a rischio. L'orrore di una metamorfosi mutante, la trasformazione in 'alieno' in un delirio di onnipotenza della scienza e della tecnologia si accompagnano con la paura di esistere, la paura della trasformazione organica, della coesistenza del fuori e del dentro (la morbida carne e il sangue, le budella, gli intestini). La strana bellezza dell'orrido con l'inquietante disagio del vivere quotidiano, le nere luci del Medio Evo che si proiettano, nonostante il progresso, sulla nostra società contemporanea, la paura, il contatto, la malattia. Oscuri colori malati introducono a una storia di possessione e quello stanzone dove Brundle (Jeff Goldblum) lavora ai suoi esperimenti di mutazione, con il plafond incombente, ricorda il mondo di Lovecraft, l'ossessione di una allucinazione, che fa dei moderni scienziati una sorta di apprendisti stregoni. Cronenberg traccia così con esasperazione immagini di un malessere, si ferma ad osservare la ruggine che divora la sua automobile e la strana architettura di legno e mattoni della casa; il corpo sanguinolente di quella scimmietta, rovesciata come un guanto e scomposta molecola per molecola. Piccole spie di una decomposizione in atto, la morte, l'invecchiamento, la trasformazione segnano i tempi del film sono gli atti che si sovrappongono in questo processo coattivo di putrefazione. La mosca capitata nella capsula infetta l'organismo, altera il rapporto molecolare e l'uomo diviene la riproduzione modificata, l'immagine altra di un processo solo apparentemente mimetico. Il doppio non è l'analogo, qualcosa che assomma i caratteri di entrambi gli organismi - l'uomo e l'insetto - e li esalta in un connubio mostruoso. La lenta trasformazione comincia con segnali impercettibili, poi tutto l'organismo si sfalda e si decompone mutando in una fermentazione assoluta. "Se voi pensate a quel che produce la morte in un corpo, si può dire che io ho filmato una ripetizione del mio seppellimento...'. Prima che il corpo si deformi il film descrive con attenzione alcuni sintomi, il vitalismo, la violenza, la forza. In un bar, il gioco del braccio di ferro diviene un test di questa incredibile forza che provoca la rottura del polso dell'avversario. Poi ogni cosa precipita. L'universo filmico si carica di segni, nell'impossibile tentativo di fermare il meccanismo non più controllabile del computer. Brundle guarda impotente il suo corpo cadere brandelli e raccoglie i suoi resti con una cura quasi infantile, riponendoli nell'armadietto del bagno. Una struggente nostalgia dell'infanzia pervade le sequenze che precedono il 'mostro'. Forse, quando la mutazione è compiuta, Brundefly assomiglia troppo agli automi antropomorfi ma le sequenze finali, tra grand-guignol e disperazione, riassorbono questo muscoso ammasso di cartilagini esangui, negli strati di una putrefazione in atto. L'umanità di questo 'insetto' diversifica la cosa di Cronenberg dagli alieni: il corpo, la biologia, la malattia fanno parte delle angosce di un cinema che lui stesso definisce, in ogni caso, autobiografico. Con Dead Ringers continua questa esplorazione nel corpo, nel suo muoversi dentro la carne, con impietosa violenza sino ai limiti di un malessere e dell'angoscia. In questa storia allucinante di due fratelli gemelli che ricompongono il dramma inquietante dell'autobiografia, Cronenberg compie, anche un affascinante viaggio dentro il sesso. Due gemelli, entrambi ginecologi studiano scientificamente e dolorosamente, l'apparato genitale femminile, costruiscono ipotesi cliniche e strumenti perfetti per entrare nelle pieghe di pulsioni nascoste e indagare nelle malformazioni che determinano lacerazioni nella stessa scorza Cerebrale. I due fratelli gemelli rappresentano il doppio di una psiche solo apparentemente diversa, estroversa e immediata in uno e interiore e occlusa nell'altro. Ma i due fratelli sono la stessa faccia di un unico interesse, appassionati per tutto ciò che nel corpo è nascosto, che pulsa sotto la pelle, irradiando un senso di disfacimento; e questa 'passione' diviene una 'sublime' ricerca di un piacere crudele. I rapporti medici con Geneviéve Bujold, che interpreta la parte di una attrice frustrata e caso clinico seducente per una interna malformazione uterina assai grave, si trasformano in rapporti sessuali di entrambi, tortuosi, disperati, angoscianti ma vissuti dalla donna come se appartenessero solo ad uno dei due fratelli, il più fragile e più romantico. Questo gioco perverso diviene una lenta agonia, dove tutto il corpo della donna è sesso, aperto e forzato con legacci di gomma che le stringono i polsi e le caviglie immobilizzandola, per favorire amplessi innaturali e crudeli, altrimenti impossibili. Questa acuta sensazione è rappresentata attraverso sguardi che nascondono anziché svelare ogni parte del corpo, in una visione ottusa dove i sensi emergono sulla pelle in una furia di possessione che dà spessore ad un clima teso e perverso. Anche il legame affettivo tra i due fratelli, quando si incrina, accende una furia incontenibile, trascinandoli negli allucinati risvolti dell'atto finale, verso un abisso dove tutto si immerge in una vertigine di lucida follia. Jeremy Irons interpreta entrambi i fratelli e costruisce i due caratteri, recitando molto spesso nel vuoto quando occorre mostrarsi con l'altro, recitando nel vuoto a lato di uno specchio immaginario, che come un replicante, muta i caratteri dentro un corpo unico, nel gioco impossibile di creare uno sdoppiamento tutto interiore. Gli incubi e le ossessioni del processo di mutazioni avvolgono i personaggi e le storie del Pasto nudo di Borroughs. Più che una trascrizione- per Cronenberg è come se si immedesimasse (ancora in un rapporto autobiografico) nella lenta visione di sogno, entrando in questa zona remota, in un posto sperduto tra New York e Tangeri, ricostruendo sul 'set' un paesaggio immaginario, e ricreando dalla penombra di una stanza l'intrico di nervi del sistema nervoso. Quando il protagonista avanti alla macchina da scrivere assiste alla metamorfosi di questa in un gigantesco insetto parlante, con l'orificio carnoso nascosto dietro le alette e, lentamente, preoccupato per le impreviste reazioni, tenta di schiacciarlo con la scarpa, la mdp compie in un unico tratto la soggettivazione di un incubo mentale e l'impietosa oggettivazione di un fatto. Cronenberg continuamente passa da uno all'altro piano, entra ed esce dalla immaginazione per costruire immagini malate di un lunga e angosciante rêverie. Chiuso in un paesaggio dove quasi tutti gli esterni subiscono il fascino di un mondo ricostruito sul set, impiega un colore ottuso tra un rosso sanguigno e un blu notte, recuperando la tessitura dell'impasto dei sogni di Dreams that money can buy di Richter e ricollegandosi al surrealismo immaginifico degli anni quaranta. Il rapporto tra i volumi dell'inquadratura, le immagini oblique e gli squarci di sfondo (il gabinetto con il millepiedi strisciante sul muro) condensano atmosfere inquietanti e congiungono luoghi diversi - i corridoi e l'incubo di una casbah tutta mentale, contrappuntati da insidie visive. Come nel precedente film usa un linguaggio della realtà per esprimere sensazioni e emozioni che sono fuori dalla realtà: le immagini si irradiano per i sottili percorsi degli stati d'animo, 'avvertono' insidiose creature parlanti o forme erotiche ripugnanti, o branchie ossessive che fuoriescono rispettivamente dal corpo della donna o dai tasti della macchina da scrivere. Sono le contaminazioni tra il vero e il falso, quasi un percorso allucinato, sintomo di un pensiero ossessivo. Cronenberg si immerge così nella cupa malinconia del protagonista e tra alcool e droga osserva la realtà attraverso due diversi stati mentali, quello in cui conserva il pieno controllo e quello in cui si abbandona a un dormiveglia farneticante sottolineati dalle note dissonanti di Ornette Coleman. Lincontro in un caffè di Tangeri con lo scrittore Paul Bowles trasferisce in questa atmosfera le analoghe immagini di Té nel deserto di Bertolucci in una luce spenta, passiva. Come in una 'citazione' lo spostamento cambia segno all'immagine e tutto si immerge, ancora una volta, in un sogno. Il buio che accompagna la corsa dentro quella specie di Casbah, ricostruita in una Interzone immaginifica, imprime un senso inquietante che opprime. Due presunti omicidi - l'uccisione accidentale, come Guglielmo Tell, della propria donna e quello nell'automobile della moglie di Bowles, danno il segno dell'allucinazione, il delirio della forma, che confonde realtà e immaginazione in una condanna a ripetere il gesto. Il 'doppio', come in Dead Ringers, e questa continua mutazione dell'organico sono il segno di una ossessione, di una forza pulsionale che Crash riprende trasferendo le allucinazioni di J. G. Ballard all'interno di un processo trecnologico, dove ancora la macchina si umanizza e si trasforma; in questo universo l'automobile diviene il soggetto di pulsioni innominabili, di un senso insensato dell'ebrezza verso l'incidente mortale rivissuto come ,piacere' sublime, in un sex appeal dell'inorganico. Il film condensa l'emozione dei sensi in un apparato meccanico dove una serie di pezzi metallici, che ricostruiscono un corpo ferito, danno forma ad una orrida protesi, oggetto di desiderio, in una esasperazione mentale. Una variante della orrenda bellezza di quegli strumenti ginecologici di Dead Ringers, innervata dentro forme libidinali, attraverso cui i corpi mutilati ritrovano, .negli amplessi, uno stato di ebbrezza di una sessualità inorganica e artificiale. Cronenberg mostra, dilata questo senso autoptico del desiderio, rende questa coincidenza del piacere e dell'angoscia in uno stato dell'estasi che atterrisce e attrae in una visione bataillana del anale, essai philosofeque, dove scrittura e pensiero concretizzano la forma dell'esplorazione dell'eccesso.

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